Vincere un torneo, o anche solo andarci vicino, partendo dalle qualificazioni, ti cambia la vita. Questo è sicuro. Ma non sempre in meglio
You Cannot Be Serious – a cura di Paolo Porrati
La commovente cerimonia di Shanghai, con Valentin Vacherot e il cugino Arthur Rinderknecht abbracciati, riporta per un attimo il tennis alla dimensione fiabesca che solo lo sport riesce a regalare. Il Master 1000 ripropone infatti la favola del giocatore con il ranking più basso di sempre – 204 – a vincere un torneo importante, per di più partendo dalle qualificazioni.
In due settimane il non più giovanissimo monegasco apparecchia una serie di successi da sogno eliminando Nishesh Basavareddy, Liam Draxl e Laslo Đere nelle qualificazioni, poi Aleksandr Bublik, Tomas Machac, Tallon Griekspoor, Holger Rune e soprattutto Novak Djokovic nel tabellone principale, per poi trionfare nella finale più casalinga dai tempi delle sorelle Williams. Prima di questo torneo il ragazzo aveva incassato in tutta la carriera 594 mila dollari. Con solo questa vittoria porta a casa più del doppio, 1.124.380 dollari. E in più, il balzo alla posizione 40 del ranking, che a sua volta garantisce l’entrata nei prossimi tabelloni senza il passaggio attraverso le forche caudine delle qualificazioni.
E adesso? Cosa succede nel resto della favola? Il nostro eroe vivrà per sempre felice e contento oppure no? Sta per iniziare una carriera brillante o si tratta di una vampata destinata ad estinguersi presto? In questo articolo, studiamo la Storia per augurarci che – una volta tanto – non si ripeta.
Un piccolo club
Ma quanti sono, nel tennis, gli underdog, e cioè gli sfavoriti che secondo i pronostici hanno poche possibilità di vincere, ma che, con sorpresa, trionfano in una competizione? Non molti, in verità.
Concentrandoci sul trentennio 1995-2025 e limitando la ricerca agli ATP Masters 1000 (ex Super 9 / Master Series) e WTA 1000 (ex Tier 1 / Premier Mandatory / Premier 5), i casi di titolo vinto partendo dalle qualificazioni – il massimo dello sfavore – sono rarissimi. Fra gli uomini, solo tre: Roberto Carretero (Amburgo 1996) su Alex Corretja, Albert Portas (sempre ad Amburgo, evidentemente porta buono, 2001) su Juan Carlos Ferrero e appunto Valentin Vacherot. Al femminile, solo due: Caroline Garcia (Cincinnati 2022) contro Petra Kvitova e ovviamente Emma Raducanu (US Open 2021) contro Leylah Fernandez. Un club composto da cinque soli membri.
Estendiamo la ricerca, e con essa il concetto di underdog, includendo per cominciare i qualificati che hanno sì vinto un torneo arrivando da lontano, ma un torneo minore, un 250 o un 500. In questo caso si aggregano al club Anna Blinkova (Transylvania Open) e Clara Tauson (Lyon) fra le donne, e Roberto Caballés Baena (Quito 2018) Nicolas Almagro, (Valencia 2006), Santiago Ventura (Casablanca 2024), Steve Darcis (Amersfoort 2007), Thomaz Bellucci (Gstaad 2009), Juan Manuel Cerundolo (Còrdoba 2021), Luciano Darderi (Cordoba 2024), e il primatista Alejandro Tabilo, che fa doppietta (Auckland 2024 e Chengdu 2024) fra gli uomini. Il club si infoltisce ma rimane un ritrovo per pochi.
Paletti ancora più laschi, si può diventare eroi anche con una finale o una semi, se il torneo merita. Benvenuti quindi a Radek Stepanek (Bercy 2004), Jerzy Janowicz (ne riparleremo, sempre Bercy ma 2012), Filip Krajinovic (sempre Bercy, incredibile, 2017) e Anna Kalinskaya (Dubai 2024) fra i primi, Danielle Collins (Miami 2018) e Marie Buzkova (Toronto 2019). Slam? Alexandra Stevenson (Wimbledon 1999, la prima a riuscirci), Vladimir Voltchkov (Wimbledon 2000), Nadia Podoroska (Roland Garros 2020). Aslan Karatsev (Australian Open 2021) e Dayana Yamstrenka (Australian Open 2024).
Parentesi nazionale: il cuore si riempie di gioia ripensando ovviamente alla semi di Marco Cecchinato a RG18 (non era un qualificato, ma direttamente in tabellone col numero 72), Lorenzo Sonego ai quarti di Montecarlo 2019 e Martina Trevisan ai quarti di RG20 da qualificata, e alle semi di RG22 da numero 59. Che emozione.
