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    Il calcio è rotondo, il tennis quadrato

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    Perché i codici morali del tennis sembrano resistere meglio all’assalto della modernità. Storia di un paragone impossibile con il Calcio

    You Cannot Be Serious – a cura di Paolo Porrati

    Napoli, sabato sera. Davanti a circa ottantamila persone, il difensore del Napoli Marco Di Lorenzo stramazza al suolo nella propria area dopo un contatto con l’avversario interista Henrikh Mkhitaryan come se fosse stato colpito da un cecchino tedesco durante la battaglia di Stalingrado. Le immagini di lì a poco dimostreranno che l’impatto subito da questo ragazzo che cuba 187 cm per 83 kg di piena efficienza atletica è paragonabile a quello provocato da un bambino di sei anni che lancia un lecca lecca.

    Vienna, quello stesso pomeriggio. Sul due pari nel secondo set, Alex De Minaur tenta di cambiare direzione per agganciare un colpo di Jannik Sinner in contropiede, e così facendo effettua un movimento di torsione dell’anca che lo fa cadere a terra. Vedendo che tarda a rialzarsi, il suo avversario si avvicina subito alla rete e si accinge a scavalcarla per prestare soccorso, consapevole che l’anca è un punto nel quale l’australiano ha già subito infortuni. Solo dopo essere stato rassicurato che è tutto ok, torna al suo posto per riprendere il gioco.

    Due episodi quasi coincidenti per pura coincidenza, mille esempi simili, una conclusione soltanto: entrambi gli sport si giocano con una palla rotonda, ma il mondo che lo sport con la racchetta circonda è straordinariamente… quadrato. Quadrato nei gesti, nelle regole, nei silenzi. Un po’ come se, mentre il resto dello sport corre a braccia aperte verso la modernità più sfrenata, il tennis continuasse a chiedere il permesso di restare qualcosa di diverso.

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    Mentre nel calcio i giocatori non si vergognano neanche più di comportarsi da piccoli truffatori, e nel basket il timeout è diventato un mini-reality, il tennis resta un mondo in cui si chiede scusa per un nastro fortunato. Un universo in cui si può urlare solo “out!”, ma non troppo forte, e dove un “thank you” al raccattapalle vale più di un’intervista social da un milione di views.  È come se il tennis custodisse un codice morale non scritto, nato ai tempi dei pantaloni bianchi e dei servitori con i guanti, e miracolosamente sopravvissuto a TikTok, ai microfoni a bordo campo e anche a Nick Kyrgios. 

    Il quaderno delle educande   

    Niente da segnalare? Proviamo a scandagliare gli archivi del tennis alla ricerca di comportamenti palesemente antisportivi in campo da parte di top players.

    Iniziamo col primatista, Hugo Gaston. A Madrid Open 2023, durante uno scambio, il francese lancia volontariamente una pallina in campo per ottenere la ripetizione del punto e interrompere il ritmo dell’avversario (Borna Ćorić). Funzionò così bene che si prese una multa record da 144.000 €, da cui il primato.

    L’ungherese Amarissa Tóth, a Budapest 2023 e quindi in casa, dopo una chiamata contestata, cancella col piede il segno della pallina sulla terra che avrebbe potuto dare ragione alla cinese Zhang Shuai, poi ritiratasi in lacrime. L’intento di impedire la verifica della palla riesce, ma le valse una crocifissione globale e l’accusa di “slealtà deliberata” da nientemeno che Martina Navratilova.

    Iga Świątek a San Diego 2022 durante uno scambio, agita – udite udite – le braccia davanti alla rete mentre Donna Vekić sta colpendo, per distrarla e alterarne la concentrazione dell’avversaria. Nessuna sanzione, ma viene obbligata alle scuse pubbliche.

    Stefanos Tsitsipas, the King of the toilet break, US Open 2021. Fa pause lunghissime tra i set per interrompere il ritmo di Andy Murray, che lo accusa pubblicamente di comportamento scorretto. L’intenzione di spezzare la concentrazione e recuperare energie produce uno scandalo mediatico tale da indurre la revisione delle regole ATP. Se ci pensate, questa cosa fa sorridere parecchio. Sino a poco tempo fa, gli assistenti di campo scortavano i giocatori e le giocatrici al bagno per evitare che ricevessero consigli da coach o assumessero sostanze dopanti. Oggi, li accompagnano per evitare che ci restino troppo, al bagno.

