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    Inside Boris, Inside Us

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    Una vita dopo il tennis che assomiglia a un romanzo, sospesa fra carcere e televisione, libri e debiti, trofei e operazioni alle caviglie. Perché non è possibile che amare Boris Becker, e sentirlo come uno di noi

    You Cannot Be Serious – a cura di Paolo Porrati

    Quando Boris Becker arrivò sul panorama tennistico internazionale, fu un uragano. Quando lo lasciò, l’uragano stava per cominciare. Leggere e conoscere la storia di quest’uomo, tutt’altro che conclusa, è un esercizio interessante, a tratti strabiliante, che ogni appassionato dovrebbe conoscere per apprendere qualcosa non su un grande giocatore, ma su sé stessi e sulla propria vita. Vediamo perché.

    Una piccola negligenza

    Il 29 aprile 2022 Boris Becker viene riconosciuto colpevole di bancarotta fraudolenta (concealment of asset in bankruptcy) dalla Southwark Crown Court di Londra e condannato a trenta mesi di reclusione, metà dei quali da trascorrere in carcere. Nella sentenza il Giudice Deborah Taylor sottolinea l’assenza di ammissione di colpa, rimorso e umiltà, e dispone per lui la reclusione presso il carcere di Wandsworth a sud di Londra, uno dei più duri del paese, in cui sono detenuti assassini e stupratori, ma nessuno per reati fiscali. Niente sospensione condizionale, nonostante la residenza britannica, e neanche la cravatta di Wimbledon indossata durante l’udienza pare essersi dimostrata una grande idea, visti i risultati.

    La sentenza riguarda quattro dei ventiquattro reati fiscali per cui è finito sotto processo, fra i quali c’è l’imbarazzo della scelta: occupazione indebita di una villa a Maiorca, mancata restituzione di un prestito bancario da tre milioni e mezzo di sterline (che gli costa appunto la bancarotta), proprietà immobiliari a Leimen, dove è nato, e quote societarie mai dichiarate, occultamento di due milioni e mezzo di sterline in liquidità tramite trasferimento su conti di familiari per sfuggire ai creditori, un cahier des doléance che non deve proprio aver ben disposto il giudice anglosassone, e che unito a un atteggiamento tutt’altro che remissivo tenuto durante le udienze gli spalanca le porte dell’inferno carcerario

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    Resta a Wandswrth per otto mesi, poi come nel tennis la sua ruota gira, due volte a favore. La prima volta per il trasferimento al carcere di HMP Huntercombe, nell’Oxfordshire, una struttura di media sicurezza per stranieri dove le condizioni detentive sono enormemente migliori. La seconda e definitiva per l’estradizione con annessa espulsione in Germania grazie a un decreto svuotacarceri britannico.

    Il 15 dicembre 2022 arriva a Leimen, il paesino che guarda la Francia e dove vive ancora sua madre Elvira, di 87 anni. Dettaglio non irrilevante, dall’Inghilterra se ne va su un jet privato, messo a disposizione da una televisione tedesca cui ha venduto i diritti per un’intervista sulla sua prigionia. Dalla mamma trascorre gli ultimi dodici mesi di pena in regime di libertà condizionata, per poi tornare a vivere fra monaco e Stoccarda.

    Il pericolo viene dallo sgabuzzino

    Non che la parte precedente della sua vita fuori dal campo da tennis fosse stata esattamente un percorso francescano. Rimanendo in ambito finanziario, nonostante guadagni durante la sua carriera stimati in centoventi milioni di dollari, già nel 2002 viene condannato a due anni di reclusione con la condizionale per – indovinate un po’ – evasione fiscale per redditi non dichiarati fra il 1992 e il 1993, con annessa sanzione da cinquecentomila euro.

    Saltiamo a piè pari la lunga serie di iniziative economiche lanciate e puntualmente naufragate e atterriamo nel 2020, quando si spaccia per addetto culturale della Repubblica Centrafricana presso l’Unione Europea: smascherato, ammette che era l’ennesimo tentativo di sfuggire ai debiti. E nel 2019, per ripagare i debiti, le autorità inglesi mettono all’asta online trofei e oggetti personali di Becker, fra i quali racchette, scarpe autografate, persino il trofeo della Davis 1989. L’asta frutta settecentomila sterline e lui dichiara: “mi consola pensare che ogni pezzo avrà una seconda vita”.  Quanto amo quest’uomo!

    Ma il romanzo di evasione (fiscale) di Boris economista si trasforma in vera e propria telenovela quando si parla di donne, e del famosissimo broom cupboard affair (letteralmente, “la storia dello sgabuzzino delle scope”). Niente Harry Potter e maghi volanti, ma una vicenda che a raccontarsi sembra generata da uno sceneggiatore molto ispirato e per nulla bisognoso dell’Intelligenza Artificiale per ispirarsi.

