Categoria: Editoriali

Spazio dedicato agli esperti del settore, che ci forniscono punti di vista interessanti sul mondo del tennis e le sue caratteristiche intrinseche

  • Chiamateci Oscar

    Chiamateci Oscar

    La serata di gala dei SuperTennis Awards 2023 si merita un nome da … Academy!

    Esistono momenti, nella vita di tutti noi, in cui è giusto fermarsi un attimo per festeggiare i risultati ottenuti e i traguardi raggiunti. Ed è normale, quando entrambi sono straordinari, organizzare un festeggiamento che a sua volta renda onore alle imprese e a chi le ha rese possibili. Per questo, c’era molta attesa ieri sera intorno ai Supertennis Awards, in pratica gli Oscar del Tennis, la serata in cui il nostro sport onora i suoi campioni e tutti coloro i quali hanno contribuito al suo successo durante l’anno.

    E le aspettative non sono state soltanto soddisfatte, ma anche superate. La Federazione ha celebrato questo anno incredibile con un evento di grande impatto, che ha subito recapitato ai presenti il primo dei messaggi della serata: un anno eccezionale merita un festeggiamento eccezionale.

    L’ambientazione scelta era già di per sé suggestiva, con il Superstudio Più di via Tortona (al centro del fashion district milanese) trasformato per una sera in un set interamente tennistico. A fare gli onori di casa, secondo una piacevole e consolidata tradizione, le splendide Elena Ramognino e Lucrezia Marziale in abito da gran sera, con Max Giusti come di consueto nelle vesti di anfitrione durante tutta la cerimonia.

    A prendere la parola per primo, insieme a un Jannik Sinner che col passare dei minuti acquistava confidenza col suo ruolo di protagonista assoluto della serata (“certo che col nome sbagliato sul segnaposto non iniziamo bene”), è stato il Presidente Binaghi, che ha ripercorso i momenti principali di questo 2023 fino alla devastante progressione che ci ha portati in finale alla BJK Cup, alla finale delle ATP Finals e al trionfo di Davis.

    Si è passati poi alle premiazioni, fra le quali ricordiamo quella a Simone Vagnozzi come miglior coach, di Jasmine Paolini come miglior giocatrice e di Matteo Arnaldi come most improved.

    Simone Vagnozzi premiato sul palco dei SuperTennis Awards 2023

    Finita questa fase, il pubblico presente alle edizioni precedenti si attendeva il consueto breve momento di intrattenimento, affidato alla simpatia di Max Giusti, e non è rimasto deluso anzi si è dovuto sorprendere. Siamo infatti passati da un duetto molto simpatico fra Berrettini e Sinner (“Non ti ricordi che siamo stati fuori a cena insieme, ma che mi hai battuto quello invece non ti è passato di mente”, dice Matteo a Jannik) alla novità molto riuscita del “Lettermax Show”, in cui un Giusti in versione David Letterman con tanto di scrivania e poltrona intervista il suo “ospite” Jannik Sinner cercando di metterlo in difficoltà:

    MG: “Hai qualcuno che ti dice come rispondere alle mie domande? 
    JS: “Non ti preoccupare non c’è bisogno, faccio da solo”

    C’è ancora spazio, poi, per dialogare con la squadra di Davis (“ tacci tua ”, ecco infine svelato il mistero su cosa abbia detto il Matteo in panchina al Matteo in campo dopo che aveva portato a casa una partita stregata), per onorare la tradizione con la presenza di Lea Pericoli e Nicola Pietrangeli che dispensano premi e battute (“Ho vinto un altro primato, quello del più vecchio della sala”), per ascoltare le parole di grande classe di un Filippo Volandri che sorvola sulle tante critiche ricevute per rivolgere un pensiero di ringraziamento alla sua famiglia, per sentire Sinner da vero Capitano Giocatore dire che il nome sulla Coppa dovrebbe averlo anche Matteo Berrettini, per il contributo che ha dato.

    E soprattutto, per circondare con un enorme abbraccio collettivo Tathiana Garbin collegata dall’ospedale, con la foto delle ragazze della sua squadra a farle compagnia sul comodino di fianco al letto.

    Basta e avanza? Pensavamo tutti di sì, e qualcuno si è anche regolato di conseguenza abbandonando il suo posto per inseguire il sogno tutto milanese di essere il primo a uscire dal parcheggio. E mal gliene incolse. Infatti i più attenti e soprattutto quelli arrivati per primi alla serata, fra i quali il sottoscritto, avevano notato una certa sospetta animazione musicale sul palco durante i preparativi, e una musica di sottofondo fatta di canzoni di una sola cantante, prima che lo scenario di scintille del palco venisse acceso.

    Quattro canzoni, una più bella dell’altra, che hanno acceso i cuori e i telefonini di tutti i presenti in un crescendo di entusiasmo che neanche quello del punto di Sinner contro Alcaraz nella semi di Indian Wells. Elodie ha chiarito oltre ogni ragionevole dubbio il fatto che sia una grande cantante, e che l’investimento per vederla dal vivo in concerto sia equiparabile – per importo ma anche per soddisfazione – a quello di una Finale Slam.

    Elodie sul palco dei SuperTennis Awards 2023

    Ce ne sarebbe stato abbastanza per dichiararsi pienamente soddisfatti e rientrare verso casa senza troppo toccare il suolo, ma per chi lo voleva c’erano ancora due free-bonus da cogliere. Il secondo, magari scontato ma non per questo meno gradevole, il buffet augurale, anche questo ben fatto ma senza strafare, come una partita vinta 6-1 per non esagerare.

    Il primo, imperdibile, una foto con la vera protagonista della serata, che per tutto il tempo se ne è stata in un angolo come una vera Regina, defilata ma visibile da ogni punto, e protetta da severe guardie del corpo: la coppa Davis: due metri di scintillante trofeo cui ci si poteva accostare dopo alcuni (molti) metri di fila per una fotografia ricordo di quelle che davvero pochi possono vantare di avere nella propria galleria, fotografica ma soprattutto dei ricordi.

    l trofeo della Coppa Davis ai SuperTennis Awards 2023

    In definitiva, un evento ben organizzato e ben riuscito, un po’ come tutta la stagione del tennis italiano, ma non è stato questo il vero regalo. Il vero regalo è stato che da tutto quello che si è visto, sentito, assaporato traspariva un elemento che solo chi ama il tennis, e cioè tutti quelli che c’erano, ha riconosciuto chiaramente: la sincerità.

    Non è stato un momento autocelebrativo in cui i vertici della Federazione celebravano sostanzialmente se stessi, parlando di sé stessi verso un pubblico composto da altri sé stessi. No. Parole, toni, modi, persino le luci comunicavano lo stesso messaggio: questa sera è per voi. Che siate qui o no, che abbiate giocato o meno, che siate stati maestri allievi genitori dirigenti inservienti, che leggiate Tennistalker Magazine o siate parte del suo appassionato Team, non importa, non cambia nulla: se abbiamo ottenuto tutto questo, è per merito vostro.

    Per cui, per una sera, chiamateci Oscar!

    (Paolo Porrati)

  • Welcome to the Next Level – Quello che le ATP Finals non dicono (ma se ci vieni lo capisci)

    Welcome to the Next Level – Quello che le ATP Finals non dicono (ma se ci vieni lo capisci)

    Perché venire a Torino quest’anno significa rendere omaggio a un momento storico

    Se eravate fra quelli che si aggiravano timorosi e un po’ spauriti fra i pochi stand del Fan Village nella prima edizione delle ATP Finals, due anni fa, dovete venire. Se invece facevate parte del gruppo rinforzato dello scorso anno, dovete venire lo stesso.

    A maggior ragione se avete vissuto l’epopea non troppo fortunata delle NextGen milanesi, magari a partire dal 2019 quando un giovanissimo Sinner totalizzò di fatto quello che è rimasto l’unico “tutto esaurito” dell’Allianz Cloud.

    Insomma, se siete da sempre fra quelli che amano il tennis di quell’amore che fa apprezzare di più un secondo turno a Metz che un match dei gironi di Champions, allora quest’anno dovete venire a Torino. Perché vi sentirete ringraziati, e gratificati, in un modo che neanche immaginavate.

    Il motivo non è legato all’eccezionale menù agonistico apparecchiato dal Caso per la prima volta da parecchio tempo nel Torneo dei Maestri. Una sfilata dei migliori giocatori in circolazione che quest’anno una classifica benevola ha portato a Torino distribuendoli negli otto giorni di competizione. In pratica, una cosa rara e una gioia per gli occhi dei fortunati possessori dei biglietti, al netto della sfortuna di Tsitsipas, che poi è anche quella di chi ha avuto in sorte la sua partita con Rune. Questa volta alle Finals ci sono proprio i migliori in assoluto, che coincidono con quelli che giocano meglio proprio adesso.

    Ma non è per questo che le Finals 2023 sono un momento importante per voi romantici del Tennis. No, il motivo per cui dovete venire è un altro, e ve ne renderete conto presto, appena varcata la soglia del nuovo, enorme Fan Village.

    Lo comincerete a intuire negli stand ricolmi di merci che mai si sono interessate al Tennis, e che ne scoprono sorprese gli appassionati. Il sospetto si svilupperà poco dopo guardando i ragazzi che tentano la prova di riflessi o si cimentano coi vari tipi di gaming sul tennis, mentre fino a poco tempo fa il massimo cui si poteva aspirare era una gara di velocità al servizio in uno stand così piccolo che al minimo errore di direzione si rischiava di assassinare il tizio con la birra in mano nel box di fianco.

    Prova di riflessi al Fan Village

    Nella food area, il sospetto si trasformerà in certezza: qualcosa è cambiato, per sempre. Ripenserete con timido affetto, ma non rimpianto, all’indigeribile panino trangugiato al baracchino sul viale alberato di fianco al Pala Alpitour, nel gelo micidiale della notte torinese della prima edizione, unica alternativa a code infinite o al digiuno poco intermittente. E lo farete gustandovi magari l’ottimo pollo con riso e cocco dell’Healthy Stand, valida alternativa alle molte altre soluzioni disponibili, in uno spazio finalmente all’altezza delle esigenze alimentari di un pubblico affamato di tennis ma non solo.

    La certezza sfocerà in un sorriso quando riconoscerete la gioia pura della street artist che sale sul palco degli eventi del Village, e che per una volta si esibisce senza doversi preoccupare del freddo, dei vigili o dei passanti frettolosi. E con un po’ di fortuna, lo capirete chiacchierando coi carota boys che seguono Sinner dovunque e che in realtà si chiamano (da ieri) Fox Boys. Ma questa è un’altra storia, bella, e ve la racconteremo a suo tempo.

    Il palco degli eventi del Fan Village

    E infine, giusto prima di avviarvi a prendere posto nell’impianto del Pala Alpitour, vi scoccherà la scintilla finale guardando la scritta bianca  “Let’s go Sinner, let’s go” sulla maglietta rossa della bella ragazza mora con la treccia, seduta davanti a voi. Che poi è uguale a quella del ragazzo seduto tre sedie più in là, ma anche del brizzolato a sinistra e della bambina a destra, una macchia rossa che non avevate notato e che vi allarga il cuore.

    Già, perché ormai lo avete capito, quello che state provando. È la consapevolezza che queste ATP Finals italiane, nate sfortunate e sviluppatesi in sordina ora sono finalmente qualcosa di più grande, e di diverso. E che un po’, è anche merito vostro che le avete assistite, animate coccolate e frequentate anche quando in pochi ci credevano.

    Insomma, se verrete a Torino in questi giorni avrete molto di più che l’opportunità di godervi delle belle partite in un contesto finalmente all’altezza della manifestazione più importante dell’anno. Potrete vedere coi vostri occhi che il nostro sport è entrato in un’altra dimensione, in una nuova era, in cui “it’s all about tennis”, tutto è tennis, in una maniera e con una qualità che non si poteva neanche immaginare solo due anni fa, e che deve rendere orgogliosi tutti, gli appassionati che c’erano quando a guardare le Finals erano pochi, ma anche quelli che grazie ai nostri fantastici ragazzi si sono avvicinati allo sport più bello del mondo.

    E mi raccomando non vi perdete il dolcetto azzurro a forma di … ATP Finals, da solo vale il prezzo del biglietto!!  

    Il dolce dedicato alle ATP Finals
  • Match point – Quando il tennis (raramente) incontra il grande schermo

    Match point – Quando il tennis (raramente) incontra il grande schermo

    Piccola guida ragionata al rapporto fra il nostro sport e il “grande schermo”

    Il tennis ha condiviso da sempre con il calcio uno scarso appeal presso l’industria cinematografica, e anzi fino ad ora è stato rappresentato sul grande schermo ancora meno del gioco del pallone. Ma le cose stanno cambiando.

    Nelle sue scarse, e relativamente recenti apparizioni, il tennis è stato utilizzato come un pretesto, una metafora per parlare d’altro. Accade ad esempio con il titolo più famoso – fino a poco tempo fa – della filmografia tennistica, Match Point di Woody Allen, del 2005 con Jonathan Rhys Meyers e Scarlett Johansson in cui la casualità della danza che la pallina fa sul nastro è lo spunto per riflettere sui casi della vita.

    Anche il più recente La Battaglia dei Sessi (2017), con gli ottimi Emma Stone e Steve Carell, pur rimanendo fedele alla Storia della partita fra la campionessa Billie Jean King e l’ex vincitore di Wimbledon Bobby Riggs serve allo scopo di raccontare come l’emancipazione femminile sia passata anche attraverso l’ambito sportivo.

    E quando si è provato a raccontare un po’ meglio il mondo del tennis, i risultati sono stati davvero modesti. È il caso di Wimbledon (2004), con Paul Bettany, Kirsten Dunst e Sam Neill, tentativo britannico piuttosto maldestro di ricostruire gli ambienti e le situazioni del torneo più famoso del mondo, ricavandone una commedia romantica passata giustamente inosservata al grande pubblico.

    Ma veniamo agli esperimenti più riusciti.

    Borg McEnroe (2017), con Sverrir Gudnason e Shia LaBeouf, è una pellicola molto accurata dal punto di vista del gioco e dell’aderenza dei personaggi, forse la prima in cui il nostro sport è trattato con il dovuto rigore, a partire dall’incredibile somiglianza dell’attore svedese con il grandissimo campione suo connazionale.