    Rafael Nadal vs Lukáš Rosol, Wimbledon 2012. Durante un cambio di campo in un momento molto teso del match, Nadal urta deliberatamente la spalla di Rosol, che stava vincendo. Il gesto di intimidazione fisica, senza conseguenze, è un episodio simbolo della tensione “psicologica” nel tennis. Post-scriptum. Lo spagnolo è anche nei ricordi di molti giocatori per la snervante attesa cui costringeva i suoi avversari prima di servire. Mettendo insieme tutti i secondi passati ad aspettare i suoi servizi si accumula una banca delle ore sufficiente a pensionare anticipatamente un diciottenne neoassunto. E anche in questo caso l’ATP si è vista costretta a cambiare le regole, e i giocatori a dire “ho passato mezza carriera ad aspettare che Rafa servisse, ora il warning per time violation lo becco io”.

    Il mio preferito, prima la famiglia. Nick Kyrgios vs Stan Wawrinka – Montreal 2015. Durante il match, a un cambio campo sussurra una frase volgare e personale sull’allora fidanzata di Wawrinka. Intenzione: colpire l’avversario sul piano emotivo. Sanzione: multa e sospensione condizionale. Conseguenze: la sera, quando va a prendere la macchina nei parcheggi bui, il caro Nick, secondo me, ancora si guarda in giro circospetto. Lo svizzero, un tipetto non proprio incline al perdono, potrebbe essere nei paraggi.

    E per finire uno dei miei giocatori preferiti, Robin Söderling contro Rafael Nadal a Wimbledon 2007. Lo svedese imita platealmente i rituali di Nadal (tirarsi i pantaloncini, camminare lentamente) per deriderlo e innervosirlo. Una provocazione diretta per rompere il ritmo mentale del rivale. Risultato: niente conseguenze, e il match lo vince Nadal.

    In sintesi, le forme di antisportività nel tennis non sono fisiche ma psicologiche o manipolative: distrazione intenzionale, intimidazione o scorrettezza morale, provocazione verbale, uso tattico delle regole. Un campionario di nefandezze da educande, e neanche delle meno disciplinate.

    Un cocktail ben calibrato

    E allora perché? Perché nel tennis la correttezza resiste più che altrove? Mettiamo insieme cose che già sappiamo, uniamo i puntini in modo logico e la risposta arriva da sola.

    Punto primo: regole forti e sanzioni immediate. Il tennis ha un Codice di condotta dettagliatissimo (insulti, best-effort, leaving the court, ecc.) con Point Penalty Schedule e multe: la deterrenza è chiara e visibile, anche a match in corso. E viene applicata con puntualità.

    Punto secondo: eredità storica di etichetta e autocontrollo. Dalla nascita del lawn tennis (fine ’800) si afferma un galateo di autocontrollo che condiziona ancora oggi i comportamenti in campo. La letteratura storica mostra come costume ed etichetta abbiano modellato la cultura tennistica di lungo periodo, trasferendola di generazione in generazione sportiva. Se fai il punto col nastro chiedi scusa, te lo insegnano da bambino.

    Punto terzo: silenzio rituale e norme di comportamento del pubblico. Il “Quiet, please” non è solo folklore: il silenzio durante il punto è una norma sociale interiorizzata che riduce provocazioni e sceneggiate, distinguendo il tennis da sport più rumorosi. Si tratta di una prassi tradizionale non codificata, ma che resta fortissima.

    Punto quarto: tecnologia che riduce il contenzioso. Hawk-Eye/ELC ha compresso lo spazio per la “disonestà creativa” (calling, pressioni sull’arbitro). Anche se non è infallibile, la prevalenza della tecnologia nelle decisioni di campo migliora l’arbitraggio e disincentiva il conflitto sistematico (di fatto sottraendo all’arbitro la discrezionalità decisionale che è la ragione delle pressioni dei giocatori).

