Il tennista argentino, numero 401 del mondo, si ferma in via provvisoria dopo la positività a un diuretico riscontrata durante le qualificazioni dello US Open. “Sono innocente, confido negli organi preposti a discutere la mia vicenda”
A 35 anni, Facundo Bagnis si trova a fronteggiare uno degli episodi più delicati della sua carriera. L’argentino ha scelto di accettare volontariamente una sospensione provvisoria dall’attività, dopo essere risultato positivo a una sostanza proibita appartenente alla categoria dei diuretici e agenti mascheranti, come comunicato dall’International Tennis Integrity Agency (ITIA).
Il controllo antidoping risale al 25 agosto, durante le qualificazioni dello US Open, dove Bagnis era stato eliminato al primo turno da James Duckworth in due set. L’analisi del campione “A” ha rilevato la presenza di idroclorotiazide, una sostanza inserita nella lista 2025 del programma antidoping della federazione.
La notifica della possibile violazione è arrivata il 2 ottobre, e il 18 dello stesso mese, la scorsa settimana, il tennista ha comunicato di aver accettato la sospensione provvisoria: “Ho preso questa decisione per dedicare tutta la mia attenzione all’imminente processo e dimostrare che non ho nulla da nascondere,” ha spiegato il giocatore in un comunicato.
Bagnis, che ha toccato la posizione numero 55 del ranking mondiale nel novembre del 2016, si è detto “sorpreso dalla notizia” e ha sottolineato di aver “collaborato fin dall’inizio in modo pieno e trasparente con l’ITIA per chiarire tutto il prima possibile.” Il tennista argentino, che nel circuito ha sempre mantenuto una reputazione impeccabile, punta a dimostrare la propria estraneità: “Non assumerei mai consapevolmente una sostanza proibita. Insieme al mio medico tossicologo e al team legale sospettiamo un caso di contaminazione, e presto potremo provare la verità.”
Un caso che riaccende il dibattito su rigore e complessità del sistema antidoping, tra responsabilità oggettiva e possibili trasferimenti involontari di microrganismi. Ma intanto, come spesso accade nello sport, resta una certezza: l’attesa del verdetto pesa più di qualsiasi sospensione.



