Dall’insulto di John alle minacce di Serena, passando per il “ritardo cognitivo” di Roddick e le escandescenze di Medvedev. Quando i Giudici si guadagnano il Paradiso!
You Cannot Be Serious a cura di Paolo Porrati
Sei “sotto” 3-6 5-7 4-5 e servizio contro, con uno che solo dodici messi fa avresti battuto in meno di due ore. Match point e seconda per Bonzi. Un fotografo combina un pasticcio e si sposta in un punto dove non dovrebbe stare, costringendo il Giudice di Sedia a intervenire (allontanamento, espulsione e accredito revocato).
Forse un po’ frettolosamente, in fondo sono passati pochi istanti, il tuo Giudice Greg Allensworth “chiama” di nuovo la prima palla per l’interruzione. Non è il massimo, ma in fondo la partita è andata, e non è la prima giornata storta di una stagione avvitata intorno a sé stessa. Sai che dovresti lasciar correre, e invece, nonostante quindici anni di carriera, decidi di infilarti in una discussione senza senso col Giudice di sedia. Gli gridi “Sei un uomo?”, lo insulti, gli dici che è il peggior arbitro del circuito, chiami in causa Reilly Opelka che ha detto più o meno di lui la stessa cosa, battibecchi con il pubblico istigandolo a fare confusione. Poi invece lo inviti a calmarsi.
Il tuo avversario, dopo sei minuti di delirio, va in confusione e perde il match point. Poi il set. Poi il set successivo a zero. Ma poi perdi lo stesso la partita, e finisci per frantumare la racchetta, tanto per cambiare.
(Leggi QUI la cronaca della partita)
Sbroccare, in ogni caso, aiuta
Sono stato Giudice Arbitro per la (allora) Federazione Italiana Tennis, maturando la convinzione che anche in questo frangente il tennis mette tutti i giocatori sullo stesso piano, siano essi Quarta, Terza, Seconda o Top 10. Quando le cose van male, e anche quando van bene, prima o poi capita a tutti di sbroccare. Alcuni vanno semplicemente fuori di testa, altri invece padroneggiano alla perfezione l’arte delle emozioni e la usano per procurarsi un vantaggio che non riescono a ottenere con la sola racchetta.
Ho visto coi miei occhi adulti lasciare riviste non proprio letterarie sulla propria sedia per distrarre l’avversario adolescente al cambio di campo, ho accompagnato giocatori e giocatrici in bagno a fine set che nascondevano il telefonino nel completo per scambiarsi messaggi con papà e allenatori. E soprattutto, ho sentito insulti di ogni tipo rivolti a me e ai giudici di sedia per qualsiasi motivo: chiamate, segni, punteggi, atteggiamenti dell’avversario, condizioni del campo, condizioni delle palline, condizioni meteo, condizioni astrali, cavallette …
Tutto, tranne ovviamente che l’incapacità da parte dello stesso insultante di buttare la palla di là della rete in maniera costante. Devo dire ad onor di firma che non ho mai avuto – questo il principale motivo dell’aver smesso – un atteggiamento particolarmente tollerante e remissivo come quello mostrato del malcapitato giudice degli US Open. Al primo insulto facevo finta di essere afflitto da sordità selettiva, al secondo avvisavo che la sordità selettiva era guarita, poi via con l’escalation delle penalizzazioni. E processo per direttissima con sentenza immediata in caso di bestemmia, specie se in presenza di minori. Alcuni capivano, con altri siamo diventati amici, altri ancora dicevano di aspettarmi nel parcheggio. Non è mai successo.
In tutti i casi però rimaneva il punto, che vedo sempre confermato: dare fuori di matto aiuta. O per sfogarsi, o per avvantaggiarsi. Alzi la racchetta chi non è d’accordo. Non importa se sei alle US Series o all’Open di Vattelapesca, la storia è sempre la stessa: non c’è metodo migliore che mandare in confusione l’avversario per portare a casa il match. O quasi, come nel caso di Danil. Capita a tutti e tutte, ma vediamo qualche caso del tennis maggiore che merita di essere ricordato.
You’re a moron
La Storia del Tennis ci consegna una nutrita serie di escandescenze e di epiteti particolarmente interessanti, o divertenti, riconducibili a tennisti e tenniste di primo piano che si scontrano con il loro Chair Umpire. Andy Roddick, tanto per rimanere a US Open, nel 2021 si becca un’infrazione contro Lleyton Hewitt per aver dato dell’idiota – moron, termine di origine clinica anche abbastanza sofisticato linguisticamente parlando – al Giudice di Sedia. Nick Kyrgios, come potrebbe mancare, contribuisce al nostro elenco da par suo con un ”sei una fottuta disgrazia!” a Miami 2019.
Nulla da dire – nel senso che l’elenco sarebbe così lungo da obbligare questa rubrica ad acquistare altro spazio sul cloud – di Ilie Nastase. Basti pensare che fu grazie a lui che l’ATP decise di creare il suo Code of Conduct. Prima di Nastase, non ce n’era stato bisogno. Gli insulti, questo lo sappiamo tutti, vanno peraltro di pari passo con la cultura e lo stile della persona che li pronuncia. Ecco, quindi, un inferocito Nadal non andare oltre un “sempre lo stesso arbitro contro di me” a Wimbledon 2012 e Sua Maestà Federer esagerare a suo modo con un “Supervisor, intervene” dopo il rifiuto a consentirgli di usare un challenge da parte del Giudice a Indian Wells 2013. Agassi, per dire, a US Open 1990 andò sul classico con un bel “Fu** you” preceduto da uno sputo involontario. Punto di penalizzazione poi tolto e multa esorbitante da… tremila dollari
A letto senza cena, John
“Code violation, Mr McEnroe. Warning for unsportsmanlike conduct.” (Violazione del codice, signor McEnroe. Ammonizione per condotta antisportiva.)
