Non solo campione: il n.1 al mondo ci insegna gentilezza, sacrificio e umiltà. Non è un “alieno”, è il modello che dovremmo rendere normale
N°1 al mondo, recentissimo vincitore in Coppa Davis, recente vincitore delle ATP FINALS, precedentemente vincitore del SIX KINGS SLAM in Arabia Saudita. Jannik Sinnner chiude l’anno con 73 vittorie e 6 sconfitte, primo italiano a diventare n°1 al mondo, primo italiano a vincere le ATP FINALS, primo giocatore a vincere nello stesso anno Coppa Davis, ATP Finals ed essere n1 al mondo ecc., ecc.
Quanto ci sarebbe da dire!
Ma non serve che vi parli io dei suoi risultati, né dei record che ha battuto. Ne stanno parlando tutti ed è sempre ipnotizzante sentire tutto quello che questo ragazzo sta compiendo. Tutte cose pazzesche, per carità, ma il punto su cui vorrei fermarmi è un aspetto più sottile ma incredibilmente più profondo, ovvero, noi italiani avevamo proprio bisogno di Jannik Sinner. Probabilmente o sicuramente, non ce lo meritiamo. Ma ne abbiamo bisogno.
Perché? Perché sta facendo tornare di moda cose che rimpiangiamo sempre ma pratichiamo poco e insegniamo raramente, tipo: la gentilezza, l’educazione, il rispetto (delle regole, dell’avversario, degli arbitri, degli strumenti), la dedizione al lavoro, l’attitudine al sacrificio, il gioco di squadra, la gratitudine e la condivisione del successo con chi sta dietro le quinte, l’autocontrollo, l’umiltà.
Mentre l’italiano medio vive con la mentalità del “minimo sforzo al massimo rendimento”, ama i gossip e parla delle cose più riservate davanti ai riflettori, vittima del vecchio slogan “l’importante è che se ne parli, nel bene e nel male”.
Sinner? Non si esalta nelle vittorie, non si autocelebra e non si osanna a campione dei campioni, eppure lo è e a volte si fa quasi del sarcasmo su una sua presunta incoscienza di quello che sta raggiungendo, quando lui semplicemente sottolinea che è un lavoro, ma anche un gioco, come se poi fosse scontato fare lo spavaldo ed essere atipico mantenere la sobrietà.
Non si adira quando gioca male, non lancia le racchette, non se la prende con il campo, il giudice e gli allenatori. Sa perdere, ma sempre con dignità, con umiltà e con un proposito positivo focalizzato sul miglioramento da raggiungere. Ama lavorare tanto e duramente.
Se Jannik fosse un partito lo voterei, perché rappresenta quello in cui credo, dalle parole ai fatti. Dalle interviste al campo. Nelle vittorie e nei momenti difficili. Parla poco, fa e dimostra. È coerente, è buono.
Diversamente da tanti tennisti, non proviene da una famiglia ricca, eppure quando gli parlano dei suoi sacrifici lui conferma ma smorza dicendo di essere una persona fortunata e privilegiata.
Quando vince ringrazia tutti: il pubblico, gli allenatori, la famiglia. Quando parla dei risultati parla sempre al plurale: “abbiamo vinto”, “abbiamo raggiunto”. Bellissimo.
Noi allenatori siamo abituati a tutto questo? No. Dopo una sconfitta si parla per ore, a volte si cerca addirittura il colpevole. Dopo una vittoria, se va tutto bene, si riceve un messaggio. Siate sinceri.
Quanti di noi davanti a lanci di racchette e bestemmie avranno detto agli allievi “così non diventerai mai un campione” e la risposta dell’allievo era “ma lo fanno anche i campioni in tv” e noi muti! Ecco la nostra rivalsa. Il n°1 che dà il buon esempio, degno erede della classe ed eleganza di Roger e Rafa.
Eppure a volte lo definiscono “l’alieno”, “viene da un altro mondo”. Fermatevi. Capisco che siano espressioni che facciano scena, ma quanto è pericolosa questa affermazione? Quanto è deresponsabilizzante porre lui su un piedistallo e prendere le distanze? Approfittiamo di Sinner! Facciamo diventare “normale”, quotidiano, umano, essere come lui. Non sentirsi arrivati né alla prima vittoria, né raggiungendo il tetto.
Riassumendo, le mie riflessioni sono iniziate compiacendomi della bellezza del messaggio che sta mandando un ragazzino di 23 anni n°1 al mondo (perché diciamocelo chiaro, non tutte le voci hanno lo stesso peso e quando sei un campione, un idolo, hai una credibilità diversa, la gente ti ascolta, i ragazzi ti imitano), al chiedermi come ci si ritrova ad essere una persona così?
Grazie alla mentalità con cui sei cresciuto. Banalissimo, lo sappiamo tutti, no? Per questo la mia attenzione si è spostata al rapporto genitori-figli. Come dice il medico psichiatra Paolo Crepet, ai genitori di oggi non piace educare, perché l’educazione non è diplomatica ma è faticosa, come è faticoso vedere i propri figli far fatica e non andare a soccorrerli.
Ma qual è il rischio? Qual è il prezzo? Il rischio è che proteggendoli da sempre e fin quando è possibile ci troviamo ragazzi che non si fanno gli anticorpi per la frustrazione (Paolo Crepet) poco alla volta, dalle cose semplici fino alle più complesse, ma ci aspettiamo che a 20 anni improvvisino un carattere forte che non hanno dovuto costruirsi.
Quindi in conclusione, perché abbiamo bisogno di Sinner?
Perché non è il primo e neanche l’unico, ma è al vertice di un movimento che sta mettendo in discussione i pensieri di molti, rivoluzionando una generazione iperprotetta e dando uno nuovo slancio a noi italiani che siamo un grande popolo che ha fatto cose grandiose nel corso della storia e si era un po’ addormentato.
Oggi siamo i vincitori della Coppa Davis, della Billie Jean King Cup, abbiamo un italiano n°1 al mondo.
Adesso tocca a noi, nel quotidiano, lì dove siamo, eccellere.
(Maristella Parisi – Esperta di preparazione fisica nel settore alto livello del CONI)