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    AO 2024, guida per un sogno possibile. Parte Terza: il segreto lo conoscono i Ball Boys

    I dieci motivi che fanno degli AO lo Slam preferito di molti appassionati (segue)

    Nella seconda puntata di questo breve trittico australiano (link all’articolo), vi ho raccontato dei dieci motivi per i quali a mio giudizio vale la pena di mettere lo Slam Down-Under nel cassetto dei desideri, prima o poi, da esaudire.

    Abbiamo parlato della simpatia e dell’incomprensibilità linguistica che si vivono da queste parti, del perché il biglietto Ground qui è un grande affare, del fuso orario, dei trofei, del clima meteorologico variabile e di quello ambientale che invece è festa, festa e festa. Bisogna ora che vi racconti quattro cose più tennistiche, anzi meglio ancora, da spettatore!

    4-Enorme, magnifico: benvenuti a Melbourne Park

    Costruito nel 1988 proprio per ospitare gli Australian Open, il Melbourne & Olimpycs Park è un parco enorme e in continua espansione. Oltre agli stadi del tennis ospita il Melbourne Cricket Ground, un impianto da centomila posti (erano centotrentamila prima della ristrutturazione) e occupa una superficie di ben quaranta ettari (Wimbledon, per intenderci, ne copre diciassette).

    Offre al pubblico cinque stadi, tre dei quali coperti, un Auditorium (il Centrepiece) e venti campi con tribune dei quali (pochi lo sanno) sei in terra battuta. Questo, oltre ai cinque di allenamento coperti, un Business Center, area giocatori, parco giochi, ristoranti coperti, ristoranti all’aperto e collinette con maxi-schermi. Ci sono almeno quattro installazioni alte sei metri e larghe dieci solo per le foto ricordo.

    La Rod Laver Arena e la Margaret Court Arena sono collegate da passaggi coperti, ci sono Lounge riservate disposte su più piani, ho visto addirittura un’area relax insonorizzata per il riposo del tifoso affaticato. I seggiolini dentro tutti gli impianti sono comodi (Foro Italico, se ci sei batti un colpo…), facilmente accessibili, con un’ottima visibilità, addirittura col porta bibite incorporato nel sedile di fronte.

    E poi, mi si perdoni il pragmatismo, c’è una quantità incalcolabile di bagni, tutti tenuti sempre a livelli di pulizia da hotel a cinque stelle. Io so che i giocatori dicono che questo è il posto migliore per giocare. Non so se sia vero, ma so per certo che è il posto migliore per godersi un torneo di tennis.

    3-Organizzazione semplicemente perfetta, centrata sulle esigenze degli spettatori!

    Lo Staff degli Australian Open è composto da tremilacinquecento persone. Praticamente un’azienda. E ci vogliono tutte per gestire un flusso di persone pari a un milione e centomila spettatori (incluso il sottoscritto) nelle quindici giornate di apertura. Qualsiasi cosa era stata prevista e gestita, dall’esigenza alimentare più specifica alle indicazioni per orientarsi all’interno dell’impianto.

    Lo spettatore, cosa che soltanto qui ho visto applicare con rigore e coerenza, è veramente al centro dell’attenzione. Si vuole che si diverta e che stia bene. Hai caldo? Ci sono i nebulizzatori. Hai sete? L’acqua è disponibile gratuitamente. Vuoi sapere su quale campo gioca il tuo preferito? Basta che tu segua le istruzioni sugli indicatori elettronici. Sei sovrappeso e ti trovi scomodo nella seduta ordinaria? Niente paura, ci sono zone con seggiolini di dimensioni superiori. Piove? Almeno uno degli stadi “liberi” è coperto, e ci sono indicazioni su quando riprenderà il gioco.

    E funziona anche fuori. La città mette a disposizione taxi, metro, tram, c’è Uber e una marea di alberghi a walking-distance. Io per raggiungere l’impianto ho usato il monopattino all’andata e la bicicletta elettrica al ritorno percorrendo corsie preferenziali che sembravano la Milano-Laghi per quanto erano larghe. Non male, vero?

    2-Se potete, fate Esperienza … in campo!

    Come in altri tornei, anche qui si possono acquistare dei pacchetti di ospitalità che consentono di dare al proprio viaggio una dimensione ancora più indimenticabile. Personalmente ho scelto di partecipare al programma “behind the scenes”, che consente di passare del tempo nella Player’s area. Ho visto Kachanov allenarsi, Mannarino discutere col coach, Fritz (caspita se è alto) fare stretching, tutti da un metro, e probabilmente ho incrociato una buona serie di giocatrici che però non ho riconosciuto.