    Punto quinto: sport individuale, senza contatto. Nel tennis non puoi “scaricare” la colpa su arbitri, compagni o contatti fisici: l’atleta è esposto e responsabile. Un’interessante ricerca sulla moralità negli sport del 2015 (Predictors of moral disengagement in sport – David Lights Shields et Al. J. Sport Expert Psychol) compiuta su oltre settecento sportivi ha evidenziato che il disimpegno morale (l’antisportività) cala in presenza di tratti caratteriali quali empatia, senso di identità e autostima, mentre sale in presenza orientamento alla lotta in quanto tale. Se ci riflettete, troverete una forte presenza nel nostro sport proprio di quegli elementi che sfavoriscono e comprimono l’antisportività.

    Punto sesto: autogestione alla base. Nei livelli competitivi senza ufficiali di gara (club, junior, amatori) vige la prassi di fair play auto-applicato tramite uno specifico codice (in Italia è il CASA – Codice di Arbitraggio Arbitro), che educa i giocatori fin da piccoli a gestire le partite in autonomia e a chiamarsi le palle con onestà. Questa socializzazione “dal basso”, pur con dei limiti, poi si travasa nel professionismo.

    Punto settimo: tornei-icona che preservano le tradizioni. Simboli come il dress code di Wimbledon (all-white) fungono da “ancore culturali”, ricordando che la forma conta e rinforzano l’idea che il tennis sia un rito con regole oltre che uno show.

    Punto ottavo: fiducia come norma sociale. Studi qualitativi mostrano che i tennisti interpretano le regole come sistema di fiducia: l’adesione al fair play è percepita come parte dell’identità del gioco e viene sanzionata socialmente dal gruppo quando viene tradita, come visto negli esempi precedenti.

    Regole forti, rispetto del passato, prassi condivise, tecnologia, senso di responsabilità, autogestione, attenzione alle tradizioni, fiducia nelle regole, ecco quello che rende il tennis così speciale. Pensateci, sono gli stessi concetti alla base della Democrazia!

    Un cambio di prospettiva

    Siamo quindi di fronte a un paradosso sportivo? Nato come passatempo aristocratico, il tennis ha saputo attraversare secoli e generazioni senza smarrire il proprio alfabeto morale; mentre il calcio ha scoperto lo spettacolo, il basket la teatralità e il padel la confusione, il tennis continua a difendere un suo tempo interiore: quello della pausa prima del servizio, del silenzio prima dell’applauso, del rispetto prima dell’istinto. Forse perché è costruito sulla fragilità dell’individuo, non sulla forza del gruppo; o forse perché pretende dal giocatore ciò che il mondo non chiede più: responsabilità, misura, autocontrollo.

    Attenzione però, si tratta di un paradosso che si trova in buona compagnia, anzi ottima. Solo per restare il Italia, la pallavolo produce allo stesso tempo miracoli sportivi e ragazzi e ragazze come Paola Egonu che rappresentano i colori nazionali – e quindi noi – rendendoci orgogliosi. L’atletica leggera con le sette medaglie ai mondiali di Tokio spiega il carattere nazionale attraverso la capacità di resistenza della straordinaria Nadia Battocletti, e racconta la nuova Italia con Mattia Furlani molto meglio degli studi dell’Istat. E poi Brignone, Vio, Bagnaia, Tamberi, Ganna, un profluvio di atleti di altissimo livello che vincono senza coprirsi di ridicolo e perdono coprendosi di gloria.

    E allora ecco che forse dovremmo cambiare prospettiva e guardare alle cose positive che il Tennis e gli altri sport sono in grado di offrire, e preoccuparci affinché anche il calcio le recuperi.

    Perciò, quando vostro figlio fa punto grazie al nastro spiegategli anche voi ci si scusa, senza se e senza ma. E quando il portiere della vostra squadra perde tempo perché manca poco alla fine della partita, alzatevi in piedi e gridate come il mio amico Francesco a San Siro: “Tu sei il portiere dell’Inter, non puoi comportarti così!

    YCBS-Paolo Porrati


    You cannot be serious è la nuova rubrica settimanale di Tennistalker Magazine dedicata a tutto ciò che nel tennis non rimbalza ma … fa rumore lo stesso! A cura di Paolo Porrati: accanito “quarta categoria”, è stato Giudice Arbitro per la FITP e ha partecipato da spettatore a tutti gli Slam, Finals Davis e Olimpiadi. Il suo romanzo giallo “Lo Sport del Diavolo”, pubblicato da Laurana Editore e ambientato nel mondo del tennis, è stata la sorpresa letteraria sportiva dello scorso anno.

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