Ex giocatore professionista di tennis che in carriera ha raggiunto la posizione numero 133 del mondo e la numero 3 in Italia. Luca Bottazzi oggi dirige la scuola R.I.T.A. Tennis Academy ed è docente universitario presso la Facoltà di Scienze Motorie alla Statale di Milano. Già commentatore televisivo e autore di diversi libri dedicati al tennis. Oggi parliamo del suo ultimo libro “Break Point: Colori di Primavera agli Internazionali d’Italia”
COSA TI HA PORTATO A SCRIVERE DEI LIBRI?
Scrivo libri per offrire agli appassionati qualcosa di diverso rispetto alla solita e continua rappresentazione superficiale delle cose e perché amo approfondire gli argomenti e imparare cose nuove.
PERCHÉ HAI SCELTO QUESTO TITOLO?
Il gioco del tennis è la metafora della vita, quindi Break Point – oltre ad essere un termine tennistico – è un termine che si può spendere anche in altri ambiti. Indica tutti quei momenti cruciali capaci di caratterizzare l’esistenza della vita e se sei in grado di identificarli e di coglierli farai sempre la differenza. Anche il prezzo del libro è stato scelto volutamente: € 15,40 è un numero che nel tennis si ritrova per l’appunto nel break point.
DI COSA PARLI IN BREAK POINT?
Sotto il titolo c’è scritto “Colori di Primavera agli Internazionali d’Italia” ed è proprio questo il filo conduttore della narrazione che si articola attraverso le gesta di grandi fuoriclasse e le esperienze che ho vissuto dentro e fuori dal campo insieme a tanti campioni. Avventure vissute con gli occhi spensierati di quello che un tempo era una giovane racchetta e che oggi le ricorda con una diversa prospettiva, quella cioè di una persona matura ed esperta, di un insegnante, di uno studioso, di un professore universitario. Ruoli nei quali durante il tempo mi sono tramutato.
DIFFERENZE E SIMILITUDINI TRA QUEST’ULTIMO LIBRO E GLI ALTRI CHE HAI SCRITTO?
Le differenze principali sono gli argomenti e il tipo di scrittura. Le similitudini sono la ricerca e l’approfondimento. Tutti i miei libri sono caratterizzati da indagini accurate e possiedono sempre una nutrita bibliografia che è fondamentale quando scrivi un libro di storia, di metodologia didattica o un manuale.
QUALI SONO GLI EPISODI DEL LIBRO A CUI TIENI DI PIÙ?
Tutti. E’ difficile sceglierne uno tra l’esordio al Foro italico con Francesco Cancellotti contro Panatta e Bertolocci, le esperienze con Newcombe, Borg, Gerulaitis, Andrés Gómez, Noah… Ma se devo scegliere un episodio in particolare direi quando all’inizio del libro parlo di Lucia Valerio, finalista agli internazionali di Roma del 1930. La ricordo come una signora con educazione vittoriana che girava per i viali del Tennis Club Milano quando, negli anni ’80, io cercavo di diventare un tennista professionista. Era sempre in compagnia di Alberta Bonacossa, nipote del conte Alberto Bonacossa, l’ideatore, fra le varie cose, degli Internazionali d’Italia (all’epoca a Milano). Io cercavo di avere da lei qualche consiglio, una parola, ma lei non mi degnava di uno sguardo. E solo adesso, scrivendo il libro, ho capito il perché: era un personaggio che aveva vissuto in compagnia di titani quali Bill Tilden, Suzanne Lenglen… ed era quindi difficile che la sua mente potesse essere colta da qualche altro interesse. Era superiore.
NEL LIBRO PARLI ANCHE DI BERRETTINI E DI SINNER. COSA PUOI DIRCI DI LORO? Sono due ragazzi favolosi che ci stanno facendo sognare, averne di giocatori così!
Su Berrettini devo dire che, al contrario di quello che si sente dire, se vuole provare a vincere Wimbledon, deve peggiorare il rovescio. Mi spiego. Il suo rovescio è più che sufficiente, ma anche se impiegasse tutto il suo tempo per migliorarlo non lo porterebbe mai comunque ai livelli di Djokovic, Medvedev e Zverev e questo lo costringerebbe ad essere ancora di più un giocatore da fondo campo il che significa inevitabilmente correre tanto. Ma Berrettini non ha il fisico degli altri 3 giocatori. Secondo me dovrebbe invece investire molto di più sul servizio perché serve già molto bene, ma batte sempre in 2 soli modi e non lega il servizio alla volée. Berrettini deve imparare a vincere, o perdere, le partite frequentando molto di più la rete per abbreviare gli scambi.