    Ma la cosa che non sapevo, e che muovendomi in anticipo avrei voluto provare, è quello che gli organizzatori chiamano il “tech court”. In pratica è un campo situato di fianco a quelli in cui si allenano i giocatori (già questo…) ma che a differenza degli altri è attrezzato con tutte le tecnologie presenti sul campo della Rod Laver Arena. Sensori Hawk-Eye sotto il tappeto, tutte le stesse telecamere, incluse quelle aeree, tutti i rilevatori per le statistiche. Lo puoi prenotare, ed è tuo, hai la possibilità di acquisire tutte le statistiche tecniche e di gioco, specie se giochi dei punti. Fantastico? Già così è da andare fuori di testa, ma gli Australiani fanno le cose per bene per cui nel tempo a vostra disposizione sono lì con voi dei tecnici che vi aiutano a leggere i dati, a interpretarli al fine del miglioramento e vi fanno fare prove tecniche con racchette diverse, sempre leggendo i dati alla fine.

    In pratica, se il cuore tennistico vi regge, ve ne uscite dal campo con un check-up tecnico, uno schema di allenamento, uno di preparazione atletica e la prova provata tecnicamente che la racchetta perfetta per voi … non è quella che state usando! E magari ne discutete con Kachanov che sta sparando diritti a centosessanta all’ora sul campo di fianco a voi. C’è altro che si può chiedere a uno Slam?

    Player’s area

    1-Ball boys: quando le cose si fanno bene!

    È un mio difetto, quando vedo una cosa fatta bene mi emoziono, e cerco subito il modo per migliorarla! Devono essere affetti dalla medesima tipologia le persone che si sono occupate dei raccattapalle, e più in generale tutti coloro i quali si sono occupati così bene dell’organizzazione di un evento gigantesco come questo. Sapete che nella stragrande maggioranza dei casi i raccattapalle dei tornei sono dei ragazzi che giocano nei circoli delle città in cui si organizza il torneo oppure nelle manifestazioni più grandi, di tutto il paese.

    Down-Under il raccattapalle è uno … studente fuori sede! Nel senso che i ragazzi vengono appositamente selezionati in tutto il mondo e, se scelti, hanno la possibilità di passare un mese in Australia, facendo il Ball-boy ma anche visitando il paese, conoscendo la cultura e soprattutto migliorando la propria capacità linguistica. Alla soddisfazione di vedere da vicino i loro campioni uniscono la possibilità di provare una nuova esperienza di vita. Idea semplice (ma bisogna averla) realizzata con cura (ma bisogna saperlo fare). Quando si parla di attenzione ai giovani, poi devono seguire i fatti!

    I Ball Boys degli Australian Open

    0 – Bonus Track – Il pubblico

    Fra le altre partite, ho visto anche De Minaur contro Arnaldi. Sedute di fianco a me, due signore australiane sulla sessantina attrezzate con bandiera nazionale, ventaglio e bibita. Nei brevi convenevoli fra un cambio di campo e l’altro apprendo che non hanno mai giocato, ma che seguono il Tennis da sempre e vengono a Melbourne tutti gli anni. Matteo, nel frattempo, sta vivendo una pessima giornata (“Non sono neanche sceso in campo” dichiarerà in conferenza stampa) mentre il giocatore di casa sembra in grandissima forma. Memore del tifo nostrano al Foro italico, ma anche dei tamburi Croati alle finali di Davis lo scorso anno, mi aspetto un qualche tipo di festosità dal pubblico, vistosamente composto soprattutto da Australiani. Niente di tutto questo. Gli applausi non sono per Alex e il silenzio non è per Matteo, quando fanno punto. Applaudono tutti ma dico tutti quando il punto è bello. Ed è così ovunque. Senza esagerare. E senza neanche scomporsi quando sopra le righe sono altri, come gli schiamazzanti tifosi francesi che trasformano la partita di Musetti contro Van Assche in una copia della finale di Coppa di Francia (di calcio). Si divertono, ma non criticano. Son fatti così. Li vedo far lunghe file col sorriso sulle labbra, sdraiarsi coi bimbi sui prati davanti al maxi-schermo per godersi una partita, assaggiare l’improbabile pollo-coreano servito col Prosecco. Quando Sinner raccoglie la racchetta di De Jong dopo che lui è caduto, e lo aiuta a rialzarsi nel suo campo, si alzano tutti in piedi. E quando a fine partita racconta che gli piacerebbe avere il fisico da Baywatch ma che insomma tutto sommato “i like my physicality” esplodono in un boato che vuol dire “amore per sempre”. Insomma, in fondo siam tutti qui per divertirci, no?

    Concludendo: quindi, qual è lo Slam migliore?

    All’inizio di questo breve trittico vi raccontavo che per me questo sarebbe stato il torneo del Grande Slam … da seduto! Come spettatore ho visto tutti i tornei maggiori, e quindi posso finalmente rispondere alla domanda delle domande: visti tutti, qual è il migliore (si intende, con binocolo in una mano e sandwich nell’altra)? E la mia risposta, ora che la multi sbornia da viaggio più torneo più vittoria di Sinner si è stemperata nella normale quotidianità e che quindi tutto appare più lontano, è la seguente: per gli appassionati come me, penso che il Roland Garros sia lo Charme, Wimbledon il Tempio, Flushing Meadows il Divertimento. E Melbourne? Beh, Melbourne è il Tennis come deve essere.

    Ora mi mancano solo le Olimpiadi, ma questa è un’altra storia, e un altro articolo…

    (Paolo Porrati)

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