Sfoghi, multe e video che diventano virali: tra business e spettacolo, la voce della psicologa Francisca Dauzet a Tennis Majors riporta l’attenzione sul lato umano
Il caso di Daniil Medvedev avvenuto durante lo scorso US Open, continua ad essere motivo di studio e di analisi. Quella partita drammatica di primo turno contro Benjamin Bonzi, interrotta da un fotografo entrato in campo in un momento decisivo, è diventata molto più di una semplice sconfitta al quinto set. Da lì, per il giocatore russo, è partita una reazione a catena: l’uscita dalla top 10 del ranking ATP, la separazione dallo storico coach Gilles Cervara e un’ondata di critiche verso l’ex numero uno del mondo.
Ex giocatori e commentatori hanno condannato i suoi atteggiamenti, dalle provocazioni con il pubblico alla rottura delle racchette. Ma tra le tanti voci si distingue quella di chi conosce bene il moscovita: la sua psicologa Francisca Dauzet, che in un’intervista a Tennis Majors ha voluto dare una lettura differente. “Do we want gladiators into the lion’s den with no feelings?” (Vogliamo gladiatori nell’arena dei leoni senza sentimenti?) si chiede la psicoanalista, sottolineando come sia “umano” che le emozioni esplodano proprio in un contesto di tensione.

Dauzet ha ricordato che la spettacolarizzazione esasperata del tennis, amplificata oggi dai social, porta spesso a giudizi sommari e sproporzionati. “Negli anni di McEnroe non c’erano i social. Oggi il pubblico si scandalizza e allo stesso tempo si diverte: il paradosso è che questo alimenta il business”.
Il comportamento di Medvedev in campo, ammette Dauzet, non è stato ideale, ma resta un fatto legato al match, non un dramma da condannare con giudizi sproporzionati. I social amplificano tutto, permettendo a chiunque, nell’anonimato, di lanciare opinioni eccessive senza conoscere davvero la persona o il contesto. “Non si tratta di difendere Medvedev a tutti i costi, ma di invitare a maggiore cautela nei commenti: il pubblico e persino alcuni esperti ignorano cosa stia vivendo un atleta in quel momento. Anche lavorando su sé stessi, nessun giocatore diventa un “santo” capace di controllare sempre le emozioni sotto pressioni così estreme”.
Il discorso si allarga anche ad altri protagonisti del circuito. Corentin Moutet, ad esempio, ha più volte pagato multe salate per i suoi sfoghi in campo, salvo poi vedere quegli stessi episodi rilanciati dall’ATP come contenuti virali. Una contraddizione che mette a nudo la natura ambigua dello “spettacolo” tennistico: da un lato, la richiesta di disciplina e controllo assoluto; dall’altro, la monetizzazione dei momenti di crisi.
“Quando Medvedev o Moutet perdono la calma, non è per creare clamore. È perché si trovano in difficoltà”, spiega Dauzet. “Il pubblico si dimentica che, dietro a ogni gesto, c’è un atleta solo con la sua tensione. Non si tratta di follia o malizia, ma di sopravvivenza emotiva nel momento più estremo”.

Lo sport professionistico, aggiunge la psicologa, chiede agli atleti di comprimere emozioni e corpo fino al limite, in un calendario senza tregua. “Le autorità parlano di benessere mentale, ma al tempo stesso alimentano un sistema che logora. Ci si aspetta dai giocatori di essere impeccabili, sempre. Ma sono esseri umani, non automi”.
Forse, conclude Dauzet, la vera domanda da porsi non è se gli scatti d’ira siano “accettabili”, ma se il pubblico e l’organizzazione del tennis vogliano davvero un circo di gladiatori senza sentimenti.