Berrettini – Domani questi due ragazzi, 25 anni Matteo, 24 Hubert detto Hubi (ma con l’h eh!) si ritrovano a disputarsi una semifinale del torneo più prestigioso fra tutti, Wimbledon, per raggiungere una finale da sogno contro il vincente fra Djokovic e Shapovalov, con il serbo strafavorito e super candidato domenica a raggiungere i 20 Slam di Federer e Nadal. Per tutti e due, Matteo classe 1996 (12 aprile) e Hubert 10 mesi più giovane (febbraio 1997) significa riscrivere la storia del tennis nel proprio Paese comunque vada questo venerdì.
L’unico italiano che aveva giocato una semifinale nel tempio del tennis era stato Nicola Pietrangeli nel 1960, quindi otto anni prima dell’inizio dell’Era Open, e l’abbiamo scritto e ricordato fino alla nausea, mentre nessun polacco è stato mai capace di tanto dacché Clopton Wingfield inventò il tennis che visse la prima edizione di Wimbledon con i Championships del 1877.
“Mio padre ha 59 anni, non era neppure nato nel ’60, è del ’61, cioè dopo il risultato di Pietrangeli, accidenti sto scrivendo la storia e mi piace, ne sono fiero – ha detto subito Matteo con gli occhi che gli brillavano -. Non mi voglio fermare qui, ci proverò perché ci credo, ci avrei creduto indipendentemente dall’avversario in semifinale, Federer o Hurkacz. Non so cosa sia successo nel match che hanno giocato, salvo il risultato che avevo già visto sul campo e sul momento mi ha anche un po’ deconcentrato… ma mentre due anni fa con Federer pur sperando di vincere pensavo soprattutto a fare una bella partita (che non fece…), questa volta sapevo che Roger non poteva essere quello del 2019 e anch’io non ero più quello del 2019… quindi sarebbe stato diverso. Comunque oggi so che ho vinto senza giocare il mio miglior tennis”.
Poi Matteo ripassa in un attimo la storia degli ultimi due anni: “Non sono stati sempre momenti facili, fra Pandemia, infortuni un anno fa e quest’anno in Australia e tanta gente che metteva in dubbio le mie qualità, i miei meriti”. Raggiungendo le semifinali e battendo in 4 set Aliassime, n.19 del ranking ATP (il miglior classificato fin qui), Matteo ha fatto un passo in più rispetto al suo status di testa di serie n.7 che gli “prometteva” i quarti, Hurkacz due in più, visto che era testa di serie n.14.
La storia – Nicola Pietrangeli – Berrettini
Era dal 1960 che l’Italia non centrava la semifinale a Wimbledon. Ora Berrettini è a un passo dalla finale, mai raggiunta da un italiano, che si disputa domenica a Londra, poche ore prima della finale degli Europei di calcio.
L’ultima volta è stato nel 1960, quando Livio Berruti trionfava nei 200 metri piani alle Olimpiadi di Roma. Non esattamente ieri, sono passati 61 anni. Dopo Nicola Pietrangeli, Matteo Berrettini. Primo italiano nell’era Open a raggiungere la semifinale di Wimbledon, un torneo quasi sempre indigesto per i tennisti italiani, più a loro agio nella polvere della terra rossa.
Il 25enne romano ci è arrivato rispettando i pronostici: finora nel torneo ha sempre superato avversari dietro a lui in classifica. Ha insomma fatto il suo dovere, e non è poco: basta chiedere a Tsitsipas, Federer o Rublev, usciti prematuramente dall’All England Club contro rivali meno quotati.
Il bello è che non finisce qui. Il tabellone continua infatti a sorridere al numero 8, che in semifinale incrocerà il polacco Hurkacz, testa di serie numero 14 e fresco giustiziere di re Roger Federer in tre soli set, con un imbarazzante 6-0 finale subìto dal campione elvetico apparso davvero al capolinea della sua straordinaria carriera.
Berrettini oggi ha sconfitto il giovane canadese Auger Aliassime con il punteggio di 6-3, 5-7, 7-5, 6-3 al termine di una partita molto combattuta tra due grandi amici fuori dal campo, uniti pure da un incrocio sentimentale (Auger Aliassime è il compagno della cugina di Ajla Tomljanovic, la tennista australiana fidanzata da tempo di Berrettini).
«Sarà la prima volta per me in una semifinale di Wimbledon, ma anche per il mio avversario Hurkacz: se ha battuto Federer vuol dire che sta bene, ma io ho fiducia. Io in questo momento cerco di vincere ogni partita che gioco, ma ogni partita è difficile e diversa». Queste le prime parole di Matteo Berrettini.
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