Sinner invece è un giocatore da fondocampo, è molto potente, ma conosce solo un registro di gioco che è molto alto. Però in uno sport come il tennis – che non sono i 100 metri piani, quindi non dura 10 secondi ma può durare ore – stare ad un livello così alto significa prima o poi strafare. Sinner tira molto forte, però mi chiedo: conosce il giocare d’anticipo alla Agassi? Conosce le curve alte e basse di Nadal? Forse dovrebbe completare l’arte del fondocampo prima di provare a spingersi a rete che è ancora una zona di campo per lui meno familiare.
QUALE MESSAGGIO HAI VOLUTO TRASMETTERE NEL LIBRO? Il libro contiene tanti messaggi, ma ne scelgo uno molto ambizioso, perché pedagogico. Il messaggio è: bisogna imparare a sapere come perdere. L’obiettivo è vincere, ma se non sai accettare la sconfitta non imparerai mai a vincere. Sapere come perdere significa che se l’avversario ti supera in bravura, lo devi accettare. Il tennis è una magnifica palestra per imparare a rialzarsi e ad accettare l’errore. Difatti il tennis è uno sport di errori. Anche la finale di Wimbledon ha degli errori, ma il campione non ne è ostaggio, mentre il giocatore comune è in grado di giocare solo quando le cose vanno per il verso giusto. Quando sbaglia si blocca completamente.
PERCHÉ LA DEDICA FINALE È RIVOLTA AI PESCATORI DI PENSIERI? Perché è dedicata a tutti coloro i quali non sono prigionieri del pensiero unico, che va tanto di moda, ma sono persone che hanno la capacità del pensiero critico. Faccio un esempio: quei ragazzi che pensano che per diventare un campione serva allenarsi tutti i giorni a discapito magari della scuola, sono la dimostrazione di un pensiero unico. E questo è sinonimo di poca conoscenza delle difficoltà della materia tennis. Difatti nell’ambiente regna molta confusione. Per esempio, gli highlights televisivi che inondano il quotidiano con “il colpo da campione”, diffondono un orizzonte pedagogicamente sbagliato. Nel tennis non si vince affatto per il colpo da campione, ma si vince perché l’anello debole della catena che ha ogni giocatore, dal campione al giocatore amatoriale, non si spezza. Quando si spezza l’anello debole della catena si determina la vittoria dell’uno o dell’altro contendente. Per cui è la capacità di saper metabolizzare l’errore a fare la vera differenza e non certo il colpo vincente.
COME IL TENNIS INFLUISCE SULLA CULTURA CONTEMPORANEA?
Federer ha permesso a tutti di scrivere di tennis e ha consentito a tutti di guadagnare perchè è un testimonial facile. In termini di gestualità, si è sempre giocato a tennis come gioca Federer, in lui rivivono i giocatori del passato. E’ un classico, come il Caravaggio. Tutti possono capire più facilmente la pittura Rinascimentale, mentre Medvedev, che non è un classico, è più difficile da interpretare. Lui è come Kandiski, il padre dell’arte astratta e quindi va spiegato. Tutto questo dimostra che i campioni attorno a Federer non sono affatto degli artisti di secondo piano. Chi diffonde queste idee manifesta un’ignoranza colossale in materia. Difatti le carriere di Nadal e Djokovic lo dimostrano ampliamente.
PER CONCLUDERE, CON COSA SI POTREBBE TERMINARE QUESTO INCONTRO?
Concludo con il racconto che termina il libro. Il 2 aprile del 1530, Carlo V, Imperatore del Sacro Romano Impero, arrivò a Mantova ospite del marchese Federico II Gonzaga. A Mantova esisteva – ed esiste ancora oggi – uno spazio dedicato al gioco della palla corda, l’autentico antesignano del tennis, e Carlo V giocò tutto il pomeriggio. Si divertì così tanto che decise di conferire il titolo di Duca a Federico II Gonzaga. Nacque così, per una racchetta e una partita di tennis, il Ducato di Mantova.