    Il risultato migliore lo ottengono nel 2020 i francesi ne Il Quinto Set, disponibile su Netflix, con Alex Lutz, Ana Girardot e Kristin Scott Thomas, a oggi il miglior film di ambientazione tennistica disponibile.

    Quinto Set – Netflix

    Ispirandosi alla vicenda umana del tennista Sebastien Grosjean, la pellicola racconta la storia di un ex-professionista scivolato in basso nella classifica mondiale che trova una nuova occasione di speranza al Roland-Garros. Molte delle scene sono girate dal vivo durante il vero torneo, e i momenti di gioco sono straordinari per verismo, grazie alle doti tecniche dell’attore protagonista.

    La consacrazione del tennis per il grande pubblico arriva nel 2022 con l’Oscar come migliore attore protagonista a Will Smith per la sua interpretazione del padre di Venus e Serena Williams in Una famiglia vincente – King Richard. Anche qui il Tennis fa da sfondo per il tema dell’emancipazione sociale, ma si tratta di un film davvero accurato anche nelle – sia pur limitate – parti sportive.

    Per il resto, sino a poco tempo fa, poca roba.

    Un bizzarro mockumentary (finto documentario) ispirato al memorabile match di otto ore fra Isner e Mahut nel 2010 a Wimbledon (7 days in Hell; di Jake Szimanski, con Andy Samberg e Kit Harrington), una commedia romantica americana peraltro piuttosto simpatica sul tema del ritorno in campo (Break Point, di Jay Karas, con Jeremy Sisto, Adam DeVine e il grande J.K. Simmons), e un’altra molto meno riuscita sullo stile demenziale (Balls Out: Gary the Tennis Coach, di Danny Leiner con sean William Scott e Randy Quaid).

    Tutto qui.

    Ma le cose stanno cambiando. Il Tennis di per sé non è mutato, ma la progressiva e inarrestabile affermazione di nuovi prodotti video come le serie televisive gli hanno consentito di attirare l’attenzione dei grandi player. I quali hanno sviluppato progetti molto interessanti in quasi tutti i casi, perché puntano ad approfondire il tema sportivo in tutte le sue sfaccettature, facendo venir meno il conflitto fra l’aspetto drammaturgico e quello tecnico-sportivo che ne condiziona fortemente la credibilità nei lungometraggi.

    Sono prodotti molto diversi, di fatto assimilabili ai documentari e non ai film, ma sono accurati e godibili.

    La prima a muoversi è stata Amazon Prime nel 2018 con l’interessante Campi di battaglia sui successi di Flavia Pennetta, seguito l’anno dopo da Andy Murray: Resurfacing sulla battaglia del campione scozzese per ritornare competitivo dopo l’operazione di rivestimento (resurfacing) all’anca.

    Ma è stata Netflix nel 2021 a credere davvero nel potenziale del tennis lanciando Naomi Osaka, una mini-serie in tre puntate che si focalizza su un momento specifico della carriera della tennistica americana, evidenziandone gli impegni sia dentro che fuori dal campo.

    Col senno di poi, forse involontariamente, questo progetto offre molte risposte alle domande su quello che è poi accaduto alla fortissima giocatrice americana.

    Il tema della consunzione mentale che aggredisce i giocatori di alto livello è affrontato benissimo, sempre nel 2021 e sempre da Netflix, in Fish vs Federer.

    Nel quinto episodio nella prima stagione della serie , che esplora i lati oscuri di molti sport fra i quali il tennis, si ripercorre il percorso che portò il tennista americano oltre la soglia della depressione, con il ritiro pochi istanti prima del match con Roger Federer nei quarti di finale di Flushing Meadows nel 2021.

    L’anno prima, Patrick Moratoglou racconta il suo percorso con Serena Williams nell’episodio “le regole di vita di un allenatore”, quarto della serie Parola di allenatore.

    Esperimento interessante anche quello di Break Point, del 2023, ancora una volta su Netflix. In questo caso dieci Pro, fra i quali Taylor Fritz, Ons Jabeur e il nostro Matteo Berrettini raccontano delle proprie sperienze sportive ma anche private. Si tratta di un progetto realizzato in collaborazione coi quattro tornei del Grande Slam; quindi, se da un lato scontano un’ovvia tematica promozionale, dall’altro consentono una grande prossimità coi giocatori, ripresi anche nei loro momenti privati.

    E per finire, non va dimenticato Boom! Boom! – The world vs. Boris Becker, che su Apple TV+ ripercorre l’incredibile percorso del campione tedesco da Wimbledon alla prigione.

    Unico tentativo italiano, peraltro molto ben riuscito, su Sky sempre nel 2021 con Una squadra, docu-serie in cui si ascoltano dalle voci dei diretti protagonisti le vicende che portarono all’incredibile vittoria nella Coppa Davis del 1976.

    Altrettanto unica, nel suo genere, Rafa Nadal Academy, che su Amazon nel 2021 offre uno spaccato molto verosimile della vita che i giovani talenti del tennis fanno durante l’anno scolastico, all’interno della splendida struttura del campione maiorchino. Per chi ha figli e/o sogni collegati al tennis, imperdibile!

    Piccola incursione del tennis anche nel mondo anime con Prince of Tennis, inedito in Italia ma disponibile in inglese di diverse piattaforme come Crunchyroll, che ha già superato il ventesimo anniversario, celebrato con una nuova serie intitolata Shin Tennis no Ōji-sama U-17 World Cup. Un progetto che si articola fra lungometraggi, serie televisive anche con personaggi reali (disponibile su Netflix), pubblicazioni su riviste e libri.

    E poi c’è la partita fra il ragionier Ugo Fantozzi e il ragionier Filini nell’indimenticabile Fantozzi, di Luciano Salce. Il “Batti lei?” pronunciato nella nebbia da Gigi Reder è ben più che un romantico omaggio al tennis impiegatizio eroico di quei tempi, è ormai parte del lessico collettivo nazionale.  

  • Studiare negli USA grazie al Tennis? Sì, ma con attenzione

    Studiare negli USA grazie al Tennis? Sì, ma con attenzione

    Tutto quello che c’è da sapere per studiare negli USA grazie al tennis e costruirsi una carriera da manager, oppure… entrare nella Top100!

    Insistere con il tennis o concentrarsi sullo studio? È questo il dilemma che si trovano davanti i tennisti e le tenniste di talento fra i tredici e i sedici anni, quando i risultati positivi ottenuti sul campo iniziano a diventare inconciliabili con quelli da raggiungere sui banchi di scuola.

    Per nulla aiutati da un sistema scolastico totalmente impreparato a sostenere le ambizioni sportive dei propri alunni, i ragazzi e le ragazze devono affrontare coi genitori una scelta che influenzerà il loro futuro: credere nel proprio talento e puntare tutto sullo sport, oppure ridurre l’impegno e dedicarsi a tempo pieno alla carriera scolastica?

    La prima consapevolezza è che la via di mezzo non porta da nessuna parte. La seconda è che neanche le altre due scelte, al giorno d’oggi, danno ragionevoli garanzie di successo, anzi.

    L’aspirante tennista sa di dover investire nel proprio progetto dai quindici ai trentamila euro all’anno per potersi permettere ciò che è indispensabile alla propria crescita, come un buon coach, i viaggi, gli allenamenti, eccetera.

    E sa anche che per garantirsi una relativa autosufficienza economica dovrà entrare e restare nella Top 100 mondiale, che rappresenta circa lo 0,5 per cento dei professionisti attivi.

    E per finire è consapevole che a carriera terminata – sempre che questa non si interrompa prima per un infortunio – le sue prospettive di reddito saranno molto limitate, essendo la carriera scolastica ormai tramontata e anche quella di maestro, sempre più specializzata, tutt’altro che scontata. Non che con le carriere tradizionali vada meglio, sempre più spesso neanche il conseguimento di una laurea costituisce una garanzia per l’ottenimento di un impiego.

    Ma in questo scenario di grande complessità, esiste invece un percorso che proprio attraverso lo sport permette di ottenere sbocchi sia di tipo lavorativo che sportivo, spesso insieme. Si tratta del College Tennis. Il College Tennis è parte della NCAA (National Collegiate Athletic Association), l’organizzazione senza fini di lucro che gestisce gli atleti, americani e non, iscritti ai programmi sportivi dei college.

    Nata nel 1973, la NCAA è strutturata in tre divisioni denominate D-1, D-2 e D-3, le prime due delle quali possono offrire borse di studio a copertura parziale o totale delle rette scolastiche nelle università di appartenenza.

    L’importo totale delle borse ammonta a circa 46 miliardi di dollari all’anno, una cifra esorbitante per i criteri europei, ma assolutamente proporzionata al volume di affari generato dal sistema scolastico statunitense.  

    Ognuna delle 314 scuole della Division-1, ad esempio, può offrire dodici borse di studio per ciascuno sport che vi si pratica, di un importo variabile dai quindici ai centomila dollari per ognuno dei due semestri in cui sono divisi i quattro anni di studio.

    In altre parole, un giocatore o una giocatrice che vengono selezionati dal coach di una squadra di College Tennis può frequentare l’università di quella squadra avendo tutta o buona parte della retta pagata. Il Tennis, perciò, diventa lo strumento per garantirsi tutta o parte della formazione universitaria negli Stati Uniti, la quale a sua volta apre le porte a un’infinità di opportunità.


    IL PERCORSO DI SELEZIONE

    Come prevedibile, entrare in una squadra del College Tennis e per di più con una borsa di studio è un obiettivo ambito dai ragazzi e dalle ragazze di tutto il mondo, pertanto la concorrenza è molto agguerrita. Tuttavia, il sistema americano è del tutto improntato alla meritocrazia per cui se si hanno le qualità giuste e soprattutto se si fanno le cose giuste, avere successo non è affatto impossibile.

    Lo sa bene Mattia Pastore, che è stato un ottimo giocatore di College e che proprio durante gli studi ha fondato UNI Student Advisors, un’agenzia che aiuta i ragazzi e le ragazze che vogliono andare in America a fare tutte le mosse giuste per riuscirci. Tornato in Europa, Mattia ha conseguito ben due Master ed è diventato un giovane imprenditore internazionale di grande successo. Un ottimo esempio perfetto di dove possa arrivare un giovane tennista disposto a impegnarsi.

    La prima cosa da sapere se si vuole candidarsi a una borsa di studio”, ci racconta, “è quella di muoversi per tempo”.

    La composizione e la distribuzione delle borse varia a seconda della scuola, e le offerte ai giovani atleti possono essere fatte anche un anno e mezzo prima della partenza del semestre. Quindi, il terzo e il quarto anno delle scuole superiori è il momento giusto per iniziare il percorso di selezione. Che è lungo e complesso, ma non impossibile, specie se si ha una buona conoscenza della lingua inglese. Nelle sue “Basic Recruiting Information” la USTA (United States Tennis Association) fornisce tutte le informazioni riguardanti il processo di selezione, che avviene online e che può essere gestito autonomamente se non si hanno le competenze (anche linguistiche) necessarie.

    In ogni caso, è possibile appoggiarsi a una delle molte agenzie specializzate che per una cifra di alcune migliaia di euro offrono servizi di questo tipo, seguendo i ragazzi dal primo all’ultimo step.

    Ma bisogna fare attenzione” suggerisce Mattia, “perché non tutte le Agenzie hanno lo stesso livello di affidabilità. Bisogna fare attenzione ad alcuni elementi che devono insospettire, come la richiesta di firmare un accordo in esclusiva o l’impossibilità di contattare altri ragazzi che in precedenza hanno usufruito degli stessi servizi. E soprattutto, non devono esserci garanzie di successo. L’ottenimento di una Scholarship dipende da moltissimi fattori, primo fra tutti le esigenze delle scuole, e quindi nessuno può avere la certezza di ottenerlo”.

    Ai consigli della USTA se ne aggiunge uno ancora più determinante che non si trova in nessuna application: provare se possibile l’esperienza in anticipo.

    Ce ne parla con grande passione Claudio Pistolesi, ex numero uno juniores, campione italiano di singolo, ottimo professionista e poi coach di professionisti del calibro di Monica Seles, Simone Bolelli e Daniela Hantuchova.

    È importante che i ragazzi capiscano subito che dovranno uscire dalla propria comfort zone, preparandosi a una situazione in cui la famiglia non sarà presente. Dovranno esprimersi bene in una lingua che non è la loro, relazionarsi con persone provenienti da culture diverse in cui anche il modo di intendere una battuta, ad esempio, è diverso. Ma anche cavarsela da soli quando si tratta di rifarsi il letto, fare il bucato e fare acquisti, saper gestire il tempo senza sprecarlo, fare la doccia rapidamente per poi lasciarla libera e pulita al proprio compagno di stanza. Tutte cose che, se provate in anticipo, danno la possibilità di capire prima se le sfide del progetto-College sono alla propria portata”. Ed è proprio questa una delle mission della Claudio Pistolesi Enterprise, la società che Claudio ha fondato insieme alla moglie Cristina a Jacksonville, in Florida, e che ha già aiutato più di cinquanta ragazzi ad avvicinarsi al College Tennis.

    Claudio Pistolesi

    L’idea è nata nel 2013, ma ha preso forma guardando crescere mio figlio adottivo Yannick come giocatore di College e soprattutto facendo a mia volta il coach. All’epoca gli italiani che si candidavano per le borse di studio erano pochissimi, ma mi resi subito conto che non c’era nessun motivo per cui anche i nostri ragazzi, se ben preparati, non potessero ambire alle stesse opportunità. Per cui ho iniziato a lavorarci, aprendo una strada che poi nel tempo si è dimostrata vincente per i ragazzi e le loro famiglie. Ora nella nostra struttura ogni estate almeno venti ragazzi arrivano per provare l’esperienza e prepararsi alle selezioni. Di questi, circa la metà poi al College ci va davvero, e soprattutto lo porta a termine, e questa è la nostra più grande soddisfazione. Vivono l’esperienza del college ancora prima del College, ne capiscono i meccanismi, si confrontano in campo coi loro giocatori, lavorano sui propri punti deboli e infine conoscono i coach migliori, che in genere sono ex-giocatori e che io conosco personalmente in virtù della mia carriera di coach e di Pro.”

    Consapevole del proprio ruolo, la CPE agevola i ragazzi che lo meritano creando percorsi personalizzati, e anche collaborando con iniziative non-profit come “Fallo di piede” (link all’articolo di TennisTalker), che quest’anno per la prima volta in Italia ha lanciato un bando destinato proprio ai ragazzi che volevano avvicinarsi al College Tennis.

