Stefano Galvani, classe 1977, è un ex giocatore ATP – best ranking n.99 – nato a Padova e ora residente a San Marino. E’ il responsabile dell’area tecnica della Federazione Sammarinese Tennis.
QUANDO HAI COMINCIATO A GIOCARE A TENNIS E PERCHE’?
Ho iniziato a giocare a tennis a 2 anni con una mini racchetta costruita da mio papà. Era così piccola che giocavo con le palline da ping pong. Poi la passione è arrivata andando a tifare per mio padre quando giocava i tornei.
A COSA HAI DOVUTO RINUCIARE MAGGIORMENTE PER POTER ARRIVARE A DEI RISULTATI IMPORTANTI?
Per poter giocare ad alti livelli ho rinunciato alle cose più banali, come per esempio uscire con gli amici. Il tempo che avevo a disposizione lo sfruttavo quasi completamente per allenarmi e quel poco che restava lo dedicavo allo studio. Io però non ho mai vissuto queste cose come delle rinunce perché inseguivo un sogno e nello sport lo devi fare sfruttando la giovane età.
RITIENI CHE AL GIORNO D’OGGI FREQUENTARE UNA SCUOLA IMPEGNATIVA, COME PER ESEMPIO UN LICEO, E IL TENNIS SI POSSANO CONCILIARE PER ARRIVARE AD ALTI LIVELLI?
La scuola in Italia è molto impegnativa e spesso i professori non aiutano chi pratica lo sport a livello agonistico. Nonostante questo, non consiglierei a nessuno di lasciare gli studi per il professionismo. Io mi sono diplomato al liceo scientifico statale e sono comunque riuscito ad diventare professionista.
GLI INFORTUNI HANNO SEGNATO MOLTO LA TUA CARRIERA, IN PARTICOLARE QUELLO ALL’OCCHIO. UN TUO PERSONALE COMMENTO SUL GIOCATORE GALVANI PRIMA DELL’INCIDENTE E DOPO L’INCIDENTE.
Nel 2003, proprio nel momento di grande ascesa della mia carriera – ero numero 140 al mondo – ho avuto un incidente d’auto e sono stato costretto a fare un trapianto di cornea. Sono stato fermo per 14 mesi e quando ho ricominciato a giocare a tennis sono praticamente ripartito da zero. Mi sono dovuto ricostruire una classifica che mi permettesse di partecipare ai tornei più importanti, pur avendo un problema visivo che mi condizionava moltissimo. Ricordo che durante i primi allenamenti, dopo l’operazione all’occhio, nei primi 3 o 4 colpi non riuscivo neanche a colpire la palla. Poi ho cominciato a fare delle correzioni al mio gioco e a come guardavo la palla e piano piano ho ripreso a giocare abbastanza bene. Lo sforzo maggiore era la concentrazione e dopo solo un’ora e mezza di allenamento ero stremato per l’attenzione che dovevo avere continuamente! Non è stato facile e il mio umore aveva alti e bassi: a volte ero sicuro che ce l’avrei fatta, altre volte dubitavo che avrei mai potuto ricominciare a giocare ad alti livelli. Spesso sbagliavo la distanza dalla palla e, se lo scambio era troppo lungo, la lente che devo portare nell’occhio si muoveva e non riuscivo più a vedere. Non volevo che nel circuito si sapesse di questo mio problema e soprattutto non volevo che diventasse un alibi per smettere di provarci. Nonostante questo è stato proprio dopo l’incidente che sono riuscito a raggiungere la mia classifica più alta e ad essere fra i primi 100 al mondo. L’incidente mi ha reso più forte e soprattutto più consapevole delle mie capacità.
TI PIACEVA IL MONDO DEL PROFESSIONISMO? AVEVI AMICI NEL CIRCUITO ATP?
