Daniil Medvedev è il nuovo numero uno mondiale del tennis. Interrompe un regno durato diciotto anni, fin dal lontano 2004. Un lungo decorso temporale nel quale solo quattro giocatori ricoprivano con alternanza il ruolo di “Number One”. Campioni noti all’universale come Roger Federer, Rafael Nadal, Novak Djokovic, Andy Murray. Fuoriclasse indimenticabili capaci di lasciare un segno profondo nella secolare avventura del gioco. In questo modo, elementi quali il logoramento dovuto a lunghissime carriere, sommato al vigore giovanile e il talento di un nuovo astro nascente, promuovevano l’inevitabile cambiamento. Un attimo destinato a durare un breve istante, anche se forse più a lungo nei prossimi anni, dato l’annunciato ritorno di Djokovic in cima alla classifica ATP e l’imprevista forma del vecchio Rafael Nadal, lanciato più che mai alla riconquista dello scettro mondiale nella seconda metà di questo 2022. Quanto detto vale come indispensabile premessa, anche se in buona parte la stessa contiene informazioni già note agli appassionati.
Medvedev è quindi il nuovo numero uno del tennis mondiale. La sola racchetta in grado di rompere un dominio assoluto. Un tennista dal cliché insolito, sembra apparire come il brutto anatroccolo nel magnifico lago dei cigni. Più volte, il suo tennis veniva descritto dagli addetti ai lavori come inguardabile, colmo di lacune tecniche. Di conseguenza, buona parte dell’audience percepisce l’arrivo al vertice del russo come un fatto immeritato, quasi fosse colpevole di un atto di lesa maestà. Diversi divulgatori, seguaci integralisti dell’eleganza del gesto quale autentica fonte della disciplina, stanno forse soffrendo momenti di smarrimento. Per cui vien da chiedersi: chi ha mai stabilito i canoni della cosiddetta “bellezza” esecutiva nel tennis? E più ancora: quali sono i vincoli tecnici per poterla acquisire?
Interrogativi che rivelano una situazione indubbiamente comica, viste le peculiarità del gioco del tennis. Una disciplina sportiva di situazione, ad abilità aperte, ad elevata difficoltà psicologica, coordinativa e senso percettiva; infine media sotto il profilo condizionale e tecnico. Del resto, anche i bambini delle scuole elementari sanno come il tennis non sia certo lo sport dei tuffi. Disciplina dove il gesto riassume invece l’effettiva componente della prestazione. Nel tennis, al contrario, la forma del gesto esecutivo non possiede alcun valore, in termini di risultato. Difatti ciò che tennisticamente conta, in questo tipo di azione, è sapersi rapportare nel modo più funzionale possibile, in relazione alle caratteristiche di ciascun individuo, allo spazio tempo che intercorre tra la palla in arrivo e il corpo prima di eseguire il colpo. La capacità di stima nel saper identificare il genere di palla in arrivo è la discriminante principale che fa la vera differenza nella qualità di un colpo, riporta addirittura la rivista scientifica Nature nel 2004. Riferimenti semplici da capire per chiunque desidera investire un minimo di tempo per recepire le evidenze scientifiche prodotte dalla ricerca sull’evoluzione dell’azione esecutiva, volgarmente definita tecnica.
Eppure, il mondo del tennis resiste. Autoreferenziale e fiero, resta in generale ancorato alle proprie credenze e pregiudizi. Un ambiente quasi impermeabile alla cultura, nel quale ancora molti pensano come la forma del movimento costituisca un serio elemento tecnico. Tant’è che è stato pure coniato da qualche mente televisiva il concetto di “tecnica pura”. Un fatto che si commenta da sé! Si tratta di un abbaglio titanico, usando un eufemismo, in grado di espandersi come una pandemia oltre i confini del gioco. Guardando poi all’arte di Roger Federer, unico del parterre di tennisti sopraccitati in possesso del rovescio ad una mano, questa pandemia si scatena fuori controllo a livelli colossali. “Roger Federer è il tennis!” Si è più e più volte sentito annunciare in TV, in radio, oppure è stato scritto sulla carta stampata. Una affermazione totalmente priva di senso, visto come ogni disciplina sportiva resta sempre immensamente più grande rispetto ai suoi formidabili fuoriclasse.
Così, l’arte affascinante di Roger catturava le fantasie degli appassionati proprio grazie ad una evidente classicità. Un aspetto facile da cogliere anche per chi non guarda il tennis. Del resto, si è sempre visto giocare a tennis come lo svizzero! Dal punto di vista della fattezza dei movimenti intendo, non certo per la capacità di compendiare il gioco nello spazio tempo siderale attuale. Le gesta di Federer rigenerano i colpi di vari campioni del passato. Viceversa, le uncinate paraboliche di Nadal e le spaccate elastiche di Djokovic non si erano mai viste in precedenza. Ecco forse spiegata l’origine di questa fenomenologia in grado di produrre il testimonial più facile e immediato in assoluto. Un’opportunità irripetibile per la furtività del marketing, che non poteva farsi sfuggire questa manna dal cielo. Così, anche le varie superficialità mediatiche si trovavano miracolosamente protette. La strada era spianata, diventava facile vendere il ghiaccio persino agli eschimesi. Poco importava se le arti di Nadal e di Djokovic non venivano compiutamente spiegate, bucando un’irripetibile occasione di cultura sportiva per alfabetizzare e quindi fidelizzare l’audience. Possibilmente, è proprio questa la causa attraverso la quale, malgrado quarantuno titoli Slam conquistati da Rafa e da Nole, il loro tennis viene ancora percepito come un’arte minore rispetto a quella di sua altezza Roger Federer. Adesso però si manifesta un enorme imbarazzo! Bisogna saper illustrare al pubblico un tennista come Daniil Medvedev che di classico non ha proprio un bel nulla.