    Anno 1999, Becker è trentunenne ed è sposato da sei anni con Barbara Feltus, dalla quale sta attendendo il secondo figlio. Accade che dopo una sconfitta bruciante con Pat Rafter a Wimbledon il tedesco annuncia ufficialmente il suo ritiro dal tennis professionistico. Quella sera stessa, dopo aver salutato al telefono la moglie in Germania, va al Nobu, locale di tendenza frequentato da star internazionali, e lì conosce Angela Ermakova, una modella russa di origini africane che lavora come hostess per un’agenzia inglese.

    Secondo il resoconto dello stesso Becker, che lo descrive tempo dopo con ironia e vergogna nel suo libro The Player, i due hanno un rapporto occasionale e rapidissimo in un’area di servizio del locale, appunto il ripostiglio delle scope. Pochi mesi dopo lei gli comunica di essere incinta. Lui reagisce con un’incredulità tale da lasciar sospettare una trama da ricatto sessuale ai suoi danni degno della Stasi nella Germania dell’Est, ma il test del DNA del 2001 dissipa ogni dubbio, lo condanna a una paternità inattesa (lui riconosce la bimba) e frantuma il suo matrimonio costringendolo a un accordo economico stragiudiziale in sede di divorzio stimato in circa cinque milioni di euro. “La notte più costosa della mia vita”, come la descrive ironicamente lui stesso in seguito. La vicenda ha come prevedibile una risonanza mediatica gigantesca, e i media – tabloid in testa – coniano appunto la frase broom cupboard affair che diventa simbolo iconico di relazione extraconiugale maldestra e di declino umano al tempo stesso.

    Oggi Anna Ermakova, sua figlia, è una modella e personalità televisiva in Germania e nel Regno Unito, ed è molto popolare anche per la sua somiglianza – in effetti alquanto evidente – con il padre. Lui ha detto in più interviste di avere con lei un rapporto affettuoso, e che la vicenda, pur dolorosa, “ha portato alla luce una persona meravigliosa”. Cuore di papà, involontario.

    Dall’inferno alla prima serata

    Dopo la prigione, Boris ha saputo dare una straordinaria prova di resilienza monetizzando la sua stessa redenzione. Si inizia con la già citata intervista concessa il 20 dicembre 2002 in occasione del suo rilascio (Boris Becker – the interview) al canale privato tedesco SAT.1 per mezzo del famoso giornalista Steven Gatjen. I cinquecentomila euro di cachet coprono i costi del volo e parte delle spese legali.

    Nel 2023 Alex Gibney dirige per AppleTV il documentario su di lui Boom Boom, the World vs Boris Becker. Subito dopo diventa commentatore per Eurosport e ospite d’onore a Wimbledon 2023. Tra il 2013 e il 2016 trova il tempo di fare da coach a Djokovic portandolo al sesto Slam. E anche qui il tedesco dà il suo meglio e il suo peggio definendo il suo giocatore “un monaco serbo con l’anima da killer” frase che il GOAT definì “spiritualmente ambigua”.

    E poi via con la comparsata a Let’s Dance, la versione tedesca di Ballando con le Stelle, le presenze come ospite fisso nei talk show britannici e tedeschi, la partecipazione a Celebrity Hunt con Bear Grylls, i flirt con modelle di qualsiasi fama ed estrazione.

    Nel 2023 esce con Edel Books Boris Becker – Inside: my story seguito introspettivo di The Player in cui descrive i suoi 231 giorni di prigionia raccontando le sue paure, la perdita di status, il rapporto con gli altri detenuti e il mondo in cui è precipitato da un giorno all’altro. Il libro viene ripreso in un documentario di Sky Deutschland e Boris Becker Media, affidato al giornalista Steven Gatjen, lo stesso che lo aveva intervistato dopo il rilascio dalle carceri inglesi. Il risultato è un’opera sincera, in cui l’ex-campione mostra “un uomo che ha smesso di fingere di essere un campione anche fuori dal campo”. “Sono caduto, e non posso dare la colpa a nessun altro. Ma adesso voglio stare in piedi, anche senza racchetta”. Il progetto viene accolto come una confessione pubblica, e fa registrare gli ascolti più alti di sempre per un documentario sportivo non calcistico.

