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    TennisTalker MagazineEditorialiLa scelta di Rafael Nadal: diventare ambasciatore del tennis in Arabia Saudita
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    La scelta di Rafael Nadal: diventare ambasciatore del tennis in Arabia Saudita

    Il dibattito sullo sportwashing non si ferma

    La storia dello sportwashing è lunga e complessa con esempi che risalgono agli anni ’30 quando, nel 1936 durante i Giochi Olimpici di Berlino organizzati dalla Germania nazista, Hitler utilizzò l’evento per mostrare al mondo un’immagine positiva del suo regime.

    Negli anni ’70 e ’80 l’organizzazione dei Mondiali di calcio si tenne in Argentina, paese governato da una dittatura militare responsabile di gravi violazioni dei diritti umani.

    Negli anni ’90 il Sudafrica, uscito dall’apartheid, ospitò i Mondiali di rugby, evento visto come simbolo di unità e riconciliazione, nonostante le preoccupazioni persistenti sull’uguaglianza razziale.

    Di recente, nel 2022, si sono svolti in Qatar i Mondiali di calcio, nonostante le condizioni di lavoro forzato subite dai lavoratori migranti e le limitazioni dei diritti delle donne e delle persone LGBTQ+.

    Nel 2023 l’Arabia Saudita, paese che suscita aspre critiche per pratiche perpetuate che violano i diritti umani, ha ospitato il LIV Golf Invitational Series.

    Questi sono solo alcuni esempi, ma la pratica dello sportwashing continua ad evolversi e la consapevolezza della storia e delle sue insidie è fondamentale per analizzare criticamente gli eventi sportivi e capire come vengono utilizzati per scopi politici e di immagine.

    In tema di cambiamenti climatici, l’Unione Europea è in fase di discussione della bozza della direttiva di contrasto al greenwashing mentre in contemporanea, in tema di diritti umani, gli stati o i governi usano lo Sport al fine di distrarre l’attenzione su violazioni dei diritti umani, mancanza di democrazia o altri aspetti controversi della loro politica interna, investendovi somme ingenti attraverso l’acquisto di club sportivi, l’organizzazione di eventi di caratura internazionale e la sponsorizzazione di atleti di fama mondiale.

    Nadal ha affermato di essere entusiasta di promuovere il tennis in un paese con un grande potenziale di crescita. Ha inoltre sottolineato i recenti progressi fatti dall’Arabia Saudita in materia di diritti delle donne.

    Ma di contro le critiche sono state innumerevoli e, tra i critici, Amnesty International ha accusato Nadal di ipocrisia e di compiacenza verso un regime che, secondo l’organizzazione, continua a violare i diritti umani: “È solo l’ultimo capitolo dell’incessante operazione di ‘sportwashing’ da parte dell’Arabia Saudita. Nadal piuttosto parli apertamente dei diritti umani”.

    Altri invece sostengono che la collaborazione con l’Arabia Saudita possa essere un modo per promuovere il cambiamento all’interno del paese.

    Nadal non è il primo sportivo ad essere accusato di sportwashing. Altri atleti di fama mondiale hanno collaborato con regimi controversi.

    “Rifiutare di partecipare a eventi sportivi dove i diritti umani non esistono è una scelta poco popolare, ma qualcuno si è distinto per senso critico e di giustizia”. 

    Il tennista Roger Federer nel 2018 non partecipò ad un’importante partita di tennis organizzata in Arabia Saudita, evento voluto e gestito dal governo saudita. In quel momento era al centro del dibattito la vicenda dell’omicidio di Jamal Khashoggi, ucciso nel consolato saudita della Turchia.

    All’invito, Federer rispose che non avrebbe partecipato, rifiutando un compenso di circa un milione di dollari.

    “Mi hanno contattato, sì. Perché ho rifiutato? Perché non voglio giocare. Va bene così. Mi piace giocare. Sono felice di fare altre cose e non voglio giocare lì in questo momento. Quindi, ho deciso in fretta”, ha detto il tennista in un’intervista.

    Il tennista John McEnroe ancor prima aveva fatto una scelta simile. Nel 1980, in pieno apartheid, il Sudafrica volle organizzare una partita tra McEnroe e Björn Borg per sfruttare la loro enorme popolarità del momento. McEnroe non partecipò.

    John McEnroe

    “Quella somma corrisponde almeno a dieci milioni di dollari, ma sono orgoglioso di aver preso quella decisione. Sapevo che era una somma incredibile, ma pensai che se mi offrivano tutti quei soldi c’era una ragione: volevano usarmi per i loro fini propagandistici. All’epoca avevo solo 21 anni, ma questo l’avevo capito, e non volevo essere la pedina di nessuno. Ne vado fiero. Non fu una scelta difficile e la reputo una delle decisioni migliori di tutta la mia carriera.”

    Sono state scelte etiche individuali dei singoli sportivi che comunque abbiamo il diritto di giudicare.

    E voi cosa ne pensate? Scrivetelo nei commenti e fateci sapere la vostra opinione

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