Moscovita di nascita, interprete di un tennis atipico, tanto da farlo apparire indecifrabile agli occhi dei malcapitati antagonisti. “Legno Storto”, prendendo a prestito una definizione kantiana sull’uomo, grazie a un gioco colmo di traiettorie intricate possiede l’incredibile abilità di pietrificare i contendenti. Roba da far rimanere di sasso persino la Gorgone, verrebbe da dire! Una roulette russa infernale, capace di polverizzare il cosiddetto anello debole della catena avversaria, tramutando il rivale in prigioniero di se stesso prima di abbandonarlo, privo di ogni reazione, nel labirinto della partita. Questa è solo una prima breve descrizione introduttiva mutuata dal mio ultimo libro Break Point, per illustrare le capacità di questo campione. Fortunatamente per la concorrenza, il tennis di Medvedev a volte si inceppa. Sulla lunga distanza non sempre brilla come potrebbe e nelle giornate buie stenta ad accendersi. Inoltre, non è ancora irresistibile su tutte le superfici come per esempio sulla terra e sull’erba, dove negli spostamenti prevale l’artificio dello scivolamento. Così, a parte i grandi servitori, trampolieri di oltre due metri di altezza, Daniil Medvedev è il primo top player attuale che sfrutta d’improvviso la seconda palla come fosse una prima. Mi spiego! A volte sorprende il contendente facendo punto diretto con la seconda palla di servizio. Un’idea forse rubata a quel satanasso di Sampras, in grado di far saltare le certezze anche al più abile dei ribattitori.
Daniil è anche un fantastico risponditore! Nel gioco di rimbalzo pare essere sempre in precario equilibrio sugli appoggi, quando invece ritrova perfettamente i tempi grazie ad una coordinazione magistrale. Così come appare in ritardo sulla palla, quando poi si ritrova in puntualmente in anticipo. La sua capacità di ribaltare il gioco da una fase difensiva in offensiva è straordinaria. Gioca al gatto colo topo, quasi fosse uno specchio deformante che illude gli avversari presentando loro una realtà rovesciata. A tutti gli effetti, è l’unico giocatore in grado di cogliere ogni angolo del campo con disinvoltura giocando di rimbalzo da entrambe le lateralità. Traduco: riesce nell’intento sia di diritto che di rovescio, da posizioni angolate e centrali. Inoltre, riesce a variare con consumata maestria la “peace” della palla, producendo rimbalzi di altezza e di velocità sempre diversi. Leggendario poi il suo rovescio ad uscire verso l’esterno (inside out) dal centro del campo. Uno strumento che neanche il formidabile Roger Federer possiede. Ulteriormente, il russo è in grado di eseguire ogni colpo di rimbalzo in tre tempi. Davanti al corpo, sulla linea del corpo e leggermente dietro a questa linea. Una dotazione per mezzo della quale può mediare con ampio margine durante l’azione esecutiva. Un fattore quest’ultimo, di cui sono assolutamente privi i giocatori col rovescio ad una mano. Il gioco di volo, invece, non è certo il suo marchio di fabbrica anche se non è affatto uno sprovveduto. De facto, è un interprete lusinghiero anche nella specialità del doppio.
La vera notizia è che il gioco di Medvedev, a suo modo, è tra i più completi in circolazione. Come già detto produce punti diretti col servizio: prima e seconda palla. E’ capace di mescolare le profondità del gioco e di produrre una combinazione micidiale in tre atti: servizio e due colpi successivi di rimbalzo. Un’azione che si consuma entro quattro secondi e mezzo al massimo, proprio come nella giocata di servizio e volée. In pratica, è come se Medvedev avesse inventato una soluzione di rimbalzo con la stessa tempistica del “serve and volley”. Così, se non funzionano queste strategie il moscovita è in grado di obbligare l’antagonista a scambi micidiali da venti/trenta colpi. In altre parole, se il russo non raccoglie il punto velocemente come un fulminante centometrista allora impone sul campo la fatica fisica della maratona. Una purga terribile, frutto di un tennis ampio quanto vario. Autentica meraviglia, seppur indigesta al mondo del tennis affascinato dall’immediatezza riconoscitiva del classico e, nel contempo, incapace di comprendere la folgorante bellezza dell’arte astratta del nuovo Kandinskij con la racchetta in mano.