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    TennisTalker MagazineL’ombra di Pete: “Sampras mi ha distrutto la vita”

    L’ombra di Pete: “Sampras mi ha distrutto la vita”

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    Goran Ivanisevic racconta le cicatrici mai chiuse di Wimbledon, la vendetta tardiva del 2001 e il peso insostenibile di allenare Djokovic: “Ogni giorno doveva succedere qualcosa di nuovo

    Ci sono sconfitte che durano più a lungo delle vittorie. Goran Ivanisevic lo sa da tempo, ma ha cominciato a dirlo solo adesso. “Sampras mi ha distrutto la vita, i sogni, il sonno, i nervi. Non posso perdonarglielo”, ha confessato alla testata serba Sportal, con la franchezza di chi ha finalmente fatto pace con i propri fantasmi. Due di questi portano la faccia di Pete Sampras e si annidano nelle finali di Wimbledon del 1994 e del 1998. Due sliding doors chiuse con una violenza che ancora oggi risuona.

    Ivanisevic, 53 anni e mezzo, ha avuto una carriera luminosa, da 22 titoli ATP in singolare, ma il traguardo più ostico da raggiungere, quello costatogli sudore, fatica e numerose notti insonni è sempre stato Wimbledon. A Church Road era arrivato per la prima volta in finale nel 1992, giovane croato dal servizio mancino e dalla racchetta elettrica. Aveva battuto Lendl, Edberg e Sampras prima di inchinarsi in cinque set ad Andre Agassi, in un match che per molti è rimasto il capolavoro nella carriera del kid di Las Vegas.

    Nel 1994 l’erba di Church Road sembrava finalmente pronta a cedere. Ma dall’altra parte della rete c’era Sampras, l’uomo che per un decennio avrebbe trasformato il Centre Court nella sua proprietà privata. Fu una finale senza storia: tre set a zero e secondo titolo sui sacri prati per Pistol Pete.

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    L’anno successivo, nel 1995, Ivanisevic tornò abbastanza vicino a giocarsi il titolo, ma fu ancora Sampras a sbarrargli la porta, stavolta in semifinale: Pete vinse poi il torneo battendo Boris Becker, e così chiudendo la sua prima tripletta londinese. Ma è del 1998 il capitolo più amaro della saga. Ancora una volta in finale, ancora una volta contro Pete. E ancora una volta sconfitto: cinque set durissimi, con Sampras che andò a pareggiare il record di Borg nell’era Open con cinque successi a Wimbledon. Ivanisevic, invece, si ritrovò senza Slam e con le certezze in frantumi.

    È stato un danno psicologico enorme”, ha ammesso oggi l’ex numero due del mondo. A distanza di anni, quelle finali non hanno perso peso. La sola consolazione – enorme, per carità – è arrivata nel 2001, quando – da wild card, unico caso nella storia del tennis maschile a livello Major – Goran ha vinto finalmente Wimbledon battendo Patrick Rafter in un’epica finale giocatasi di lunedì. Un trionfo più liberatorio che davvero soddisfacente.

    Dopo il ritiro nel 2004, Ivanisevic ha intrapreso la carriera di allenatore: prima Goran ha portato Marin Cilic al trionfo agli US Open nel 2014; poi, a partire dal 2019, ha affiancato Novak Djokovic, guidandolo a 12 titoli Slam in meno di cinque anni. “Quando alleni Nole, tutto ciò che non è vincere è un fallimento. È una pressione immensa”, ha raccontato il nativo di Spalato a Blick. “Novak è molto esigente. Ogni giorno deve succedere qualcosa di nuovo, vuole sempre migliorarsi. Se non riesci a reggere, allora è meglio non accettare l’incarico. La lingua mi ha aiutato: tra noi non c’era nessuna barriera”.

    Un matrimonio sportivo intenso, e forse per questo a scadenza. I due si sono separati nel 2024, e da allora Ivanisevic ha trascorso una breve parentesi di lavoro accanto a Stefanos Tsitsipas. Una storia finita male, per la verità minata fin dall’inizio dalle inclinazioni caratteriali e dalle prospettive molto diverse messe in campo dai due protagonisti. Dopo l’eliminazione del greco al primo turno dell’ultima edizione di Wimbledon, l’allenatore croato aveva aspramente criticato l’etica di lavoro del novello allievo.

    Goran non aveva tutti i torti, poi sul vestito delle esternazioni si può sempre discutere. Non è escluso che tale acrimonia, da molti osservatori giudicata eccessiva, non fosse influenzata dall’umor nero che quei prati mettono a Ivanisevic. Ancora e ancora, nonostante siano passati trent’anni dalle prime, brucianti sconfitte nei momenti cruciali dei Championships che furono. Nonostante quel lunedì 9 luglio del 2001.

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