    Ci siamo trovati subito in perfetta sintonia con gli organizzatori di questa bella manifestazione, ed abbiamo partecipato con grande piacere. Questo luglio abbiamo avuto qui con noi per due settimane Matilde Ercoli e Marco Lorenzon, due sedicenni molto promettenti che grazie a questo programma hanno prima lavorato con dei manager sugli aspetti attitudinali e motivazionali, e poi ci hanno raggiunto in Florida per partecipare ai nostri programmi. E sono tornati a casa non solo con un bagaglio tecnico aumentato, ma con un’esperienza umana splendida, la consapevolezza di poter tornare l’anno prossimo e addirittura con qualche biglietto da visita di coach in tasca”.

    Marco Lorenzon e Matilde Ercoli

    LA VITA NEL CAMPUS

    Studiare e giocare è molto impegnativo” racconta Mattia Pastore “ma negli Stati Uniti il sistema è molto diverso dal nostro. Si studia di meno, ma si studia meglio. E poi, le università offrono molte agevolazioni a chi le rappresenta sportivamente, come la possibilità di avere flessibilità su date e tempi degli esami, le ripetizioni gratuite e un’assistenza dedicata. In altre parole, se ci si impegna davvero ce la si fa tranquillamente, ed è un’esperienza bellissima. Gli studenti-atleti, durante il loro periodo di permanenza nella squadra seguono i corsi e partecipano ai campionati allo stesso tempo. La NCAA regola l’impegno sportivo limitando a otto ore alla settimana il numero massimo di ore di allenamento o gioco settimanali che il giocatore deve garantire, ore che salgono a venti durante la stagione agonistica. Un bell’impegno, ma fattibile”.

    Bisogna fare anche attenzione alla scelta dell’Università” aggiunge Federico Terreni, ex 2.4 e giocatore dello Young Harris College in Georgia. “La mia Università era meravigliosa, con una struttura all’avanguardia e dodici campi da tennis bellissimi, biblioteca e dormitori, tutto quello che veniva messo a disposizione dei duemila studenti era ai massimi livelli. Ma si trovava anche in un posto molto isolato e io, unico italiano, non avevo la possibilità di spostarmi se non con la squadra per le gare. In più essendo nel sud degli Stati Uniti non ha mai avuto campi coperti, ma ora il clima è cambiato per cui spesso ci capitava di … spalare la neve prima di giocare! Ecco perché è sempre meglio affrontare seriamente il percorso di selezione e andare sul posto prima. Anche l’aspetto accademico è importante. Se, come nel mio caso, l’intenzione è quella di avviarsi a una professione come quella dello psicologo, è meglio verificare subito come la laurea americana si integra con i risultati accademici italiani, altrimenti si rischia di vanificare i propri sforzi”.

    E DOPO?

    Appurato che ottenere una Borsa di Studio non è impossibile, e che sostenere il ritmo di uno Studente/Atleta è alla portata di una persona in gamba, rimane da capire se il gioco vale la candela, e cioè se alla fine del percorso di studi l’impegno viene ripagato. Che la risposta sia “si” appare scontato, che sia un grande se non enorme invece è meno noto, e soprattutto ancora in pochi stanno ragionando correttamente sull’evoluzione del tennis Professionistico, e su quanto questo abbia a che fare con il college tennis. Proviamo a dare un contributo.

    Per cominciare, I NUMERI.

    Negli Stati Uniti si trovano cinquanta delle prime cento università migliori a mondo, e il tasso di occupazione dei laureati a un anno dalla fine del percorso di studi è prossimo al 100%. Il salario minimo di ingresso è in media quattro volte superiore a quello dei loro coevi italiani, e il loro tasso di disoccupazione irrilevante. I canali di sbocco dalle università sono pressoché infiniti, ed abbracciano il mondo delle aziende, le libere professioni, tutti i settori possibili. Chi si laurea negli Stati Uniti ha di fatto un grande futuro davanti a sé.

    Non solo. Non molti sanno che fra i laureati che si candidano per le posizioni all’interno dei programmi per i giovani talenti, i tennisti sono quelli più ambiti dalle aziende.

    Un concetto che l’Amministratore Delegato di una società appartenente al “Fortune 500” (l’indice delle 500 maggiori imprese societarie statunitensi misurate sulla base del loro fatturato redatta dall’omonima rivista) ha sintetizzato in maniera mirabile: “Assumo tennisti ogni volta che posso. Sono i più preparati alla vita”.

    Guardiamo il tennis dalla sua prospettiva. Un laureato che proviene dall’agonismo tennistico ha delle caratteristiche che le aziende moderne cercano con attenzione: grande cultura del lavoro, capacità di gestire le emozioni, abitudine a confrontarsi con le sconfitte e le vittorie.

    Inoltre, come Studenti-Atleti hanno sviluppato abilità rare nei loro coetanei e preziose nel mondo del lavoro: time management e multitasking.

    E’ dello stesso avviso Paola Vezzaro, Group Talent Director Global Regions di Engie, e International Talent Director. “I laureati che hanno fatto un’attività sportiva di alto livello aggiungono al loro curriculum un’esperienza differenziante che ha permesso loro di sviluppare competenze quali la resilienza, l’impegno, la disciplina. Se lo sport è di gruppo, anche lo spirito di team. Credo che un’esperienza all’estero (USA inclusi) sia un’ottima opportunità da cogliere. Il timore è umano, ma il ritorno dell’investimento è sempre positivo. Il confronto con realtà diverse permette di sviluppare una maggiore consapevolezza personale e un’apertura mentale che difficilmente si riesce a sviluppare se si vive in un solo paese. Si tratta in ogni caso, di un periodo della vita temporaneo che permette il rientro in Italia se desiderato. Inoltre, gli studenti italiani che studiano all’esterno dopo gli studi all’estero, sono aperti ad andare nel paese che offre le migliori opportunità professionali, e ad oggi l’Italia è raramente in testa alla classifica”.

    E gli effetti si vedono. “Tutti i miei ragazzi” racconta Claudio Pistolesi, “dopo il College hanno avviato carriere fantastiche. Alcuni lavorano a Wall Street, altri sono nella Consulenza Manageriale, altri ancora sono diventati Psicologi, medici, tutti hanno trovato la loro strada.

    E non è tutto. Non va dimenticato che le Università americane hanno ottimi programmi di formazione sportiva, e producono professionisti nei settori della preparazione atletica, della fisiatria, della medicina agonistica, tutte discipline che offrono ampi sbocchi nel mondo sportivo universitario e professionale.

    Due mondi al posto di uno, anzi tre, ed è la sorpresa che non ci si aspetta, e sulla quale ancora pochi hanno riflettuto.

    Agli US Open appena conclusi, e anche nei tornei precedenti delle US Series, Ben Shelton e Christopher Eubanks hanno rubato l’occhio degli spettatori salendo alla ribalta del tennis che conta.

    Ben Shelton @nytimes.com

    Sono le young guns americane, le giovani promesse, ma al di là dell’età hanno fra di loro in comune una cosa che li accomuna ad altri pro come John Isner, Danielle Collins, Cameron Norrie, Jennifer Brady, Mackenzie McDonald, Maxime Cressy, Marcos Giron, Brandon Nakashima e molti altri prima di loro, primo fra tutti Kevin Anderson: sono giocatori di College Tennis.

    Il fatto è” spiega Pistolesi “che la situazione oggi è molto più vantaggiosa per gli Studenti-Atleti rispetto al passato. Tanto per cominciare, la maturità fisica arriva molto più tardi rispetto ai miei tempi. Becker vinceva Wimbledon a diciassette anni e a trenta si era pronti per il ritiro. Per cui se finivi di studiare a ventidue anni, avevi di fatto già perso il treno del professionismo. Ma oggi si matura fisicamente a ventisette anni, e si rimane competitivi fino a trentacinque se non oltre, il che significa che per esordire nel circuito a ventidue, quando il college finisce, non è affatto tardi. Inoltre, il livello tecnico delle competizioni di college si è elevato per effetto dell’ingresso dei ragazzi stranieri, forti e motivati, e con esso la qualità media dei giocatori e delle giocatrici. Un match di college tennis oggi ha poco da invidiare a quello di un ATP500, lo sforzo fisico richiesto nell’anno è simile, ecco perché i College Players si adattano così facilmente alla vita dei Pro”.  

    Una lezione con Claudio Pistolesi a Jacksonville in Florida

    E poi c’è un’ultima cosa che fa la differenza, e che agli occhi degli operatori del settore invece è chiarissima. “Un ragazzo che finisce il college e poi tenta la carriera da Pro ha molta meno pressione del suo coetaneo che sta facendo la stessa cosa passando attraverso i challenger. Gioca infatti con una laurea in tasca, il che gli garantisce un futuro con delle opportunità comunque vada. In pratica gioca sul velluto, senza il patema di fallire da un giorno all’altro. E in più, al termine della carriera, avendo studiato è in grado di gestire molto meglio sia il ritorno alla vita non agonistica, sia la ricerca di opportunità proprio in quel settore, come allenatore, come manager e perché no, come imprenditore. Ecco perché sempre più giovani scelgono il College Tennis. Gli anni fra i 18 e i 22 sono devastanti, si è in competizione con altri ventimila giocatori nel mondo che vogliono la tua stessa cosa, e solo trecento di loro riescono a diventare professionisti. Affrontare quella fase senza pressioni è un vantaggio incredibile. Io stesso, se tornassi indietro al momento in cui ero numero uno al mondo juniores, riconsidererei in maniera molto diversa la proposta che mi aveva fatto la Pepperdine University di Malibù”.

    E non dimentichiamo il Girls’ power: le università americane praticano la Diversity nell’assegnazione delle loro borse di studio a livello nazionale. Ma buona parte di quelle maschili vengono drenate da sport a forte componente maschile come il Basket o il Football, per cui negli altri sport abbondano quelle per le ragazze. Quindi le possibilità di ottenerle sono statisticamente molto maggiori.

    I bamboccioni, le famiglie, i maestri

    Abbiamo spiegato che con il College Tennis il futuro di un sedicenne bravo a scuola e con una buona classifica si prospetta come segue: quattro anni di impegno assoluto, ma con la possibilità di avere tutto pagato. Successivamente, una carriera professionale molto ben pagata, oppure un lavoro nel mondo sportivo, oppure ancora diventare un Top 100. E con la possibilità che una cosa non escluda l’altra.

    Sufficiente per far accorrere ragazzi a frotte da Mattia Pastore, da Claudio Pistolesi o a Fallo di piede? Nient’affatto, i nostri ragazzi che tentano questa strada, secondo Mattia e non solo, sono circa l’1% di quelli che potrebbero. Una percentuale disarmante, specie se confrontata a quella di altri paesi, specie nell’est europeo.

    E fra quelli che arrivano al College, tanti tornano indietro, anche per lo stile di vita americano che talvolta scoraggia i ragazzi italiani al primo anno di college inducendoli a rinunciare.

    È la cosiddetta “crisi di rigetto”. Cibo diverso, mancanza della famiglia e degli amici, usi e costumi diversi, sono tutti fattori difficili da considerare in anticipo per i loro effetti, ma molto importanti quando si è sul posto.

    Dipende molto dal singolo individuo” ci racconta Pastore “io ho scoperto che lo stile di vita anglosassone fa al caso mio, al punto che di rientro dagli Stati Uniti mi sono stabilito a Londra. Tuttavia, capisco che per i giovani italiani, specie se poco abituati a viaggiare, si tratti di un problema. All’inizio mi ero detto di pensare positivo, ricordando a me stesso che in fondo l’Italia era sempre lì ad aspettarmi ogni volta che fossi voluto tornare. Inoltre, un po’ le cose sono molto cambiate negli ultimi anni, e gli standard alimentari in America ad esempio sono molto migliorati, sia nei ristoranti che nei supermercati, se hai la pazienza e la voglia di cucinare”.

    Parliamo di ragazzi, Maestri e famiglie anche con Ugo Pigato, ex professionista e coach della figlia Lisa, promettente ventenne già ben posizionata nei ranking di singolo e doppio, e punto di riferimento per i maestri a livello nazionale.

    Lo sport è molto cambiato negli ultimi anni. C’è molta più informazione a livello familiare, ad esempio, i genitori sanno a cosa vanno incontro i propri ragazzi tentando la carriera tennistica, cosa che non succedeva anni fa. Questa informazione tende però a trasformarsi in eccesso di pressione per i figli e le figlie. Il meccanismo è sempre lo stesso. Arrivano i primi buoni risultati, e si creano le prime aspettative, Si alza l’impegno, aumentano le spese per sostenerlo. Ma poi il livello si alza e inevitabilmente arrivano le prime sconfitte. Ne seguono altre, magari più delle vittorie, e si alza la tensione. La famiglia, il coach, tutto l’ambiente che circonda il giocatore finisce ‘sotto inchiesta’. La logica conseguenza è che Il risultato diventa l’unica cosa che conta, perché è l’unica cosa che ripaga le aspettative. Ed ecco che si arriva al punto di rottura in cui il giovane, che nel frattempo è maturato, riesce a padroneggiare il meccanismo, oppure lo rompe smettendo di giocare. Ma il problema sta all’origine, bisogna giocare, e far giocare, per crescere, non per diventare campioni”.

    Su questa lunghezza d’onda si inserisce il College Tennis, che consente una maturazione sportiva ed umana contestuali, alleggerendo la pressione. “E garantendo alternative”, aggiunge Pigato. “L’altra mia figlia, Giorgia, anche lei molto promettente, ha scelto di studiare grazie al Tennis negli Stati Uniti, si è laureata, ha conseguito un Master e adesso vive e lavora lì”.

    La famiglia fa una scelta di vita, investendo sui ragazzi, ma deve farlo in maniera consapevole, e considerando tutte le opzioni.

    E in tutto questo, il coach, il Maestro, ha un ruolo fondamentale.