    Sempre del 2023 la versione italiana, con un tono di Becker ancora più introspettivo. Dice di trovarsi “nel quarto set della mia vita, quando sono avanti due a uno”, intendendo come primo la parte sportiva, il secondo quella carceraria e il terzo quella attuale. Elena Pero, l’intervistatrice, che lo ha commentato tante volte, al termine delle riprese è visibilmente commossa. E noi con lei

    Residente … sul campo da tennis

    Becker è diventato una sorta di icona pop autoironica, il pubblico tedesco lo acclama e lo canzona allo stesso tempo, simbolo di come la Germania, e forse il mondo lo consideri un eroe caduto ma non odiato. Sempre sospeso tra tragedia e commedia, si destreggia con una leggerezza che trafora le barriere del tempo e ispira simpatia. Come quella volta nel 2002, condannato come dicevamo a due anni con la condizionale per evasione fiscale. Aveva dichiarato di risiedere a Montecarlo mentre in realtà viveva a Monaco di Baviera. Sua difesa coi giudici: “ero residente … sul campo da tennis”. Chapeau, e una battuta diventata proverbiale.

    E poi, il corpo. Menisco operato, due placche metalliche e sei viti nella zona della caviglia, posizionate per stabilizzarla. Il suo arto inferiore destro è affetto da rigidità articolare che rende difficile piegarlo al punto da impedirgli talvolta di infilarsi le scarpe. Ha subito due operazioni di artroplastica (protesi) all’anca in entrambi i fianchi per l’’usura dovuta al tennis professionistico e agli anni di sollecitazioni fisiche continue, ha perso circa tre pollici (≈7–8 cm) in altezza, come conseguenza dei vari interventi chirurgici a fianchi, ginocchia e caviglie. In immagini recenti è stata notata una protuberanza al gomito, che alcuni tabloid hanno attribuito a una bursite infiammatoria (“student’s elbow” — gomito del discente / gomito da scrivania) dovuta al peso sul braccio quando ci si appoggia.

    L’ultima volta che l’ho visto, due anni fa durante una giornata benefica all’Aspria Harbour Club di Milano, l’ho intravisto proprio così: gentile e zoppicante, malfermo nella postura e cordiale nei modi, e questo mi ha colpito. Lui e sua moglie Lilian de Carvalho Monteiro, che è stata al suo fianco durante il suo calvario carcerario e che è nata in Italia, secondo la Bild abitano in un appartamento in affitto a Milano, che lui ha definito “la sua nuova casa”. E di questo sono molto felice

    Vivo come noi

    C’è qualcosa di irresistibile per me in Boris Becker. Non il talento, quello lo avevo visto già nel 1985 quando vinse Wimbledon a diciassette anni tremando come un robot impazzito dopo il servizio vincente su Kevin Curren. No, ciò che mi affascina di Becker oggi è il suo modo profondamente umano di attraversare la vita dopo il tennis.

    Becker è l’antitesi dell’icona intatta e coerente con sé stessa. Non è Federer, che invecchia con l’eleganza di un Rolex Perpetual. Non è Nadal, monaco-guerriero che alla ricerca del suo Io senza racchetta. E non è Djokovic, difensore ossessivo di sé stesso giocatore.

    Becker è il campione che sbaglia in diretta mondiale, che cade nel guardaroba di Nobu e ne esce con una figlia, che si ritrova in carcere per bancarotta dopo aver guadagnato cento milioni, e che — paradossalmente — riesce a risultare più vero proprio quando è a terra. C’è una forma di autenticità brutale nel suo percorso.

    Becker non si giustifica, non piange su di sé, non cerca la santità postuma che il pubblico pretende dai peccatori famosi. Dice semplicemente: “Ho perso, ma sono ancora in partita.” E quando parla della sua vita come di un match in cui è arrivato “al quarto set”, capisci che non è una metafora da ufficio stampa: è un uomo che crede davvero di poter rimontare. Forse è per questo che mi piace. Perché nei suoi occhi più spenti e nella sua andatura claudicante c’è ancora quel ragazzo che a Wimbledon si tuffava su ogni palla come se il mondo finisse lì. Becker non gioca più per vincere trofei: gioca per riconquistare sé stesso. E in un tempo in cui tutti recitano la parte del vincente, lui è l’unico che ha avuto il coraggio di mostrarsi sconfitto ma vivo.

    Non posso cambiare il passato, ma posso decidere chi voglio essere adesso.”

    Non è quello che facciamo tutti noi, ogni santo giorno?

    YCBS-Paolo Porrati


    You cannot be serious è la nuova rubrica settimanale di Tennistalker Magazine dedicata a tutto ciò che nel tennis non rimbalza ma … fa rumore lo stesso! A cura di Paolo Porrati: accanito “quarta categoria”, è stato Giudice Arbitro per la FITP e ha partecipato da spettatore a tutti gli Slam, Finals Davis e Olimpiadi. Il suo romanzo giallo “Lo Sport del Diavolo”, pubblicato da Laurana Editore e ambientato nel mondo del tennis, è stata la sorpresa letteraria sportiva dello scorso anno.

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