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    Non Puoi Essere Serio … Siri!

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    Tennis e tecnologia, un binomio che sta iniziando a frequentarsi, con intensità crescente. Ma ne vale davvero la pena?

    You Cannot Be Serious – a cura di Paolo Porrati

    Out”. La voce metallica arriva prima ancora che tu abbia finito di esultare, o di disperarti. Nessun giudice di linea che sbaglia, nessuna protesta teatrale, nessun “You cannot be serious!” urlato con la vena gonfia alla McEnroe. Solo una macchina che ha deciso: out. Fine della discussione.

    Benvenuti nel tennis del presente, e anche del futuro, dove anche Wimbledon – il tempio della tradizione, quello che fino a ieri non ammetteva neanche i loghi troppo vistosi sui completi di gioco – ha mandato a casa i giudici di linea e le loro meravigliose camicie a righe per abbracciare l’Electronic Line Calling (ELC).

    L’algoritmo che governa le chiamate ora non ha problemi di età, non è sovrappeso, e non può essere portato a braccia da Ilie Nastase con tutta la sedia alla sua postazione in un gesto di teatrale e indimenticabile gentilezza. Ma è davvero quello che vogliamo, noi appassionati di tennis? Oppure semplicemente dobbiamo rassegnarci al predominio della tecnologia anche nel nostro piccolo giardino romantico dello sport dei gesti bianchi?

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    Nella settimana in cui abbiamo visto per la prima volta i gol di Serie A dal punto di vista dell’arbitro in campo grazie alla Ref-cam, proviamo a ragionarci sopra.

    Line calling o line falling?

    Tanto per cominciare, il sistema non è infallibile. A Wimbledon 2025, quarto turno, un colpo di Sonay Kartal atterra visibilmente lungo nel campo di Anastasija Pavlyuchenkova. Nessuna chiamata. Le verifiche successive chiariscono che il sistema è offline in quella parte di campo, e si è “perso” tre chiamate su colpi dubbi. Colpi che potevano cambiare l’esito della partita.

    Madrid Open, sempre 2025. Zverev, con notevole prontezza di spirito, estrae il telefonino dal borsone e fotografa il segno lasciato sulla terra da una palla non chiamata fuori. Che era fuori di cinque centimetri abbondanti. E l’arbitro si rifiuta di utilizzare il controllo ufficiale, la review, per visionare il colpo.

    Casi isolati o la punta di un iceberg? Proviamo ad affidarci alla statistica per avere una risposta. Hawk-Eye, la tecnologia di ELC più utilizzata, dichiara un errore medio nell’ordine di 2,2mm, migliorativo rispetto ai 3,6mm della fase iniziale. Comunque abbastanza, vista la precisione dei giocatori, per cambiare le sorti di una partita. Degli studi universitari (quanto vorrei un mestiere del genere) hanno riscontrato tassi di accuratezza del 99,4% per le chiamate elettroniche, percentuale altissima che però scende all’81,8% quando la pallina è in prossimità della linea.

    Quindi, sulla base delle informazioni disponibili possiamo affermare che le chiamate elettroniche hanno un margine di affidabilità non (ancora) del tutto maturo.

    Von Cramm
    Von Cramm

    Rimane migliore l’occhio umano? Non tanto. Ce lo ricordiamo bene noi italiani, che a Montecarlo 2024 abbiamo assistito attoniti alla clamorosa svista del giudice di linea e di quello di sedia sulla seconda di servizio di Stefanos Tsitsipas in semifinale contro Jannik Sinner. Che venne chiamata “in”, mentre era clamorosamente fuori. Niente break, e partita persa. Il Rosso, come al solito, non emise un fiato per protestare, mentre il pubblico dei nostri connazionali avrebbe volentieri pagato un sostanzioso extra rispetto al costo del biglietto per potersi mettere serenamente in fila, sradicare dalla propria sedia e malmenare la spocchiosa e incompetente Aurélie Tourte.

    Ecco, questa forse è la vera differenza. Quando a sbagliare è l’essere umano, gli animi si accendono con facilità, è naturale. Ma se a commettere l’errore è una macchina, tutto si smorza subito e non ha seguito, come se fosse parte del Destino, Forse dovrebbe essere questo a farci riflettere.

    Non esistono ancora statistiche comparative fra l’efficacia dei giudici umani e di quelli elettronici, ma semmai ce ne saranno ritengo che l’elettronica alla fine prevalga, e che l’effetto complessivo sarà un beneficio netto in termini di polemiche risparmiate e risultati veritieri in campo.

    In questi tempi di woke tennis, un bel vantaggio che si somma a quello degli stipendi dei poveri giudici di linea, relegati all’archivio della storia tennistica come a quello del trasporto furono consegnati i ferrovieri che riempivano di carbone le caldaie delle locomotive. Attenzione, però. Esattamente come per il frigo di casa, tutta questa tecnologia e i suoi benefici sussistono se permane valida l’unica condizione suprema che ne giustifica l’esistenza: l’elettricità.

    Il 28 aprile 2025 al Madrid Open l’ELC funzionava perfettamente. Peccato che il blackout che interessò tutta la Nazione e il Portogallo mandò in tilt il torneo, con l’eroica eccezione di alcuni match dove si tornò alla cara vecchia chiamata vocale del Giudice, come nei nostri cari quarta categoria “E’ il progresso, baby, e tu non ci puoi fare nulla”. Ma io, noblesse oblige, mi tengo stretto il ricordo di John e del suo duello col not-serious giudice, e non con un tablet da dodici pollici.