    È indubbio” spiega Pigato “che l’uscita di un ragazzo per l’esperienza al College Tennis rappresenti una perdita economica per il Maestro e per il Circolo. Io stesso ne ho avuti una decina che hanno fatto questa scelta. Bisogna però, come professionisti, riflettere meglio. Prima di tutto, quello che all’inizio può essere un problema, poi può diventare una leva commerciale potentissima. Un maestro che sa creare opportunità per i ragazzi che vanno anche oltre il risultato sportivo, alla fine fattura di più. Perché attira più ragazzi, che arriveranno con in mente la possibilità di fare la stessa cosa. Inoltre, non bisogna mai scordare il proprio ruolo di insegnante, che deve favorire la crescita dell’individuo. La quale a sua volta contribuisce alla crescita della collettività. Sono i concetti che stiamo utilizzando nel progetto Cantera, il nuovo centro sportivo e residenziale che sta nascendo a Baranzate di Bollate, alle porte di Milano. Vogliamo creare un luogo dove i giovani e le loro famiglie possano trovare un ambiente sano, di livello internazionale, in grado di far loro esprimere le loro potenzialità, sia sportive che umane”.

    Un ragazzo che va al college è un ottimo investimento sia per i Maestri che per le famiglie” aggiunge Mattia Pastore. “In Italia, tradizionalmente, la famiglia risparmia per comperare ai figli la casa quando si sposano, o la macchina quando si laureano, mentre negli Stati Uniti e in altri paesi lo fa per finanziare la migliore istruzione possibile. E se non hanno risparmi, sfruttano il sistema delle borse di studio facendosi finanziare per la parte restante. Non spendono, investono, un tipo di mentalità che è alla portata anche delle famiglie italiane, che infatti sempre più numerose si avvicinano a questi aspetti”.

    In conclusione, oggi come mai prima la racchetta non è solo un attrezzo, ma uno strumento magico che può portare i ragazzi e le ragazze in gamba davvero molto lontano, a patto che loro e le loro famiglie vogliano impegnarsi e uscire dalla propria comfort zone.

    Attenzione però, l’inglese è il punto di partenza di tutto. Il livello conseguito nel test SAT, obbligatorio per le selezioni, contribuisce in maniera determinante al punteggio di ingresso al College, che a sua volta definisce la Division alla quale si può accedere.

    Ma che l’inglese sia la chiave di tutto, non solo nel tennis, le nostre young guns lo sanno già!

    Paolo Porrati

  • Sta per tornare la Lesa Cup – parte prima

    Sta per tornare la Lesa Cup – parte prima

    Anche quest’anno TennisTalker sarà media partner del torneo ITF 25.000$ che si svolge nella bellissima location di Lesa sul Lago Maggiore dal 20 al 27 agosto

    Per il terzo anno consecutivo, TennisTalker sarà presente a Lesa per raccontarvi tutto quello che succederà, in campo e fuori dal campo, durante il torneo ITF 25.000$ che si svolge allo Sporting Lesa.

    Vi racconteremo i match più avvincenti, conosceremo da vicino i giocatori e ci divertiremo durante gli eventi che si susseguiranno durante il torneo.

    Le prime due edizioni sono state un gran successo di pubblico e di risonanza mediatica al punto che molti dei giocatori che vi hanno partecipato hanno definito il torneo come uno dei migliori del circuito ITF.

    Ma chi sono i tennisti che hanno giocato nelle prime edizioni?

    Generalmente le prime teste di serie che partecipano ai tornei ITF, sono fra la posizione 200 e 300 del ranking mondiale. Ogni turno superato vale punti validi per la classifica ATP e sono quindi il passaggio obbligatorio per poter sognare in grande.

    Capita quindi che spesso arrivino giocatori “sconosciuti” ai più, ma che dopo un paio di anni siano già fra i protagonisti del circuito maggiore.

    Non ci credete? Vi raccontiamo la storia di alcuni dei giocatori che hanno giocato la Lesa Cup.

    In questo articolo parleremo dei giocatori italiani che si sono distinti per i risultati ottenuti negli ultimi anni e nel prossimo “TennisTalkeremo” i giocatori stranieri che, dopo la Lesa Cup, sono diventati protagonisti del circuito.

    Nella prima edizione della Lesa Cup, la testa di serie numero 1 era Alessandro Bega.

    Alessandro Bega – Foto Roberta Corradin

    Bega ha raggiunto, nel 2016, la posizione 259 ATP e la Lesa Cup è stato uno degli ultimi tornei ai quali ha partecipato perché l’8 dicembre del 2021 si è ritirato dal circuito professionistico. Ma non dal mondo del tennis.

    Dopo pochi mesi lo abbiamo infatti ritrovato accanto alla giocatrice Ajla Tomljanovic in qualità di coach. Accanto a lui, la tennista croata naturalizzata australiana ha ottenuto il suo best ranking nell’ottobre del 2022, raggiungendo la posizione numero 33 della classifica WTA.

    Molti si ricordano di lei anche per essere stata la fidanzata di Nick Kyrgios prima e di Matteo Berrettini dopo. Così come testimoniato dalle telecamere di Netflix durante la prima stagione della serie Break Point, dove è spesso inquadrato anche Alessandro Bega (clicca QUI per leggere l’intervista fatta da TennisTalker a Bega dopo la messa in onda della serie TV).

    Ma tralasciando il gossip e ritornando a Bega giocatore, alla Lesa Cup 2021 ha disputato un ottimo torneo: finalista in singolare e vincitore del doppio in coppia con il francese Harold Mayot del quale vi parleremo nel prossimo articolo.

    Ma se la Lesa Cup ha fatto da sfondo all’ormai imminente ritiro di Bega, nel tabellone principale figurava il nome di un certo Mattia Bellucci che, all’epoca, si aggirava intorno alla 600esima posizione della classifica ATP.

    Mattia Bellucci – Foto Roberta Corradin

    A gennaio 2023, dopo solo un anno e mezzo dalla sua partecipazione a Lesa, Bellucci ha raggiunto il suo best ranking salendo fino alla posizione 142 ATP.

    Matteo ha solo 22 anni e il 2022 è stato l’anno delle sue prime vittorie importanti: si è aggiudicato 5 tornei ITF, ha superato le qualificazione nel torneo Challenger di Verona, a Saint Tropez ha vinto il suo primo Challenger in carriera seguito subito dalla vittoria anche nel Challenger di Vilnius.

    Quest’anno, per la prima volta, ha debuttato nel tabellone principale di un torneo slam. Superando infatti le qualificazioni degli Australian Open ha potuto disputare un ottimo match di primo turno contro Bejamin Bonzi che lo ha sconfitto con il punteggio di 4/6 6/3 7/6 6/4. Una vera battaglia!

    Nel recente torneo di Wimbledon si è trovato ad un passo dal raggiungere anche qui il tabellone principale. E’ stato sconfitto solo al terzo e decisivo turno da Dominic Stricker, giocatore svizzero attualmente numero 106 della classifica ATP.

    Ma come era andato il suo torneo a Lesa? Entrato in tabellone grazie ad una Wild Card, perse al primo turno contro l’argentino Facundo Juarez, quindi non benissimo… A noi però piace pensare che Lesa sia stato il suo trampolino di lancio per il 2022!

    Scorrendo il tabellone del 2021 si legge anche il nome di un certo Gianmarco Ferrari, classe 2000, che,  opposto alla testa di serie numero 8, l’argentino Matias Franco Descotte, si dovette subito arrendere per 6/3 3/6 7/6.

    Ma in un anno molte cose possono cambiare e Gianmarco si è ripresentato a Lesa l’anno seguente. Questa volta è però lui ad essere testa di serie, la numero 4, del tabellone principale.

    Sotto l’occhio esperto del suo ex coach, Diego Nargiso, Gianmarco riesce a superare tutti gli avversari e ad arrivare fino alle finale dove si scontra con il suo compagno di accademia, Federico Arnaboldi.

    Federico Arnaboldi, Diego Nargiso e Gianmarco Ferrari – Foto Roberta Corradin

    Un grande successo per i due pupilli di Diego Nargiso che ha potuto serenamente assistere alla partita sapendo che uno dei suoi ragazzi si sarebbe aggiudicato il torneo.

    La spuntò Ferrari che venne letteralmente incoronato “re di Lesa” e fatto accomodare sul trono…

    Gianmarco Ferrari sul “trono” della Lesa Cup – Foto Roberta Corradin

    Quest’anno Ferrari è salito fino alla posizione 296 ATP, suo best ranking, grazie alle tante partite vinte nel corso dell’anno, anche in doppio.

    A maggio ha infatti vinto il torneo di doppio delle pre-qualificazioni degli Internazionali BNL d’Italia e si è aggiudicato una wild card per giocare nel tabellone principale del prestigioso torneo di Roma. In coppia con chi? Proprio con Federico Arnaboldi che qualche mese prima aveva sconfitto in finale a Lesa.

    E riguardando il tabellone del 2022, salta agli occhi il nome del giocatore che Ferrari ha sconfitto al primo turno: Federico Bondioli.

    Federico, classe 2005 quindi ancora Junior, arrivava dalle qualificazioni e nulla ha potuto contro la potenza fisica di Ferrari.

    Ma la sconfitta nel singolare gli ha dato la possibilità di giocare serenamente il torneo di doppio.

    In coppia con Filippo Romano è arrivato fino alla finale dove i due azzurri si sono dovuti arrendere alla coppia danese formata da August Holmgren e Johannes Ingildsen. Ma di loro – e di Holger Rune – parleremo nel prossimo articolo…

    Federico Bondioli e Fillipo Romano – Foto Roberta Corradin

    L’inizio della stagione 2023 è stata scoppiettante per Bondioli: ha giocato agli Australian Open Junior (clicca QUI per il link alla sua intervista realizzata da TennisTalker), ha superato il primo turno a Wimbledon Junior e oggi è al numero 16 della classifica ITF Junior nonché primo degli italiani. Sicuramente una promessa del tennis mondiale.

    Ma non possiamo dimenticare un ex Junior che ha partecipato alla Lesa Cup 2022: Gabriele Piraino.

    Gabriele è stato il vincitore dell’edizione 2019 del prestigioso torneo Bonfiglio e già nel 2021, a 17 anni, aveva conquistato il suo primo punto ATP superando il primo turno nell’ITF 15.000$ di Antalya in Turchia.

    A Lesa ha disputato un ottimo torneo. Al primo turno ha sconfitto la testa di serie numero 3, Giovanni Fonio; al secondo turno la Wild Card Daniele Bagnolini; nei quarti ha sconfitto la rivelazione Luca Castagnola che proveniva dalle qualificazioni e si è poi arreso solo in semifinale contro Federico Arnaboldi.

    A novembre dello stesso anno, Piraino è apparso su tutti i quotidiani sportivi (compreso il Magazine di TennisTalker: link all’intervista) perché è stato chiamato a fare da sparring partner ai giocatori delle Nitto ATP Finals.

    Cercavano un giocatore mancino e quale migliore occasione per il giovane tennista siciliano che si è così ritrovato a palleggiare con campioni come Medvedev e Tsitsipas?

    Gabriele Piraino - ATP Finals 2022
    Gabriele Piraino con Daniil Medvedev e il coach Davide Cocco @ATP Finals 2022

    Un altro nome di rilievo che – a dimostrazione che alla Lesa Cup bisogna essere molto preparati per poter sperare di vincere i propri turni –  nel 2022 è stato eliminato al primo turno è quello di Stefano Napolitano.

    Stefano Napolitano – Foto Roberta Corradin

    Napolitano, ex numero 155 ATP, negli ultimi anni ha avuto alcuni problemi fisici ed è scivolato giù di classifica, ma determinato più che mai a risalire.

    Quest’anno ha fatto parlare molto di sé quando agli internazionali BNL d’Italia, partendo dalle pre-qualificazioni e passando per le qualificazioni, ha raggiunto il tabellone principale (clicca QUI se vuoi leggere la nostra intervista a Stefano Napolitano).

    Subito dopo ha giocato il Challenger 175 di Torino dove, anche qui, ha conquistato un posto nel main draw. Ed è storia recente la sua vittoria nell’ITF 25.000 di Biella.

    Chiudiamo questa prima parte dedicata ai giocatori italiani che hanno partecipato alla Lesa Cup, ricordando che lo scorso anno il numero uno del seeding era Samuel Vincent Ruggeri.

    Samuel Vincent Ruggeri – Foto Roberta Corradin

    Ad agosto aveva raggiunto il suo best ranking ATP (383), ma un problema fisico durante il match di secondo turno contro il danese Ingildsen, non gli ha permesso di concludere nel migliore dei modi l’incontro, terminato per 6/0 al terzo set.

    Ruggeri ha recentemente vinto l’ITF 25.000 di Sharm El Sheikh, il quarto della sua carriera, e pochi giorni fa ha raggiunto la finale all’ITF 25.000€ di Padova sconfitto per un nulla dal francese Tabur.

    Quali campioni del futuro passeranno per i campi dello Sporting Lesa nell’edizione 2023?

    Continuate a seguirci e nel prossimo articolo vi parleremo dei giocatori stranieri che hanno partecipato alle prime due edizioni della Lesa Cup.

  • Wimbledon: oltre al tennis c’è di più

    Wimbledon: oltre al tennis c’è di più

    La gara, le tradizioni, le curiosità che rendono questo torneo il più ambito e desiderato da tutti

    l torneo che tutti i giovani tennisti sognano di vincere, ma che per un inglese è qualcosa più di un sogno (Gianni Clerici)

    Il torneo di Wimbledon è il più antico evento della storia del tennis. La prima edizione, solo maschile, risale al 1877 e il primo vincitore fu Spencer Gore, ricordato anche perché fu il primo tennista ad utilizzare la volée.

    Si dovette attendere il 1884 per veder gareggiare anche le donne e la britannica Maud Watson si aggiudicò il titolo vincendo contro la sorella Lilian. Stessa sorte capiterà molti anni dopo ad altre due giocatrici: Venus contro Serena Williams, le due sorelle dell’era moderna.

    La tradizione vuole che il torneo inizi sei settimane prima del primo lunedì di agosto e si gioca sui campi dell’All England Lawn Tennis Club, situato in Church Road nel sobborgo di Wimbledon che si trova a circa 10 km a sud est dal centro di Londra.

    Inizialmente però, la sede del torneo era in Worple Road, ma nel 1922 si decise il trasferimento perché la struttura non era più adatta ad ospitare l’evento che di anno in anno stava crescendo di importanza e che attirava sempre più pubblico.

    Oggi il torneo si gioca su 19 campi, incluso lo storico Centre Court che in origine poteva contenere 13.810 spettatori. Questo campo viene utilizzato solo durante le due settimane dello Slam, ad eccezione della partita che si è svolta il 17 maggio del 2009 al termine dei lavori di ristrutturazione.

