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    Da Pinerolo a Melbourne passando per Halle

    Abbiamo intervistato Andrea Vavassori, finalista degli Australian Open 2024 in coppia con Simone Bolelli

    Andrea Vavassori è nel circuito professionistico da alcuni anni e, fra titoli di doppio ed importanti partite vinte in singolare, è ormai diventato uno dei nomi più conosciuti del tennis internazionale.

    L’apice della carriera, fino ad oggi, l’ha raggiunta domenica scorsa quando, in coppia con Simone Bolelli, ha disputato la finale di doppio agli Australian Open. L’incontro, molto combattuto, ha visto la vittoria di Rohan Bopanna e Matthew Ebden, che hanno conquistato, volé dopo volé, il prestigioso titolo.

    Ciao, Andrea, complimenti per il bellissimo torneo disputato. Ci piacerebbe conoscere qualcosa di più su di te. Provieni da una famiglia di amanti del tennis, è corretto?

    Sì, ho iniziato a giocare quando avevo solo 3 o 4 anni perché a casa del nonno c’era un campo da tennis in asfalto che poi con il tempo è stato trasformato in erba sintetica.

    Andrea Vavassori da piccolo

    Mio padre inizialmente era direttore tecnico di un centro fitness di Torino, poi a 30 anni è diventato maestro di tennis e ha insegnato al Tennis Club Monviso di Grugliasco dove anch’io ho giocato fino ai 16 anni.

    Poi ci siamo spostati nel circolo di Pinerolo dove mio padre è diventato il responsabile di una piccola Academy. Praticamente è sempre stato lui il mio coach.

    Anche mio sorella, di due anni più giovane di me, giocava a tennis poi però ha deciso di seguire l’università e ha smesso. Mio fratello che ha appena terminato il liceo, adesso è nel pieno dell’attività e a breve anche lui entrerà nel circuito professionistico. Sì direi che è esatto, siamo una famiglia di tennisti!

    Andrea Vavassori e Davide Vavassori

    In singolare oggi sei numero 148 della classifica ATP e addirittura numero 27 in doppio. Dove ti ritieni più soddisfatto?

    Sicuramente il doppio mi ha aiutato tanto a bruciare le tappe perché per il resto ho sempre avuto un percorso normale. I miei miglioramenti sono sempre stati step by step. Non ho bruciato le tappe, ma non ho neanche mai avuto una botta d’arresto.

    Appena terminato il liceo mi sono dedicato all’attività professionistica: i primi Future, i Challenger, gli ATP… Il doppio però mi ha aiutato tanto perché non avendo inizialmente molte risorse da investire, con il doppio ho avuto le prime soddisfazioni economiche e questo mi ha permesso di giocare anche il singolare e di togliermi alcune soddisfazioni.

    Per esempio l’anno scorso è stato un anno molto intenso con le vittorie su Murray nell’ATP 1000 di Madrid, poi Kecmanovic al Roland Garros, mentre nel 2022 avevo raggiunto per la prima volta il main draw a Wimbledon. Possiamo dire che in singolare mi sono tolto delle belle soddisfazioni e che in doppio sono arrivati i primi titoli ATP e poi questa finale..

    Guardando i tornei che hai disputato, alcuni dei tuoi compagni di doppio sono stati: Luca Margaroli, Lorenzo Sonego, Matteo Berrettini, Andrea Pellegrino, Dustin Brown, David Vega Hernandez, Zdenek Kolar, Jan Zielinski, Nikola Cacic, Luis David Martinez, Marcelo Demolinier, Luciano Darderi e ultimamente Simone Bolelli. Possiamo dire che sei il giocatore di doppio più richiesto del circuito…?