    Regole nuove per un pubblico nuovo

    Il tennis non sta cambiando solo sulle linee, ma anche nei regolamenti e nel modo in cui viene confezionato il prodotto che offre. E il principio che ne domina l’evoluzione non è la qualità tecnica del gesto sportivo, ma la sua spettacolarizzazione ai fini di una più consistente resa economica.

    Coaching autorizzato, persino fuori dal campo: così il giocatore o la giocatrice può farsi dare consigli durante ogni fase di gioco, con buona pace della vecchia verità per la quale in un campo da tennis si è tutti uguali. Ora quelli col coach più bravo sono più uguali degli altri. Si è provato anche a collegarlo all’impianto audio dello stadio, il coach, e le prime sperimentazioni furono proprio alle NextGen ATP Finals di Milano, ma c’era un problema di lingua e l’effetto risultava assai poco spettacolare, fra idiomi incomprensibili e suoni gutturali.

    Poi ci sono i format abbreviati: il Tie Break Tens, adottato ufficialmente dall’ITF, è pensato per i giovani che hanno una soglia d’attenzione sempre più infinitesimale. Un match ridotto a un tiebreak: dieci minuti di adrenalina, niente lunghe maratone. Il parente povero dell’infruttuoso tentativo del tennis ai quattro game, abortito sempre alle NextGen Finals e ogni tanto riproposto in salsa mista durante le esibizioni. Lasciateci in pace, il tennis si gioca ai sei!

    E ancora: libertà di movimento per il pubblico durante i set, in modo che nessuno perda il punto decisivo solo perché era in coda al bar per una birra artigianale. Il cliente ha sempre ragione, e pazienza per quel flash negli occhi del giocatore che sta per colpire uno smash sul match point, in fondo vale di più una bella storia su Instagram.

    Andiamo avanti: i tabelloni di bordo campo sempre più digitali e animati, che ricordano set point break point, minipoint, point qualsiasi. I tabelloni fuori campo ormai hanno dimensioni da nave spaziale e mitragliano gli spettatori di statistiche che comunque non fanno neanche tempo a leggere perché tanto gliele tolgono dopo il superamento della soglia di attenzione preadolescenziale.

    Si continua coi DJ nelle Finals che trasformano lo stadio nel salotto di Bob Sinclair ma con meno privacy e decibel fuori controllo e si finisce fuori dal campo (in senso anche letterale) con le aree degli impianti che somigliano sempre di più a festival musicali con area food truck, app di gamification e selfie zone. A Melbourne, dove sono stato, l’area di gioco per bimbi era molto più grande di quella dedicata ai campi secondari. E sono convinto che i bimbi le partite non ce li portavano neanche a guardarle.

    Per contro, ho visto il Beach Volley sotto la Torre Eiffel alle Olimpiadi di Parigi 2024. Stessa musica assordante, stesso spettacolo pirotecnico di intrattenimenti vari. Ecco, questo forse è il punto da tenere presente, più dell’inevitabile tecnocrazia in arrivo. La gamificazione (orrendo neologismo anglofilo, intraducibile in italiano) dello sport in generale, la sua trasformazione in evento esperienziale che in buona sostanza può fare a meno di quello sportivo in quanto tale. Funziona.

    Quello che conta sta diventando esserci stati, ad una partita, più che averla vista davvero. Un po’ come nel caso del selfie in montagna, fatto in due secondi dopo ore di coda, solo perché un influencer ha decretato che quello è un posto dove val la pena far sapere di essere stati. Non sono del tutto sicuro che questo sia quello che voglio per me e per i giovani spettatori di tennis del futuro.

    Ah, dimenticavo il doppio misto agli US Open: baracconata o astuzia di marketing? Meglio una bella Badosa o una talentuosa Kerejcikova? Ci rammarichiamo per i futuri disoccupati del doppio misto attuale – in effetti, spesso inguardabile – o ci rallegriamo per degli scambi fra gente che magari non si impegna ma che sa bene come si gioca a tennis. Non lo so, io mi diverto in entrambi i casi, ma il sospetto che di questo passo prima o poi ci ritroveremo con in campo dei robot, arbitrati da robot e guardati da altri robot, mentre noi saremo in un baccello neurovegetativo stile Matrix, un po’ ce l’ho.  

    Minaccia o alleata?

    Non fraintendetemi, alcune innovazioni servono, altre divertono, e le innovazioni dell’intrattenimento attirano sponsor e pubblico nuovo. Ma la domanda resta: fino a che punto possiamo spingere senza snaturare questo sport? Quando anche l’ultimo urlo di protesta sarà sostituito da una notifica push, e Siri sarà l’unica entità disponibile a darci retta quando riterremo che il nostro servizio sia stato chiamato ingiustamente fuori, allora sarà davvero il momento di portare la racchetta al Museo della Scienza e della Tecnica.

    YCBS-Paolo Porrati


    You cannot be serious è la nuova rubrica settimanale di Tennistalker Magazine dedicata a tutto ciò che nel tennis non rimbalza ma … fa rumore lo stesso! A cura di Paolo Porrati: accanito “quarta categoria”, è stato Giudice Arbitro per la FITP e ha partecipato da spettatore a tutti gli Slam, Finals Davis e Olimpiadi. Il suo romanzo giallo “Lo Sport del Diavolo”, pubblicato da Laurana Editore e ambientato nel mondo del tennis, è stata la sorpresa letteraria sportiva dello scorso anno.

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