    Per festeggiare infatti la nuova copertura contro la pioggia – fondamentale per proseguire gli incontri considerato, come stiamo vedendo proprio in questi giorni, l’instabile tempo inglese – e l’aumento della capacità dell’impianto a 14.979 spettatori, è stata organizzata un’esibizione di doppio misto fra la coppia Andre Agassi e Steffi Graff contro Tim Henman e Kim Clijsters.

    Tim Henman, Kim Clijsters, Andre Agassi e Steffi Graff – Foto BBC

    Durante l’anno, i prati di tutti i campi sono minuziosamente curati da 16 giardinieri, capitanati dal 2012 da Neil Stubley. Durante il torneo lo staff aumenta a 30 giardinieri.

    L’erba attualmente presenta il 100% di Perennial ryegrass (Lolium Perennial), mentre in precedenza si componeva del 70% di loglio e 30% di festuca perenne.

    Ogni mattina prima dell’inizio degli incontri, l’erba viene tagliata ad esattamente 8 millimetri. Le righe sono disegnate con un particolare tipo di gesso: quando i giocatori la colpiscono con la pallina, si vede chiaramente alzarsi una piccola nuvoletta bianca.

    Uno dei protagonisti del torneo è anche il falco Rufus che ogni mattina, prima dell’inizio dei match, sorvola i campi per tenere alla larga piccioni e altri uccelli che potrebbero infastidire i giocatori durante le partite.

    Il falco Rufus – Getty Images

    I colori ufficiali del torneo sono il verde e il viola. Fino al 1909 però i colori erano il blu, il giallo, il rosso e il verde, come quelli della Marina inglese. Il Board, cioè il Consiglio, decise quindi di modificarli adottando il verde per ricordare l’erba ed il viola per la presenza di 50 mila piante di petunie Calibrachoa che sono appunto di questo colore.

    Anche il trofeo per il vincitore del torneo maschile ha una particolare curiosità legata alla marina inglese. Potete trovare tutto nel nostro articolo del 2020: Perché c’è un ananas sul trofeo di Wimbledon.

    Tutto ciò che ruota attorno all’evento riporta i nuovi colori – verde e viola – tranne l’abbigliamento dei giocatori ai quali viene imposto invece il bianco.

    Questa abitudine risale fin dalla prima edizione del 1877, quando vi partecipavano solo aristocratici e ricchi che potevano permettersi abiti sempre puliti e profumati.

    Inoltre il bianco era stato scelto perché non faceva vedere i poco eleganti aloni di sudore.

    Nel 1963 questa caratteristica diventò una vera e propria regola per arrivare fino al 2014 quando l’Ordine del Gran Slam d’Inghilterra ha imposto che “anche le suole delle scarpe, gli accessori e l’intimo devono essere completamente bianchi”.

    Unica eccezione di colore è ammessa sul collo e sulle maniche, ma per un’estensione che non deve superare il centimetro di spessore. Più ovviamente un piccolo spazio per i loghi degli sponsor che non apprezzerebbero l’esclusione.

    Ed è proprio di quest’anno l’ultima modifica apportata al regolamento. E’ stato deciso infatti di permettere alle giocatrici donne di indossare pantaloncini di un colore diverso dal candido bianco per ovviare ad eventuali problemi durante il ciclo mestruale.

    Una piccola rivoluzione femminista che ha portato a cambiare la regola del total white sui campi di Wimbledon.

    La notizia è stata accolta positivamente dalla maggior parte delle giocatrici, ma non da tutte che hanno sottolineato come, indossare l’underwear di un altro colore, evidenzi proprio il fatto di avere le mestruazioni.

    E se le regole sono fatte per essere infrante, anche il motto Never on Sunday e la tradizione della Middle Sunday non hanno resistito.

    In Inghilterra la domenica era storicamente dedicata solo agli sport minori e ai campionati dilettantistici. Perfino nel calcio la prima partita professionistica giocata l’ultimo giorno della settimana risale agli anni Settanta.

    Infatti fino al 1982, la finale maschile di Wimbledon veniva disputata di sabato e quella femminile di venerdì. Da quella data in poi si decise di cambiare e di spostare l’ultimo atto del torneo maschile alla domenica.

    Ma la tradizione di non giocare la domenica di mezzo – Middle Sunday appunto – ha resistito fino al 2022, meteo permettendo! A causa della pioggia ci sono state tre edizioni in cui si è contravvenuto alla regola (l’ultima nel 2004) e gli organizzatori, per non far slittare troppo il programma degli incontri, hanno permesso di giocare anche di domenica.

    Dallo scorso anno però, il direttore del torneo Ian Hewitt, ha rotto la tradizione e ha aperto le porte del tennis anche alla domenica di mezzo.

    Sicuramente avranno appreso la notizia con gioia tutti i rivenditori di fragole con la panna e di Pimm’s (il liquore tipico inglese inventato nel 1823 da James Pimm), che pullulano fra i campi dell’All England Lawn Tennis Club.

    Si stima che durante le due settimane del torneo vengano consumate in media 27.000 kg di fragole e 8.000 litri di panna.

    Se volete saperne di più sulla tradizione delle fragole con la panna a Wimbledon, potete leggere il nostro articolo scritto nel 2020: Fragole con panna – Il torneo di Wimbledon.

    Sicuramente le fragole sono apprezzate anche dai 250 raccattapalle, i famosi ballboys o ballpersons come si dice oggi, che quotidianamente corrono da una parte all’altra dei campi per “servire” i giocatori.

    Per raggiungere il traguardo di poter passare una pallina a Djokovic o a alla Swiatek, i ragazzi devono innanzitutto superare una rigida selezione e la loro preparazione è frutto di un allenamento di 5 mesi che prevede flessioni, salti, scatti e la corretta postura nel passare le palline.

    E se un giocatore durante un match rompe una corda? Nessun problema, il team di incordatori è composto in media da almeno 20 persone, ognuna altamente specializzata e in possesso di un Master di incordatore.

    Solo al termine di una selezione che prevede varie prove pratiche si può sperare di essere ammessi nel team. E c’è anche chi detiene il record della racchetta incordata più velocemente: 14 minuti.

    Wimbledon non è solo il tennis giocato!

  • I regionali nel panorama mondiale: un anno dopo

    I regionali nel panorama mondiale: un anno dopo

    I migliori agonisti del Friuli Venezia Giulia nel panorama mondiale

    E’ tempo di un confronto temporale con una carrellata sui nostri competitor regionali in cerca di allargato lustro tennistico internazionale, estrapolando dal gruppo sempre i migliori, quelli che continuano il viaggio nei teatri agonistici che assegnano punti mondiali Itf, Atp, Wta. In particolare segnalando le prime ammirevoli escursioni accompagnate (quando va bene) da prize money spesso insufficienti a centrare il pareggio delle spese sostenute. Ma per i primi passi verso la carriera da professionista non c’è all’inizio via meno ardua per le giovani racchette per uscire dal tran tran dei tornei e delle gare a squadre nazionali che danno una certa notorietà ma che non assegnano visibilità e sviluppo internazionale.

    Questo é il passaggio difficoltoso a meno che il soggetto non si presenti già nelle gare vertice di under e nel contesto internazionale degli junior come un vero fenomeno, al punto da far convergere sulla sua racchetta agevolazioni e contributi dalla federazione nonché concreti interessi da parte degli attenti sponsor. La speranza in questi casi é che il precoce fenomeno sia in grado di mantenere lo status prodigioso (fisico e mentale) anche nei primi approcci dentro il duro sentiero dei grandi, superando avversari molto risoluti e soprattutto mantenendo le aspettative con l’iniziale certezza di andare sempre incontro a sacrifici logistici, ingenti esborsi ed a molte rinunce sociali.

    Riccardo Bonadio.  Ecco un giocatore che con la sua notevole esperienza potrebbe far da apripista ai giovani, quelli decisi a salire sul trampolino che può incominciare ad introdurre il tennis superiore.

    Lo scorso anno il 29enne pordenonese vantava inizialmente il best ranking Atp n. 263, alla fine del 2022 il gradino occupato brillava nel n. 174. Un salto di ben 89 posizioni e di più allargati orizzonti di gioco che, uniti alla grinta di rimanere tra i Top 200, gli consentiva di allinearsi senza patemi alle qualificazioni di tutti i quattro Slam, mancando per un soffio anche il main draw di New York.

    Da ricordare che per migliaia di agonisti di ottimo livello la partecipazione alle qualificazioni Slam incarna il sogno accarezzato da una vita!

    Il rovescio ad una mano di Riccardo Bonadio

    Riccardo é uno dei rari esempi di abilità tennistica coniugata alla forza interiore fisica e mentale. Doti che gli hanno consentito di vincere in carriera 1 challenger e 10 gare Itf in singolare, 14 gare in doppio e di raggiungere le finali per ben 26 volte nelle due specialità, inclusa la vibrante finale nel challenger di Trieste persa contro il talento spagnolo Carlos Alcaraz, oggi in vetta al mondo.

    Attualmente l’instancabile giramondo di Azzano Decimo, sempre alla ricerca di punti caldi per la classifica, salta dai campi sintetici di “down under”, con presenza Slam a Melbourne, verso l’arcipelago spagnolo delle Canarie dove sta perseguendo un filotto di presenze nei challenger organizzati a Tenerife.

    Nel palcoscenico nazionale il suo recente passaggio nel team bolzanino del Tc Rungg prelude maggiori prospettive di continuità e qualità del suo gioco, visto il livello dei contendenti che animano il campionato di A1.

    Per dare una misura delle performance del nostro giocatore basti pensare che per trovare un atleta regionale che in tempi moderni abbia raggiunto livelli di ranking e di resa così elevati bisogna scandagliare l’archivio tennistico per ben 37 anni, fino ad incontrare il profilo di Marco Armellini.

    Giacomo Dambrosi.  Il simpatico pivot giuliano é stato perseguitato da tempo da un doloroso problema al piede sinistro. Menomazione inabilitante con partite interrotte, allenamenti ridotti all’osso, prolungate e altalenanti assenze dai tornei, proprio nel momento cardine della sua carriera. Tutti motivi che lo hanno spinto all’intervento chirurgico nella speranza di un esito positivo e risolutivo. Ripartirà tra qualche mese, dopo una sosta agonistica coatta, iniziata nell’estate scorsa. La speranza é quella di polverizzare il suo ormai datato best ranking n. 671 e di riguadagnare il troppo tempo smarrito. In questa impetuosa risalita sarà sempre supportato dalle cure tennistiche dell’onnipresente Mosè Navarra.

    Pietro Pampanin. Il ventenne triestino che ha il merito di aver portato in Fvg un epocale primato tricolore nella categoria under 16 di singolare, da un paio di anni ha puntato all’obiettivo di una carriera da professionista. Oggi vanta una classifica FitP come 2.3, mentre le sue migliori credenziali Itf lo vedevano al numero 76. E’ autore di un piacevole rientro di tesseramento in regione nei ranghi del suo circolo “natale” il Tc Triestino.

    Per gli allenamenti prosegue nel gruppo formativo Horizon Tennis Home di Massimo Sartori, società vicentina che da poco si é arricchita anche della presenza di Andreas Seppi, allievo storico di Max Sartori fin dai suoi primi passi in Alto Adige. Il gruppo dei giovani agonisti sarà seguito dal duo composto da Nicola Ceragioli e dal friulano Marco Cepile. Pietro, con molta perseveranza e viaggiando per ben 37 tornei nei più disparati circoli europei, è stato capace di mettere insieme i primi punti validi per l’ingresso nella classifica Atp dove denuncia come high rankings il n. 1202, conseguenza di alcune buone prestazioni nei tabelloni principali conquistati in terra di Grecia, Austria e Bosnia.

    Alessio Tramontin.  Superando momenti duri senza scoramenti e senza cedere di grinta, il 19enne di Roveredo in Piano (PN), riesce a muovere i primi passi nella classifica Atp. Oggi occupa l’appartamento n. 2079 in doppio, disciplina che lo vede particolarmente ispirato grazie al suo ottimo tempismo nei pressi della rete.

    Anche lo Sporting Club Sassuolo, dove si allena e gioca in formazione, crede nella sua propensione verso la gara a coppie, schierandolo anche nei match clou del massimo campionato. 

    Il doppio Della Valle/Tramontin contro il duo Mager/Fognini

    Lo attesta anche la foto tratta dal suo spazio facebook durante la partita giocata a fianco di Enrico Dalla Valle e vinta per 7-6 6-3- nei confronti del favoritissimo tandem Mager/Fognini. E’ il momento di puntare su una stagione 2023 densa di appuntamenti nel circuito Itf. La crescita qualitativa è innegabile, ora necessita anche la vidimazione di una classifica adeguata.

    Margherita Marcon.  Le primavere sono solo 17, il processo graduale di crescita tennistica procede nei tempi previsti (attuale 2.4), le attenzioni e le convocazioni per gli allenamenti ai centri della federazione nazionale sono routinarie e la voglia di emergere si riscontra in particolare nelle spedizioni di dicembre in Tunisia alla caccia dei primi pesanti punti mondiali. Sintomatica la dicotomia dei sacrifici con le sue coetanee: mentre la Marcon sgobba sui rettangoli di gioco nel golfo di Hammamet, le sue compagne di classe si infiorettano per la festa di San Silvestro. Ha fatto una scelta giusta Margherita perché una semifinale raggiunta nel 25mila di Monastir, con l’aggiunta delle altre sortite nei main draw precedenti, le valgono il ranking n. 1210 in singolare. E’ un punto di partenza per una giovane seria che la incoraggia e la motiva dopo la cessazione della squadra di casa la Gt Tennis di Moruzzo, spentasi per carenza di agoniste in squadra. 

    Margherita Marcon

    Può ricominciare a Mestre al Green Garden in serie C dove la stanno attendendo ansiosamente, ponendola al centro di un nuovo importante programma di sviluppo come team femminile di punta di tutta la provincia di Venezia.

