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    Pagelle balneari, seconda parte

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    Quello che ci è piaciuto (e soprattutto, quello che non ci è piaciuto) della scorsa settimana tennistica

    I voti questa volta sono per Cincinnati. Alcaraz conquista una vittoria triste, Swiatek sembra definitivamente uscita dalla buca, Sinner se ne va dopo venti minuti in finale. Ecco il nostro sindacabilissimo giudizio sugli atti, i fatti e i personaggi dell’ultima settimana.

    Carlos Alcaraz – 9
    Vince Cincinnati senza sudare troppo, e non per colpa sua. In finale conduce 5-0 contro Sinner quando l’azzurro si ferma, febbre e influenza. È l’ottavo Masters 1000 della sua carriera, il primo a Cincinnati. Non esulta troppo, scrive “Sorry Jannik” sulla telecamera e ringrazia il pubblico. Vittoria netta, ma con retrogusto amaro.

    Jannik Sinner – 7 (con controllo medico programmato)
    Numero uno del mondo, campione in carica. Ma in finale resta in campo solo 23 minuti, senza mai entrare davvero nel match. Si ritira, logorato da influenza e febbre alta. Chiede scusa al pubblico: “I’m super, super sorry”. Brutto epilogo di una settimana comunque positiva. In vista di New York c’è solo da sperare che il volume di mercurio nel termometro diminuisca.

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    Iga Swiatek – 9
    Prima volta regina a Cincinnati, undicesimo titolo WTA 1000 in carriera. Non concede un set in tutta la settimana, in finale chiude il libro dei sogni di Paolini. Domina senza fare rumore, con la solita precisione da metronomo. E torna numero due del mondo. Il momentaccio, lunghetto, sembra alle spalle.

    Jasmine Paolini – 8
    Prima italiana in finale a Cincinnati e un’altra paginetta di storia regalata al nostro tennis dalla pulce di Castelnuovo Garfagnana. La strada l’ha portata oltre Krejcíkova e oltre Gauff, fino all’appuntamento con Swiatek: in finale inizia col passo leggero di chi cammina per aria, ma la polacca la rimette presto coi piedi a terra. Non porta via il trofeo, ma un rispetto sempre più alto da parte delle colleghe. Ossia, la coppa più brillante.

    Elena Rybakina – 7
    Fino alla semifinale sembra avere il passo giusto, servizio che punge e dritto che spacca. Abbatte Sabalenka, ma contro Swiatek si affloscia: quando la polacca decide di accelerare, lei non trova l’appiglio. Elegante nel portamento, ma fragile nei momenti che contano.

    Aryna Sabalenka – 5,5
    Era la campionessa uscente, ma non lo si direbbe. Si perde ai quarti contro Rybakina, lasciando più smorfie che vincenti. A volte sembra stanca persino del suo stesso repertorio: potenza, sì, ma senza un filo di trama.

    Coco Gauff – 6
    Gioca in casa, con la pressione che pesa come un cappotto ad agosto. In semifinale contro Paolini corre tanto, ma sembra sempre un passo in ritardo, come chi cerca di afferrare un treno già in movimento. Forza i colpi, non costruisce. Alla fine sorride, ma è un sorriso stanco: quello di chi sapeva di dover andare più lontano.

    Le interviste in campo – 3
    Sempre le stesse domande, sempre gli stessi sorrisi. Alcaraz che chiede scusa, Swiatek che parla di concentrazione, Paolini che ringrazia il pubblico. Lui misurato, lei emozionata, la polacca implacabile. Poche colpe addebitabili agli intervistati, però: se le domande sono quelle, del resto, buonanotte

    Il box di Sinner – 6,5
    Ventitré minuti di finale, nel suo angolo nessuno che alzi un sopracciglio. Cahill immobile, Vagnozzi con le braccia conserte: impotenti come il loro pupillo in campo, sapevano che ci sarebbe stato poco da fare. Il tennis moderno è fatto anche di questi quadri fissi, che a volte raccontano più del punteggio.

    L’allarme – 8
    Durante Diallo-Sinner, proprio mentre Jannik è al servizio, parte l’allarme antincendio. Sirena insistente, gioco fermo, lui che ride e scuote la testa. Nessun incendio, solo rumore. Come a sottolineare che a Cincinnati, più che bruciare, quest’anno si è spento tutto in fretta: la finale maschile in ventitré minuti, quella femminile meglio, ma le partite incandescenti sono altre. Ci resta l’eco di una sirena, piccola metafora involontaria di un torneo interrotto prima di accendersi davvero.

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