    (Nda: ride) All’inizio, soprattutto giocando anche in singolare, non è facile trovare una persona con cui fare una programmazione stabile. Se avessi fatto solo il doppio, sicuramente avrei trovato un compagno fisso, ma giocando in entrambi i circuiti, cercavo di organizzarmi come meglio potevo. Molte volte questo ti obbliga a cambiare partner da un torneo all’altro. Nel tempo ho cercato di avere delle collaborazioni più stabili, prima con Margaroli, poi con Sonego, Andrea Pellegrino, Dustin Brown e Demoliner, ma non sempre siamo riusciti a fare un percorso lungo insieme. Molte volte dipende anche dalle amicizie che si fanno nel circuito e si ti trovi bene a livello personale, poi è più facile giocare in coppia.

    A proposito di Sonego, siete entrambi piemontesi, nati a maggio e del 1995. Immagino che vi conosciate fin da piccoli

    Siamo cresciuti insieme nei tornei giovanili e abbiamo anche giocato contro tante volte, come spesso capita nel tennis. Con Lorenzo abbiamo disputato dei bellissimi doppi, anche se a volte non è stato facile fare una programmazione coordinata perché lui è più focalizzato sul singolo.

    E con Bolelli come è nata la “collaborazione”?

    Con Bolelli è iniziata nel periodo in cui Fabio Fognini – suo storico compagno di doppio – era sceso di classifica e Simone non sarebbe quindi riuscito a disputare la stagione sull’erba. Ci siamo sentiti e mi ha detto che gli avrebbe fatto piacere giocare con me. In quel periodo stavo giocando con Demoliner, ma se te lo chiede un giocatore come Simone con il quale siamo anche amici, ho detto: proviamoci!

    Simone Bolelli, Davide Vavassori e Andrea Vavassori finalisti dell’ATP 500 di Halle

    In Coppa Davis a Bologna eri fra i convocati, ma sembra che tu non abbia potuto giocare a causa di un infortunio. E’ corretto?

    Sì, esatto. Ero molto felice per la convocazione, ma proprio il giorno prima di partire, durante la semifinale del torneo di Genova, mi sono procurato una lesione addominale. E’ stata una grande sfortuna anche perchè Volandri non poteva fare altri cambi, in quanto ne aveva già fatti 3 che è il limite massimo. Inizialmente mi ero illuso e pensavo di riuscire a recuperare in tempo per il fine settimana, invece è stato impossibile. L’ho scoperto appena arrivato a Bologna quando il medico mi ha comunicato l’entità dell’infortunio. Sono rimasto fuori dai tornei per un mese intero.

    Insieme a Berrettini eravate però due tifosi di lusso a bordo campo!

    Tante volte in quelle competizioni lì è importante anche solo fare gruppo e Berrettini è stato sicuramente molto importante a livello emotivo. Un’arma in più.

    E arriviamo agli Australian Open. Non eravate teste di serie, ma partita dopo partita avete vinto contro coppie molto forti. Quanto è contata l’esperienza di Simone che nel 2015 aveva già vinto il titolo in coppia con Fognini?

    Mi ha dato molta tranquillità perché aveva già vissuto certe emozioni. Credo comunque di essere riuscito a dimostrare che, una volta che capisco che ce la posso fare, set dopo set riesco ad andare oltre qualsiasi limite. Negli Slam non ero mai riuscito ad andare oltre il terzo turno e quindi posso dire di essere decisamente migliorato! E’ stato importante vincere i quarti e la semi perché ci apre tante opzioni per l’anno nuovo.

    Guardi il bicchiere mezzo pieno o meno vuoto? Cioè, peccato aver perso la finale oppure che bello essere arrivarti in finale?

    Entrambe le cose. Il giorno dopo un pochino di amaro in bocca ti rimane perché è il sogno di qualsiasi giocatore vincere un torneo del genere, ma io sono sempre stato convinto di poter raggiungere una finale Slam e quindi penso che questo sia solo l’inizio.

    Abbiamo affrontato due giocatori che erano già stati in queste situazioni tante volte e soprattutto Ebden ha fatto la differenza. Abbiamo perso per pochi dettagli e per i prossimi appuntamenti lavoreremo su quello che ci è mancato. Quindi ripensandoci, posso dire che il bicchiere lo vedo sicuramente mezzo pieno!

    Andrea Vavassori

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