L’ambiente del circuito non mi è mai piaciuto molto. C’è stato un momento che avevo quasi pensato di smettere perché non sopportavo più la falsità e l’ipocrisia di certe persone. Ho sempre pensato che i giocatori migliori fossero gli spagnoli perché erano capaci di fare squadra tifando per i loro compagni e aiutandosi a vicenda.
RICORDI QUALCHE ANEDDOTO PARTICOLARE DURANTE UN TORNEO?
Non dimenticherò mai quella volta che ho dovuto affrontare Nadal in un torneo a Barcellona. Gli tiro la prima pallina del palleggio di riscaldamento e lui mi tira un dritto fortissimo. Gli butto la palla di là come posso e Nadal nuovamente fa un colpo potentissimo. Alla terza bordata tira un pochino più corto e io riesco a caricare il mio dritto. A quel punto sono io che tiro due dritti fortissimi, lui si difende e poi al terzo chiudo. Mi fermo e gli chiedo: “Bene, possiamo cominciare a palleggiare adesso?”. Ramos Vinolas che aveva assistito alla scena è scoppiato in una gran risata! Chissà se Nadal se lo ricorda?
QUAL’ERA IL TORNEO DEL CIRCUITO ATP CHE TI PIACEVA DI PIU’ E PERCHE’?
Il mio torneo preferito era Wimbledon, lì c’è qualcosa di magico che gli altri tornei non hanno. Poi per noi italiani è sempre meraviglioso giocare agli Internazionali di Roma. Il pubblico è fantastico e se poi si ha la fortuna di giocare nel vecchio campo centrale, quello con le statue di marmo e che oggi si chiama Pietrangeli, è bellissimo.
IL TENNIS ITALIANO STA VIVENDO UN MOMENTO D’ORO. A PARTE I CONSOLIDATI BERRETTINI, SINNER, SONEGO, MUSETTI… VEDI QUALCHE ALTRO GIOCATORE CHE SECONDO TE POTRA’ ARRIVARE AD OTTIMI LIVELLI?
Tra i giovani mi piace molto Luca Nardi. E’ una bella persona e ha un buon tennis. Al giorno d’oggi il talento non basta, ci vuole tanto lavoro e lui ha tutte le carte in regola per farcela.
NEGLI ANNI PASSATI, SEI STATO PER 3 VOLTE GIOCATORE DI COPPA DAVIS CON LA MAGLIA DELLA NAZIONALE ITALIANA E POI, A 44 ANNI, SEI TORNATO A GIOCARE IN COPPA DAVIS CON LA SQUADRA DI SAN MARINO. COME E’ ANDATA?
Lo scorso anno ho esordito in Davis con la squadra di San Marino. Abbiamo giocato bene e penso che ci meritassimo la promozione, ma non è andata come speravamo. Quest’anno ci riproviamo, mi sto allenando molto per arrivare in buone condizioni fisiche visto che gli avversari sono tutti molto più giovani di me ed agguerriti.
DA GIOVANE SICURAMENTE IL FISICO AIUTA, MA CON L’ETA’ L’ARMA VINCENTE PUO’ ESSERE L’ESPERIENZA. TI CI RITROVI?
Sicuramente l’esperienza aiuta molto, non solo per risolvere certe situazioni, ma soprattutto perché capisco in anticipo quello che sta per succedere. Se il divario non è esagerato, posso ancora dire la mia, in fondo a tennis so ancora giocare benino.
UN CONSIGLIO DA MAESTRO PER TUTTI I RAGAZZI CHE STANNO COMINCIANDO AD AVVICINARSI A QUESTO SPORT?
Come maestro posso dire che ormai sono molti i ragazzi che giocano bene a tennis. Tanti però non sanno affrontare le partite nel modo giusto perché hanno in testa un solo obiettivo: vincere. L’obiettivo invece deve essere quello di migliorarsi ogni giorno, di migliorare l’attenzione, la continuità e l’atteggiamento in campo. E questo dipende solo da noi stessi, servono pazienza e perseveranza.