    Sofia Ferraris.  Non ha ancora punteggi internazionali, anche se fra poco inizierà le frequentazioni nei tornei under 14 di Tennis Europe che sviluppano un ranking progressivo nei vari scaglioni degli under. E’ una ragazzina dodicenne già capace di guadagnarsi a suon di risultati la considerazione dei tecnici nazionali, con conseguenti convocazioni nelle formazioni nazionali azzurre e le numerose chiamate per gli stage tecnico-tattici. Le sue frequentazioni agonistiche internazionali negli ultimi due anni iniziano con il titolo nel Tennis Trophy Kinder vinto a Manacor nell’Academy di Rafael Nadal, e spaziano dalla Russia alla Slovenia, dalla Croazia alla Francia, mentre nel palmarès italiano brilla la semifinale conquistata nella tappa Tennis Europe U.12 di Trieste. Da poco ha ottenuto la classifica FitP 2.8 e nel suo profilo si riscontrano, tra le vittime, anche alcune concorrenti di seconda categoria, mentre in campo regionale è competitiva anche tra molte rivali sedicenni.

    Sofia Ferraris con la maestra Paola Voli

    E’ parzialmente seguita negli allenamenti dal tecnico nazionale Alberto Tirelli, mentre sistematicamente viene allenata al Tc Novapalma dalla maestra Paola Voli che spesso riesce ad accompagnarla anche nei tornei: dagli insegnamenti individuali al diretto vissuto.

    fausto serafini

  • Avete già guardato la serie Break Point su Netflix?

    Avete già guardato la serie Break Point su Netflix?

    Noi l’abbiamo fatto e ne abbiamo parlato con Alessandro Bega, allenatore di Ajla Tomljanovic, una delle protagoniste delle varie puntate

    Break Point è un documentario avvincente ed istruttivo che ci permette di spiare più da vicino alcuni protagonisti del grande tennis, maschile e femminile.

    Nel corso delle 5 puntate, vediamo i giocatori fuori dal campo quando dopo un match festeggiano la vittoria oppure si trovano a dover analizzare la sconfitta; conosciamo più da vicino le loro famiglie; ascoltiamo i loro discorsi con gli allenatori e con i manager.

    Quando si spengono le luci della ribalta dell’incontro, si accendono quelle di Netflix e solo allora cominciamo a conoscere più da vicino i protagonisti.

    Ajla Tomljanovic, ex fidanzata di Matteo Barrettini – ma quando è stata girata la serie erano ancora una coppia – è una delle protagoniste del documentario ed è allenata da Alessandro Bega, ex giocatore professionista, che ci ha raccontato come è stato gestire la quotidianità sotto i riflettori.

    Alessandro, come è nata quest’avventura?

    Ajla è stata contattata fin da subito dalla produzione e le hanno chiesto se fosse interessata a partecipare ad una nuova serie dedicata al tennis. I produttori – Paul Martin e James Gay-Rees –  sono gli stessi di “Formula 1: Drive to Survive”.

    Come venivano organizzate le riprese?

    La troupe durante l’anno ci ha seguito tantissimo. Sono stati presenti in tutti gli Slam, più tutti gli ATP 1000, praticamente erano sempre con noi. Quello che si vede nella serie non è neanche un millesimo di quello che hanno filmato!

    E’ stato facile adattarsi alla costante presenza delle telecamere?

    All’inizio è stato un po’ strano, ma piano piano ci siamo abituati. Devo dire che più passava il tempo e più ci siamo divertiti anche perché abbiamo cominciato ad avere maggiore confidenza con la troupe e durante i match anche gli operatori tifavano per Ajla.

    Vi dicevano cosa fare, c’era qualcosa di concordato?

    No no, di concordato non c’era nulla. Ci dicevano solo di cercare di essere il più naturali possibile. Qualche volta ci chiedevano se potevano venire a cena con noi proprio per poterci riprendere nei momenti extra tennis che in fin dei conti è proprio quello che il pubblico vuole vedere.

    Ajla Tomljanovic e Alessandro Bega

    E infatti guardando la seconda puntata, dedicata principalmente a Matteo Berrettini, la coppia è filmata anche nella loro stanza d’hotel dove il caos regna sovrano. Esattamente l’opposto di Felix Auger-Aliassime che nel quinto episodio viene ripreso finchè ordinatamente prepara la sua valigia.

    Guardando i vari episodi si conoscono da vicino anche altri giocatori e dedicando una frase per ciascuno, potremmo sintetizzare così.

    Il bad boy australiano Nick Kyrgios fuori dal campo non è per nulla un bad boy.

    Maria Sakkari confessa di bere un sacco di caffè e ci rivela che per 4 giorni si è ritirata dal tennis, ma poi ci ha ripensato.

    Taylor Fritz ha vinto Indian Wells con una caviglia infortunata.

    Paula Badosa confessa di aver sofferto di depressione proprio a causa del tennis.

    Ons Jabeur desidererebbe tanto avere un figlio.

    Secondo Chris Evert la Tomljanovic è troppo gentile: “A volte là fuori devi essere un po’ stronza. Devi essere cattiva”.

    Toni Nadal ammette di aver tifato per il nipote, anziché per il suo giocatore Felix Auger-Aliassime quando si sono affrontati al Roland Garros. Un conflitto d’interessi che lo ha portato ad assistere alla partita in una zona neutra dello stadio e ad allontanarsi dal campo alla fine del quinto set.

    E voi come vi sareste comportati nei panni di zio Toni?

  • Cosa ci resterà di questo 2022

    Cosa ci resterà di questo 2022

    Nel farvi gli auguri per un felice 2023, riviviamo insieme gli avvenimenti più importanti che hanno coinvolto il mondo del tennis, in campo e fuori dal campo

    Come banalmente si fa ad ogni fine stagione, vorremmo anche noi di TennisTalker soffermarci a fare una breve analisi di questo anno che sta terminando.

    In attesa di conoscere i risultati del nostro sondaggio – se non avete ancora votato potete farlo qui fino al 31 dicembre – e di sapere quali sono stati i vostri giocatori preferiti del 2022, vediamo cos’è successo in giro per il mondo.

    Sicuramente il primo grande nome che ci viene in mente è quello di Roger Federer.

    Roger Federer
    Roger Federer

    Il suo ritiro non ci ha stupiti, ma ci ha lasciati con la consapevolezza che difficilmente rivedremo una tale eleganza on court. L’annuncio affidato ai canali social il 15 settembre, è stato l’anticipazione di quanto sarebbe poi successo a Londra durante la Laver Cup. Fossimo stati i proprietari della Kleenex, forse un pensierino nello sponsorizzare la manifestazione si poteva fare. Quanti fazzoletti sono stati utilizzati durante il discorso di King Roger! E come dimenticare le lacrime di Nadal? Immagini che devono rimanere nella storia del tennis, quella bella.

    Ma sono tanti i campioni che si sono ritirati nel 2022: Del Potro, Tsonga, Simon, Kohlschreiber, Serena Williams, il nostro Seppi solo per citare i più noti. Ma cosa faranno adesso?

    Il tennista argentino, uno dei più amati e fisicamente sfortunati, ha recentemente rilasciato un’intervista ai microfoni di La Nacion: “Purtroppo non sono ancora pronto per passare oltre, non riesco ad andare oltre il tennis. Non so cosa facciano gli altri atleti in queste situazioni, ho provato più volte a tornare in campo ma ho capito a Buenos Aires che ero andato troppo oltre. Sono mesi che cerco di capire come sarà la mia vita senza il tennis, sto valutando altre cose“.

    Siamo certi che dopo tante vittorie e gli ottimi guadagni conquistati sul campo e fuori dal campo, tutti questi ex giocatori possono meritatamente prendersi un po’ di pausa e riflettere sul loro futuro senza troppe preoccupazioni.

    Escludendo i “soliti” Nadal e Djokovic, il 2023 si preannuncia quindi come l’anno dei poco più che adolescenti, ma ormai già campioni affermati nonostante la loro giovanissima età.

    Se pensiamo che la somma degli anni di Alcaraz, Rune, Musetti e Sinner non arriva al secolo, si capisce come i quasi 26 anni di Berrettini lo facciano già sembrare un veterano del circuito.

    E proprio lo spagnolo ha vissuto un 2022 da favola. Ha vinto gli US Open, due Master 1000 (Madrid e Miami) ed è diventato il più giovane  numero 1 del ranking ATP di tutti i tempi. Secondo voi riuscirà a mantenere questo livello anche nel prossimo anno?

    Torino 16 Novembre 2022 ATP Finals Carlos Alcaraz premiato come n. 1 ATP nel ranking di fine anno Foto Giampiero Sposito

    In una recente intervista al quotidiano saudita Arab News, il suo allenatore Juan Carlos Ferrero ha detto: “Dopo la vittoria degli US Open, è stato difficile per Carlos adattarsi allo status di numero 1, ma penso che sia una pressione positiva e che lo farà crescere” e ha poi aggiunto: “Non deve sentirsi arrivato, la strada è ancora lunga e ha solo 19 anni. Ci sono ancora dettagli migliorabili sul dritto, sul rovescio e vorrei che fosse più aggressivo in risposta”.

    E forse pensare che un giocatore ai nostri occhi perfetto come Alcaraz possa avere ancora dei margini di miglioramento, ci fa ben sperare per le nostre sicuramente più modeste ambizioni tennistiche per il 2023.

    Purtroppo però le ambizioni di pochi sono andate a scontrarsi, nel vero senso della parola, con la vita di molti. Stiamo parlando della guerra, scoppiata feroce ed inattesa, lo scorso 24 febbraio.

    Il conflitto fra Russia e Ucraina ha inevitabilmente coinvolto anche il mondo del tennis e i suoi giocatori.

    Svitolina, Rublev, Medved, Kasatkina, Azarenka – per citare solo alcuni – si sono trovati catapultati in un mondo estraneo al loro e il tennis si è improvvisamente trovato a fare i conti anche con la politica.

    Succede così che il più antico e prestigioso torneo di tennis al mondo, Wimbledon, decide di escludere dalla competizione tutti i giocatori russi e bielorussi. E le reazioni non si sono fatte attendere. Da Bertolucci a Panatta, da Djokovic a Nadal, tutti si sono schierati dalla parte dei giocatori.

    E c’è anche chi è passato dal combattere in campo armato di racchetta e palline a combattere nel campo armato di fucile. E’ il caso del tennista ucraino Dolgopolov che in un’intervista al Daily Mail ha dichiarato: “Il tennis mi ha preparato alla guerra. Grazie al tennis ho imparato a pensare velocemente, riesco a lavorare bene sotto pressione e non mi faccio prendere molto dal panico. Le decisioni sbagliate possono costare la vita”.

    Ma se Dolgopolov si trova costretto a combattere con le armi, Rublev combatte a modo suo con un pennarello e immancabilmente a fine partita scrive sulla telecamera “Pace, pace, pace”.

    La firma di Rublev sulla telecamera

    E chissà che da lassù Nick Bollettieri, uno dei più grandi ed innovatori coach degli ultimi 40 anni che ci ha recentemente lasciati, non possa mettere una parola buona con chi ne sa sicuramente più di noi e che ci faccia trovare sotto l’albero qualche spiraglio di dialogo.

    Buon Natale a tutti i TennisTalkers

    Vanna Rizzo

  • Paolo Canè: 1982-2022, dalla Coppa Valerio ai fab four azzurri di oggi

    Paolo Canè: 1982-2022, dalla Coppa Valerio ai fab four azzurri di oggi

    Sono trascorsi quarant’anni, ma per Paolo Canè sembra ieri quando a Lesa sconfigge lo spagnolo Sanchez e regala la Coppa Valerio alla squadra azzurra. «Sono ricordi che rimangono per sempre, anche perché un appuntamento come quello di Lesa è uno di quelli che segnano inevitabilmente la carriera di un tennista, ti danno un’indicazione precisa sulla tua strada.

    A Lesa giocavo con Marcello Bassanelli, Michele Fioroni e Massimiliano Narducci, e abbiamo dovuto superare due squadre molto forti, che con l’Italia si giocavano sempre la Coppa, Svezia e Spagna».

    La gara decisiva è stata quella con gli spagnoli, il match tra Canè ed  Emilio Sanchez: «Una partita combattuta fino all’ultimo punto; siamo andati due set pari – ricorda Canè – e alla fine l’ho spuntata dopo una maratona sul campo. È stata una grandissima soddisfazione anche perché la Federazione ci teneva moltissimo, puntava molto su noi giovani».

    Con la vittoria di Lesa Canè ha avuto la strada spianata verso il professionismo «ma non bisogna pensare a un passaggio automatico, semplice, è proprio il contrario: entri in una dimensione diversa e non è detto che se tra gli under 18 fai faville poi debba essere così anche nel circuito professionistico. È vero però che se hai disputato certi tornei importanti come la Valerio ricevi delle indicazioni chiare, probanti su quello che potrai fare tra i “grandi” del tennis».

    Per spiccare il salto nel professionismo occorre abbinare maturazione mentale e fisica, «e non è semplice, infatti lo si può vedere dopo, anche oggi, chi davvero ha la capacità di resistere al ritmo e alla molteplicità degli impegni che il circuito professionistico esige».

    Quanto al panorama odierno Canè non ha dubbi: «Un tempo il tennis era molto più spettacolare, ma va detto subito che se dobbiamo fare il confronto tra quello della mia epoca e quello del 2022 parliamo di due sport completamente diversi. Una volta il grande tennis era soprattutto talento unito alla tecnica, con l’elemento fisico che era più defilato, contava di meno; oggi è l’esatto contrario: la potenza, la forza fisica sono determinanti, è il tennis dei grandi picchiatori, dei servizi a velocità siderale, del gioco a rete diventato quasi impossibile. Chi riuscirebbe ancora a fare il gioco di Ivanisevic e Cash, dove era la volée a fare la differenza?».

    C’è un avversario che Canè considera il più grande, Mc Enroe: «L’ho incontrato e anche battuto. Secondo me è stato il tennista più completo, con la maggiore varietà di colpi, un talento assoluto unito ad una grinta incredibile e una preparazione tecnica straordinaria».

    Da commentatore televisivo Canè segue da vicino i big azzurri: «Dobbiamo dire loro “grazie di esistere!”, perché sono bravissimi e stanno promuovendo il tennis in un modo eccezionale. Lo vediamo a tutti i livelli, nei circoli, nella nuova passione e interesse che c’è verso questo sport. È grazie a loro se il tennis italiano sta conoscendo una nuova epoca d’oro». E allora riassumiamoli con una parola pro capite: «Fognini gioca straordinariamente bene perché ha un grande talento; Musetti dalla sua ha la varietà del gioco; Berrettini e Sinner esprimono al meglio il tennis di oggi, la grande potenza. Tutti e quattro hanno un bagaglio tecnico strepitoso, ci sono tutte le condizioni perché per dieci anni il tennis italiano sia al top!».