Ad ogni modo, per l’assemblea annuale del club degli underdog basta una sala convegni neanche tanto grande. Va bene, ma chiarito l’aspetto numerico ora la domanda da porsi è: dopo cosa è successo?
La maledizione degli underdog
La teoria che vorrei dimostrare è che essere un underdog non fa bene alla carriera. Porto a sostegno della mia tesi Alberto Carretero, entrato da numero 143 ad Amburgo e uscito da 58 dopo la vittoria su Corretja. Fu la sua unica vittoria in torneo, e ne ebbe assai poche in generale dopo l’exploit (anche prima non è che avesse fatto sfracelli, con dieci successi in tutto) per ritirarsi poi relativamente presto.
Storia simile per Albert Portas, vincitore anche lui ad Amburgo. Poche vittorie, un 19 come best ranking e nessuna traccia nella memoria collettiva, se non per il soprannome di “drop shot dragon” affibbiatogli da Ferrero per le sue palle corte.
Calo il jolly: Raducanu. Subito dopo il trionfo, una valanga di problemi, e qui prende corpo la teoria della maledizione. Infortuni, coach cambiati come sottosegretari, livello tecnico altalenante, e classifica pure. Janowicz a suo modo tiene l’abbrivio arrivando in semifinale a Wimbledon e arrivando alla soglia della top ten (#14) per poi arrendersi a problemi fisici, psicologici e spegnersi nei Challenger. Fine peraltro ingenerosa, quella del titolo di “one season wonder”, in italiano meteora.

In tutti questi casi i casi l’exploit è stato eccezionale singolarmente, ma non è stato seguito da conferme di classifica o di titoli per spegnersi (speriamo non capiti ad Emma) nell’anonimato. I motivi della mancata conferma risiedono principalmente in tre fattori: il cambio delle aspettative (e quindi della pressione) generato dall’exploit, il passaggio a un livello troppo alto da mantenere per le proprie capacità tecniche, e perché no il voltafaccia del capriccioso Dio del Tennis, pronto a portare in alto i suoi protetti per poi lasciarli precipitare senza pietà.
La spiegazione del mistero
Però, però. A voler ben vedere, se ritorniamo alla entry list del nostro underclub, notiamo una cosa particolare. Più è basso il livello di exploit, migliore è la carriera che all’exploit è seguita. Anzi, se l’exploit si ferma alla semi o alla finale, meglio ancora. Almagro, Bellucci, Krajinovic, Stepanek, Collins, Yamstrenka, Cerundolo e altri hanno consolidato una carriera magari non di vertice, ma più che rispettabile. Il che volendo è ampiamente ragionevole e comprensibile: più in alto vai con l’exploit più la caduta è rovinosa, se non sei preparato. Ma se il successo è ragionevole, e proporzionato al tuo livello di gioco, lo è anche quello che segue.
Perciò, mio caro Valentin, le strade davanti a te sono due. La prima, quella più ragionevole, far finta di aver vinto un 250, e ripartire da lì, anche se la porta del teatro maggiore è lì aperta per te. L’altra, la più affascinante, è di considerare il titolo di Shanghai come il regalo anticipato per i tuoi 27 anni, e dedicarti anima e corpo alla celebrazione di un momento che magari sarà fugace, ma indimenticabile fra tabelloni principali ed eventi correlati.
In ogni caso, l’unico consiglio che mi sento di fare è quello di … non fare come Roberto Carretero. Lo spagnolo vince il Master di Amburgo appunto da underdog, e preso dall’euforia investe tutto il prize money in un’auto sportiva. La cifra è superiore a quanto guadagnato coi tornei sino a quel momento. Pochi giorni dopo, ha un banale incidente, e distrugge completamente l’auto. Da lì inizia il suo declino, non passerà più un terzo turno e si ritirerà prima dei trent’anni. Oggi fa il maestro, e a chi gli chiede di quei giorni pare risponda mestamente: “andavo troppo veloce, dentro e fuori dal campo.”


You cannot be serious è la nuova rubrica settimanale di Tennistalker Magazine dedicata a tutto ciò che nel tennis non rimbalza ma … fa rumore lo stesso! A cura di Paolo Porrati: accanito “quarta categoria”, è stato Giudice Arbitro per la FITP e ha partecipato da spettatore a tutti gli Slam, Finals Davis e Olimpiadi. Il suo romanzo giallo “Lo Sport del Diavolo”, pubblicato da Laurana Editore e ambientato nel mondo del tennis, è stata la sorpresa letteraria sportiva dello scorso anno.