  • Camporese: «Lesa, una delle più belle location al mondo per il tennis».

    Camporese: «Lesa, una delle più belle location al mondo per il tennis».

    Mancano pochi giorni al via della seconda edizione della Lesa Cup ed uno degli storici protagonisti delle Coppe Valerio disputate sul lago Maggiore, Omar Camporese, ricorda la sua partecipazione.

    «Ne ho un ricordo straordinario – dice il campione reso celebre dal turbodiritto – anche perché avevamo vinto. Giocavo insieme a Pistolesi, Colombini e Baldoni e abbiamo sconfitto la Svezia, che aveva fior di giocatori. In particolare ho un ricordo molto vivo del campo centrale, credo uno dei più belli che abbia visto in carriera, e dell’intero impianto in cui si svolgeva il torneo, una location straordinaria sul lago. Per me è stata un’esperienza magnifica».

    Camporese sottolinea un particolare, l’attenzione che c’era in passato per i tornei under: «Li disputavamo tutti perché ti aiutavano moltissimo a crescere. Ti confrontavi con gli avversari, capivi quanto e se avevi migliorato, tornei come il Bonfiglio o la coppa Valerio a Lesa erano un esame obbligato che dovevi affrontare per salire di livello. Allora anche la Federazione teneva moltissimo alla partecipazione ai tornei under, perché sono la miniera dei futuri professionisti e dei campioni. Da lì capivi se potevi davvero fare del tennis la tua professione».

    Perché il passaggio al professionismo, osserva Camporese, era dannatamente difficile: «Entravi in un altro mondo, io ci ho messo quasi un anno per vincere un incontro da professionista, l’approccio è stato molto complicato». Non può mancare un confronto tra l’epoca d’oro di Camporese, i primi anni Novanta quando aveva toccato il numero 18 del ranking e per tre anni consecutivi era stato il numero uno in Italia, e l’oggi: «A mio parere la qualità media dei giocatori era più alta: l’esempio me lo offre un confronto tra le classifiche. Negli anni Novanta dei primi venti del ranking, 14 avevano vinto almeno uno dei tornei del grande Slam o un equivalente del Master 1000, oggi sono in quattro. C’è una bella differenza e qualcosa vorrà pur dire».

    A settembre Bologna, la città di Omar, ospiterà la Davis all’Unipol Arena di Casalecchio di Reno, e per uno come Camporese che in Davis diventava un tennista epico, sarà come incontrare di nuovo la manifestazione della vita: «Negli anni Novanta Bologna era diventata un punto di riferimento per il tennis italiano e non solo. La città ha attraversato un periodo d’oro sotto il profilo sportivo: c’eravamo io e Canè per il tennis, la Virtus e la Fortitudo che dominavano nel basket, nello sci Tomba faceva un’impresa dopo l’altra e il Bologna Calcio aveva un genio come Baggio. La Davis è l’occasione per tornare ad altissimi livelli». Intanto il 22 agosto parte la Lesa Cup e chissà che Omar non faccia un salto sul lago Maggiore, per rivedere il famoso campo centrale…   

  • Laver, Mc Enroe, Nadal e Berrettini: il grande tennis di Sergio Tacchini

    Laver, Mc Enroe, Nadal e Berrettini: il grande tennis di Sergio Tacchini

    A 83 anni gioca ancora almeno una o due volte la settimana «contro un ragazzino di poco meno di 70 che disputa il senior Tour. E mi diverto ancora moltissimo. Del resto, com’è possibile fare a meno del tennis?».

    Sergio Tacchini è entrato nella storia delle racchette non solo per i cinque titoli nel doppio e la finale di Davis, ma per avere rivoluzionato l’ambiente, prima colorando un mondo tutto in white, poi con l’ingresso dei testimonial. Se oggi il tennis è un meccanismo professionistico di precisione una buona parte del merito ce l’ha il tennista-imprenditore di Novara che in campo ha portato la moda.

    Quanto è alta ancora la febbre da racchetta?

    «Altissima. Non c’è settimana che non giochi almeno una partita, quando è possibile due. Purtroppo, a causa di un intervento chirurgico ho avuto una sosta forzata di quattro mesi, ma sto riprendendo. Il tennis mi piace, sia praticarlo che guardarlo».

    Tennis e tivù; è un binomio che funziona o è solo un matrimonio di convenienza?

    «Per la diffusione e la popolarità di questo e di tutti gli altri sport la televisione è essenziale. Nel caso specifico del tennis i miglioramenti tecnici delle riprese sono stati enormi; oggi la televisione riesce a trasmettere lo spettacolo e le sue emozioni, quindi diverte, appassiona e moltiplica gli appassionati».

    Per il tennis italiano si profila un altro anno d’oro: come valuta i nostri top?

    «Berrettini è un grande giocatore sul veloce; Sinner è molto bravo anche sulla terra. Mi sembra particolarmente interessante Musetti perché sta crescendo veramente bene e credo che vada seguito con attenzione».

    Dei tre chi sceglie?

    «Berrettini, ha personalità, tiene benissimo il campo ed è un giocatore molto corretto. La sua forza, non solo tecnica e fisica, la conferma la capacità che ha avuto di superare momenti molto complicati, che avrebbero messo in crisi altri».

    Dalla trinità italiana a quella internazionale: un giudizio prima da tifoso e poi da tecnico.

    «Sono un nadaliano, perché mi affascina il suo modo di giocare, la sua mentalità. Federer sta su un altro pianeta per la perfezione, la qualità del gioco; Nadal non ha il suo talento ma ha una condizione mentale e fisica incredibile, che gli hanno permesso una serie di exploit straordinari. Djoko non ha il talento di Federer nè la forza fisica di Nadal, ma supplisce con una preparazione, una volontà e un bagaglio tecnico che lo hanno portato ad essere un fuoriclasse, come gli altri due. Il problema è che questi tre atleti, per motivi anagrafici, sono entrati nella parabola discendente». 

    A proposito di Djoko e la polemica sui vaccini, lo promuove o lo boccia?

    «Se c’è una regola deve valere per tutti: può anche crearti disagio, ma è giusto adattarsi e seguirla. Infatti poi ha pagato un prezzo per questa vicenda, perché le soste forzate a questi livelli non sono facili da superare».

    Torniamo agli anni Sessanta, quando Tacchini vinceva titoli e coppe: chi è stato il più grande che ha incontrato?

    «Il più grande di sempre, Laver. Aveva tutto, poteva giocare anche su un tavolo da ping pong e avrebbe fatto meraviglie».

    Un ricordo personale di Laver…

    «Torneo di Amburgo, che oggi sarebbe classificato tra i 1000, perché partecipavano tutti i campioni. Mi tocca come avversario proprio Rod, una battaglia di quasi quattro ore. Al terzo set siamo 5 pari e io covo il sogno di fare l’impresa, poi lui serve e va sul 6-5. Tocca a me il servizio e mi gioco il tutto per tutto, ma accade qualcosa che lì per lì non capisco: mentre sto per servire lo vedo che compie un movimento con la racchetta dall’alto verso il basso; servo e dall’altra parte arriva un missile imprendibile, e in cinque minuti perdo una battaglia durata quattro ore. Cos’era successo? Quel movimento era il modo con cui Laver trovava il massimo della concentrazione, della precisione e della potenza, e non ce n’era per nessuno».

    Che differenza c’è tra quel tennis e quello di oggi, tra i campioni anni Sessanta Settanta e i top di millenials e boomers?

    «Il paragone è improponibile, non si possono fare confronti. Il motivo è molto semplice, sono due tennis totalmente diversi: sono cambiate le attrezzature, le racchette di oggi non hanno nulla a che spartire con quelle con cui giocavamo noi, sono cambiate le superfici di gioco, le preparazioni, gli allenamenti».

    Lei ha cambiato il colore del tennis, da bianco al technicolor: come è nata l’idea?

    «Ho pensato che le divise colorate sarebbero state più divertenti, avrebbero stimolato l’inventiva e la fantasia degli stilisti e degli imprenditori e avrebbero dato anche maggiore visibilità a questo sport. Abbiamo iniziato con quattro colori, l’idea ha funzionato e da lì è iniziata una piccola, grande rivoluzione per il tennis, un pò come stava accadendo nella società per i movimenti del ‘68».

    Quale reazione ebbero i suoi primi campioni testimonial, in particolare Mc Enroe?

    «Gli propongo di provare calzoncini e polo di quella che sarebbe poi stato uno dei modelli di maggiore successo, la Young Line, lui prova e mi dice “Ma questo è un costume da bagno, perché non c’è una cintura a chiuderlo, ma un filo», e io gli rispondo “Non preoccuparti, è una cosa nuova, cambierà una mentalità”, e lui ” se lo dici tu, mi fido, vuol dire che funziona”».

    Chi è Mc Enroe?

    «E’ stato uno dei più grandi campioni della storia del tennis, con una personalità incredibile, ma anche una persona autentica, con cui condivido da anni una profonda amicizia. Per parecchio tempo all’inizio di ogni anno le nostre famiglie si trovavano a cena proprio per festeggiare l’anno nuovo, lui non mancava mai, ci teneva. L’ultima volta che è venuto in Italia sono andato a trovarlo con i miei nipoti; li ha visti “sono i tuoi nipoti?”, ed è corso ad abbracciarli e a indicarmi come un esempio da seguire. Mi sono commosso».

    Torniamo al periodo di grande smalto del tennis italiano: che merito ha la federazione in questa crescita?

    «Ha avuto un ruolo importante e ha introdotto due novità che reputo particolarmente positive per la crescita del movimento tennistico: l’aiuto economico ai giovani talenti per prepararli all’ingresso nel mondo del professionismo, che non è per nulla semplice; la creazione di un canale televisivo dedicato al tennis, una bella idea perché certamente concorre ad aumentare il pubblico degli appassionati».  

  • Al Rodean Garros s’insinua il tendine di Achille

    Al Rodean Garros s’insinua il tendine di Achille

    Un piccolo comune vanta un complesso tennistico posizionato in una sua minuta frazione dal nome di Rodeano Basso. Se poi il circolo addetto nel coordinare tutte le attività sportive dimostra particolare dinamismo, ecco scaturire un torneo maschile con il limite alla terza categoria che mutua il suo titolo, giocando sul nome del famoso Slam francese. E’ quanto esprime, alle premiazioni, il popolare presidente del Tc Rive D’Arcano Adelino Barbetti, rivolto ai presenti e con a fianco il giudice arbitro e Delegato provinciale di Udine Giuseppe Petrei. Il dirigente non manca di menzionare con una punta di commozione la dedica della gara al socio e amico scomparso Luca D’Angelo.

    Alla chiamata del sodalizio rispondono racchette del territorio regionale che danno vita ad una infuocata settimana di combattimenti, in senso competitivo ed anche in senso ambientale, viste le condizioni rese estreme dalle persistenti ondate di calore. Sono cinque le liste necessarie per arrivare alla scrematura del main draw, dove in particolare si distinguono per accanimento e generosità i principianti 4.Nc che aspettavano ansiosamente questa riproposizione della gara dopo la sosta biennale per il Covid-19.

    rodean garros
    Brandon Loglio

    Il tabellone principale vede al primo posto del seeding il 3.1 Loglio Brandon del Tc San Vito mentre al lato opposto presidia la sezione bassa il 3.1 Graziano Battello del Tennis Ronchi, ma l’esperto giocatore dalle 42 primavere deve troncare il suo viaggio alla prima fermata ad opera del bravo 15enne Giacomo Taddia, 3.4 del Tc Martignacco, il quale in rimonta fa suo il match tie-break per 10-7. Per il ragazzino è un risultato positivo che lo ripaga, il turno successivo, dal disco rosso agitato per 6-3 6-4 da Ignazio Sardina del Tennis Modus, scattato fino alla passerella finale senza subire agguati durante il tragitto.

    rodean garros
    Ignazio Sardina

    Per Loglio, primo del tabellone, un passaggio parzialmente intralciato nei quarti dal 3.4 Davide Nobile, altro 15enne del Tc Martignacco in particolare evidenza, mentre in semifinale regola in due parziali Stefano Zanet che, insieme ai due precedenti giovani, completa il magnifico terzetto degli under 16 allenati dal maestro Filippo Miconi sui campi martignacchesi.

    La sfida accompagnata da una temperatura di 35° si delinea nei colpi più pungenti dei due: il dritto insidioso e spesso in spin del mancino Sardina e l’arioso rovescio ad una mano di Loglio che non disdegna soluzioni repentine in slice, sia in back sia in chop. Nel primo spettacolare set scambi di potenza, fisico e varietà premiano la maggior precisione, l’impetuoso gioco di spinta dal fondo e la difesa degli angoli di Loglio, abile nel chiudere per 6-3.

    Nel parziale successivo parte meglio il tenace ed instancabile Sardina che sembra aver preso le misure dell’impaziente rivale, il quale butta all’aria punti importanti con improbabili sbracciate ed approssimative smorzate.

    Ignazio riesce a non subire le conseguenze di una sua caduta, ma successivamente paga pesantemente la scivolata nel tentativo di recuperare una palla corta dell’avversario in fase di recupero, purtroppo, vedendo riacutizzarsi la dolorosa infiammazione al tallone d’Achille del piede sinistro. E’ quanto basta per alzare bandiera bianca e per ritirarsi dal torneo in vantaggio per 4 a 3 con servizio a disposizione, valutando che nel migliore dei casi la gara sarebbe proseguita a lungo e le conseguenze sarebbero state di gran lunga peggiori.

    rodean garros
    Premiazione del finalista Ignazio Sardina

    Così il 43enne istruttore palermitano, giocatore di tempra, fresco vincitore del torneo di San Daniele, poco presente in altre competizioni e in odor di cambiamento dal circolo di approdo in Friuli, é costretto a lasciare il trofeo al 21enne Brandon Loglio, atleta di qualità dal gioco aggressivo e fantasioso, frenato nella sua salita al miglior ranking da insufficienti allenamenti e talvolta da un carattere un po’ troppo irruento che finisce per danneggiarlo.

    rodean garros
    Premiazione del vincitore Brandon Loglio

    Da menzionare la chiusura della Quarta categoria dominata da due over 50 con vittoria per 6-2 6-4 di Paolo Indovina, gloria del club organizzatore, su Giacomo Pustetto del Tennis Fagagna.

  • Come giocare contro il potente colpitore?

    Come giocare contro il potente colpitore?

    Durante il decorso del tempo, attraverso l’ausilio dei nuovi materiali, il gioco è cambiato. La struttura profonda, il suo DNA, resta comunque inalterato. Questo perché i modi per conquistare il punto sono sempre tre, e passano attraverso l’errore gratuito, quello procurato, e la giocata vincente. Principi già discussi nei precedenti articoli di questa rubrica. Dunque, sono comparsi nuovi tipi di tennista, seppur sempre riconducibili al ceppo originale della stirpe di riferimento. Quanto detto è accaduto, per esempio, nella famiglia degli attaccanti. Il classico gioco di servizio e volée è stato in buona parte sostituito da quello dei colpitori, autentici bombardieri di rimbalzo del fondocampo.

    Restano comunque evidenti le stigmate originarie di appartenenza al vincolo comune degli attaccanti, le quali si manifestano in alcune significative caratteristiche. L’irruenza e il desiderio di far presto rimane un segno distintivo immutato, così come la dotazione di un servizio importante. Eppure, ciò che differenzia l’attaccante classico dal colpitore moderno si compendia nell’uso della volée, progressivamente sempre meno impiegata. In tal modo, la giocata di volo è stata sostituita da un colpo di rimbalzo roboante, una sorta di strumento per la distruzione di massa. Di norma, quest’azione possiede le sembianze di un diritto “killer”, in alternativa in altri interpreti l’arma letale prende forma attraverso una soluzione bimane. In particolare, questo strumento offensivo, prevale dal centro del campo.

    In questo modo il rovescio, un tempo stampella strategica del diritto, grazie al dilagare del rovescio bimane si è trasformato. Strada facendo, si è tramutato in un secondo diritto, condotto dall’arto contro laterale. In parole volgari, dal braccio e dalla mano opposti rispetto a quelli dominanti. Per queste ragioni, anche la risposta al servizio del colpitore risulta di gran lunga più robusta rispetto a quella del classico attaccante. Lo smash, invece, marchio di fabbrica originario di questa stirpe, ha conosciuto nel colpitore più di una sensibile involuzione. Del resto, il continuo evolvere di una disciplina sportiva che mira forse verso l’utopia della perfezione, attraverso il continuo montare, smontare e rimontare i pezzi, può incorrere anche in qualche intoppo. Di conseguenza, il colpitore a differenza dell’attaccante classico, ha sviluppato una certa allergia nei confronti di rimbalzi bassi, quelli tanto amati dai tennisti di volo. Di fatto, il colpitore gradisce proprio quelli opposti: quelli alti.

    Rimbalzi alti, oggi particolarmente di moda grazie all’omologazione dei campi di nuova generazione. Superfici che, a differenza di ieri, permettono ai rimbalzi vertigini un tempo impensabili. De facto, promuovono situazioni favorevoli al colpitore ponendolo nella condizione ideale per riuscire ad accendere i motori, quindi permettere loro il massimo sfogo in termini di rude potenza ercolina. Ma più ancora, palle alte, significa avere la possibilità di schiacciare le traiettorie impiegando quelle meno curve e dirette, quindi esprimere velocità sempre più elevate. Il fatto ha inoltre determinato un curioso adattamento evolutivo antropometrico della specie, da parte di questi interpreti. Mi spiego! Per riuscire a salire sopra questi superrimbalzi i tennisti attuali sono diventati sempre più alti. In pratica, il tennis pare essere divenuto uno sport in cui l’altezza determina la disciplina, come avviene nel basket o nella pallavolo. Giocatori di stazza che balbettano di volo e si disimpegnano di rimbalzo, è questo il risultato di tanta sapienza innovativa. Una novità che strizza l’occhio al tennis muscolare a spese di quello artistico, è possibile osservare. Sinceramente, penso che il fatto faccia sorridere, visto come il sistema complice di questo accadimento proclami poi la guerra al “doping”. Quanto appena detto, è magari un tema da affrontare in un prossimo appuntamento.

    Per cui, tornando all’argomento in questione, la domanda è: come bisogna comportarsi contro questa nuova specie di attaccante, più attrezzata per il fondo campo e meno abile sotto rete?

    In primo luogo, come già enunciato, se l’attaccante classico mal digerisce le palle alte il colpitore mal sopporta quelle basse. In particolare, quest’ultimo, soffre il continuo cambiamento di ritmo. Quindi, in questo caso, variare traiettorie, rotazioni, angoli, velocità e profondità dei colpi, è sempre un’ottima idea. Una buona regola rimane sempre quella di produrre scambi lunghi, improntati ad un progressivo logoramento psicofisico. Mantenere una prestazione di qualità in termini di potenza, quando il tempo di gioco si dilata, è un’impresa difficilissima. Ecco perché il colpitore va lavorato ai fianchi.

    Così, cercate di muoverlo, evitando di tirare nel centro del campo alla mercé del dritto avversario e, laddove non ci fosse alternativa, mantenete la palla bassa. Ribadisco, prolungate lo scambio usando tutti gli ingredienti utili per variare ritmo fino a quando vi sarà offerta l’opportunità di attaccare. Un momento nel quale non dovrete esitare per colpire avanzando verso la rete. Però, in questo specifico caso, potrete far leva su una ulteriore sorpresa: la palla corta. Il colpitore la patisce tremendamente e, inoltre, nei pressi della rete si trova spesso nei panni del famoso pesce fuori dall’acqua. Infine, cercate di non farvi staccare nel punteggio, il colpitore predilige la situazione di vantaggio, lo aiuta a tirar fuori il meglio di sé. La situazione di parità e di svantaggio lo rendono invece molto più vulnerabile.

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  • Ma chi è Rafael Nadal?

    Ma chi è Rafael Nadal?

    Nadal riscrive la storia al Roland Garros. E il fatto non finisce certo qui! Salvo infortuni, il maiorchino tornerà nei prossimi mesi numero uno, posizione che manterrà almeno fino al febbraio 2023. La prima volta dello spagnolo al vertice del tennis mondiale occorreva nell’agosto 2008. Così, a mio avviso, Rafael arriverà a firmare sedici stagioni agonistiche, in termini di estensione tra la prima e l’ultima volta al comando. Mai nessuno come il “Matador”! Senza entrare nell’assurda discussione sul tennista più forte di ogni tempo lui ribadisce, malgrado sia ancora in attività, il proprio posto tra gli immortali del tennis.

    Ma più ancora, illustra l’arte del gioco in modo diretto anche a quelle tante menti ipnotizzate dagli onnipresenti hightlights televisivi. In diverse interviste rilasciava dichiarazioni circa uno stato di forma instabile e sulle difficoltà nel creare gioco con la sua chela mancina. Difatti, contro Aliassime, Djokovic e Zverev veniva spesso surclassato negli scambi, sovente privi di quella profondità necessaria per evitare guai. Sballottato da una parte all’altra del campo come una scricchiolante scialuppa tra le onde della tempesta, così appariva Nadal anche agli occhi meno attenti. Eppure, il Signore della terra battuta, polvere rossastra testimone vitale del respiro del gioco, riusciva a non perdersi dentro il labirinto della partita. Affrontava la materia oscura, quell’essenza capace di far calare le tenebre rendendo le giornate buie, difficili. Senza lasciare spazio a brutti pensieri digeriva gli errori con maestria, cucendo sapientemente la trama sul fondo campo: il giardino di casa. Riusciva a opporre una resistenza formidabile dilatando la tempistica dell’incontro. Tra una parabolica e un fendente, tra una rotazione e una tagliatella, cambiava ritmo e profondità ad ogni azione.

    Arditi quanto improvvisi attacchi di servizio e volée completavano un gioco a tutto campo, novello specchio deformante dentro al quale gli antagonisti riflettevano progressivamente timori e insicurezze. Del resto, il capolavoro per eccellenza, quello di sopravvivenza compiuto nel secondo set contro Djokovic, è già parte della letteratura del tennis. Una sublimazione in grado di superare l’immaginazione di Alexandre Dumas, in quel conte di Montecristo prigioniero nello Chateau d’If. Vinto il primo set e in vantaggio nel secondo per tre a zero con l’incontro tra le mani, subiva il ritorno perentorio del Nole furioso. Così, il Djoker, consumava il rivale infilando in rimonta sei giochi a uno, per conquistare il secondo parziale per sei game a quattro. In quegli attimi, quando la sorte sorrideva benevola al serbo, occorreva il miracolo passato inosservato a molti addetti ai lavori. Nel momento dominato dal gioco avversario, Rafael cedeva il set in oltre ottantacinque minuti di gioco, ma non si spezzava. Una prestazione eccezionale!

    Com’è possibile saper perdere in questo modo, resistendo a una situazione tanto avversa per un tempo così lungo, subendo un violento bombardamento tennistico? Cari amici appassionati, è proprio questo l’evidente marchio di fabbrica, la grande meraviglia capace di illustrare l’immensa psicologia di Rafael Nadal, alimentata da una passione inesauribile. In tal maniera, proprio mentre lo spagnolo perdeva, trovava la chiave per la vittoria. Dimostrava nuovamente come la disciplina “dei gesti bianchi” sia soprattutto basata sulla mente, in cui ballano gli aspetti emotivi e cognitivi. Molti robotici colleghi e colleghe di racchetta, provvisti del solo piano “A”, in una tale circostanza arriverebbero a perdere anche un torneo, vien da pensare. Di certo non si limiterebbero a concedere un solo set! Così, “Rafa”, rientrava nella contesa trascinando il “Djoker” dentro una regale, quanto a suo modo lusinghiera, lotta nel fango. A tutti gli effetti, solo i campioni autentici conoscono gli irti sentieri che caratterizzano le partite infinite, le sole in grado di restare nella memoria degli appassionati per sempre.

    Concetti forse del tutto ignoti al marketing, così come ai tempi televisivi nei quali oramai anche l’arte del gioco pare assumere i connotati dello spot pubblicitario. Grazie all’impresa di Nadal crollano gli hightlights dei colpi vincenti, superficiale illusione mediatica attraverso la quale viene illustrata la disciplina.  Cadono i falsi dei, stritolati nel complesso labirinto della partita: la casa del vero tennis. La NextGen è ancora la ExGen, il resto è la solita cronaca di diritti e di rovesci.

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    Ecco la locandina!

    Luca Bottazzi
    Luca Bottazzi – Stage Courmayeur
  • Mister Number One!

    Mister Number One!

    Rafael Nadal si ferma a Indian Wells. Resta a novantuno successi in carriera a tre sole lunghezze da Ivan Lendl. Contestualmente, la stagione dello spagnolo resta sorprendente, viste le premesse che precedevano questo 2022. Stoppato ai box causa infortunio nella seconda parte della scorsa stagione, il maiorchino non era certo di ritrovare il suo tennis. Figuriamoci la sua miglior interpretazione, quella da fuoriclasse. Eppure, grazie a una psicologia straordinaria, in grado di farne un esempio di assoluta professionalità, Rafael conquista nuovamente lo scenario. Sbaraglia la concorrenza, oggi più che mai composta da giovani ai quali regala un vantaggio enorme, in termini di Primavere.

    In questo modo, in California, sopravviveva nel primo turno a Sebastian Korda, rimontando un terzo set compromesso e quattordici anni di differenza. Superava con una certa disinvoltura il britannico Evans e l’americano Opelka prima di imbattersi nel ciclonico australiano Nick Kyrgios, al quale lo separano quasi dieci anni di età. Una lunga e logorante battaglia portava Rafael, novello Odisseo della racchetta, sull’isola del feroce Carlos Alcaraz un vorace cannibale con la metà dei suoi anni capace di divorare ogni avversario. Predestinato all’Olimpo del tennis, Alcaraz, pare essere il degno futuro erede di Nadal e di quella gloriosa dinastia di racchette iberiche inaugurata dal compianto Manolo Santana. 

    Nella battaglia di semifinale tra “ExGen” e “NextGen”, il fenomenale Carlos turbinava fendenti da ogni lato del campo supportato da coach Juan Carlos Ferrero, altro mirabile spagnolo già contendente di Rafael Nadal. Così, il tempo si fermava per ammirare la grande bellezza, sul tre pari nel set decisivo. In quell’attimo, il maiorchino sublimava l’arte del gioco illuminando con lampi di genio le rosse sabbie del deserto californiano. Formidabili azioni mancine, votate ad un gioco d’attacco in grado di resuscitare le gesta dell’immenso Rod Laver, prendevano forma sul terreno di gioco. Così, Rafael, grazie a una serie di acrobazie funamboliche volanti, coglieva la vittoria imbrigliando la furia gladiatoria del giovane Carlos. 

    Il giorno seguente, l’americano Taylor Fritz partiva nella finale col vantaggio del pubblico e  undici anni di gioventù nelle gambe. Eppure, quando oltre la rete scende in campo la classe autentica, quella magnificata dall’artista attuale più completo in circolazione, ogni sostegno comincia a traballare. Ciò nonostante, grazie a una prova superba del californiano Fritz e condizioni ambientali complicate da un vento ciclonico in grado di appiattire le differenze in campo, Rafael cedeva la sua prima partita in questo 2022. Il buon Taylor si trovava incredulo col trofeo in mano e il primo titolo ATP Master 1000 conquistato in carriera. In tal modo, lo spagnolo incassava i 600 punti ATP del finalista che lo inquadrano, a mio personale avviso, verso la riconquista dello scettro mondiale.

    Sinceramente, infortuni permettendo, penso che il maiorchino tornerà in testa al ranking per la fine dell’estate. Dopo gli US Open, e forse ancor prima! Questa impresa porterà “Rafa” verso un nuovo record perché nessuno mai nella storia del tennis, compresa quella prima dell’era Open, è riuscito a salire sul trono in un lasso di tempo così ampio. Traduco! Se Nadal torna numero uno in questo 2022 certamente rimane in cima alla classifica almeno fino ai primi mesi del 2023. La sua prima volta occorreva nell’agosto del 2008, e in questa maniera riuscirà a lasciare il segno da “Number One” a distanza di sedici stagioni agonistiche. 

    Onore a sua Maestà Rafael I: il “Matador”!.

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