McEnroe, saltellando come un grillo: “You cannot be serious. The ball was on the line! Chalk flew up! (Non puoi essere serio, la palla era sulla linea, la polvere è volata su).
McEnroe (rivolto al pubblico, sarcastico): “That’s unbelievable! Wimbledon, you guys are the worst officials in the world!”
Questo fu il momento in cui l’espressione “You cannot be serious” divenne iconica, ripresa da giornali, tv e, decenni dopo, anche come titolo di un’autobiografia di McEnroe.

L’arbitro Edward James rimase calmissimo, incarnando l’aplomb britannico di fronte al “superbrat” americano. Ricevette un warning per condotta antisportiva, ma non fu penalizzato oltre (diversamente da Serena, che trentasette anni dopo si trovò di fronte a un regolamento molto più rigido). Nonostante il teatrino, McEnroe vinse facilmente il match contro Tom Gullikson in tre set (al momento dello show peraltro era già avanti quattro a uno). Il pubblico londinese lo fischiò a lungo, a Wimbledon l’atteggiamento “da teppista” era mal visto, e i tabloid inglesi lo ribattezzarono definitivamente “Superbrat”.
Anche il “post partita” per gli standard social odierni, fu piuttosto blando. L’All England Club prese in considerazione l’ipotesi di espellerlo dal torneo, ma alla fine decise di lasciarlo giocare sotto stretta osservazione; McEnroe continuò il torneo tra fischi e tensioni con gli ufficiali, ma con il suo tennis straordinario arrivò fino in fondo dando vita a un epilogo leggendario per una storia che – con il Regolamento di oggi – probabilmente non ci sarebbe mai stato. In finale, infatti, McEnroe batté Björn Borg, campione in carica e idolo del pubblico, interrompendo la sua striscia di 41 vittorie consecutive a Wimbledon.
Ma nonostante la vittoria, fu escluso dalla tradizionale cena dei campioni a fine torneo: la massima espressione di disappunto da parte dell’AELTC per il comportamento tenuto durante il torneo, era un mancato invito a cena. Ma fu un digiuno molto proficuo. Quell’urlo diventò infatti per l’americano un marchio di fabbrica oltre che il titolo della sua autobiografia (You Cannot Be Serious, 2002), e più modestamente di questa rubrica, segnando per sempre il personaggio McEnroe: genio del tennis e simbolo di ribellione, amato e odiato, sempre contro le regole. Per cui, ricapitolando, giudice fermo, organizzazione orientata all’understatement e Storia consegnata ai posteri. Ex malo, bono.
Serena e Carlos e la “via di Crompton”
Ma secondo me, la “madre di tutti i diverbi fra giocatori e arbitri” è un’altra. Flushing Meadows 2018, 8 settembre, finale femminile. La Williams è sotto pressione perché la sua giovane avversaria Naomi Osaka sta giocando alla grandissima. E guarda caso, proprio in una situazione di svantaggio e difficoltà della numero uno va in scena il dramma in tre atti forse più famoso della storia tennistica recente.
Atto primo: warning per coaching. Il Giudice di Sedia portoghese Carlos Ramos, non esattamente uno stagista al suo primo arbitraggio, punisce la giocatrice americana perché il suo coach – il famosissimo e teoricamente conscio dei regolamenti Patrick Mouratoglou – le dà consigli dalla tribuna a voce alta. Reazione pacatissima, quasi francescana della giocatrice (non proprio sottovoce): “Io non baro per vincere, Preferisco perdere” Non baro! Non lo faccio mai!”
Atto secondo: penalty point per abuso di racchetta. La partita non si mette bene per Serena, che dopo un errore fracassa la sua racchetta a terra. Seconda violazione, e seconda reazione pacata: “Mi devi delle scuse, Mi hai rubato un punto! Sei un ladro”. Toni da regolamento di conti a Crompton, Osaka perplessa ma concentrata sul suo gioco.
Atto terzo: penalty game per abuso verbale. Curiosamente, nell’immaginario della Williams i termini “ladro” e “bugiardo” indirizzati all’arbitro non meritano nessuna censura. Peccato che il Grand Slam Rulebook la pensi diversamente, e che il giudice lo applichi. Abuso verbale verso un ufficiale di gara. Game perso.
Segue elogio dell’eleganza.
“Non arbitrerai mai più su un campo con me nella tua vita.” E di nuovo “mi hai rubato un punto”, “bugiardo”, “ladro”, con il pubblico che inizia a fischiarlo convinto che stia facendo qualcosa di male contro la propria beniamina. Osaka vince 6-2 6-4 e conquista il suo primo Slam in carriera ma non può festeggiarlo sul campo. Rimane in disparte, con Ramos impassibile e Serena infuriata, sembra quasi doversi scusare per aver vinto. Finisce che il pubblico la fischia, e lei piange, mentre solleva il trofeo. La situazione è talmente grave che Serena stessa interviene, chiedendo di tributarle il festeggiamento che merita.

Successivamente, Ramos non arbitra più la Williams ma continua la sua carriera di vertice concludendola nel 2013. La profezia di Serena si avvera, anche se l’ITF difende il suo operato e spiega che la decisione non dipende dalla volontà dell’americana. La WTA invece difende Serena, e i giornalisti imbastiscono una polemica sul sessismo nel Tennis. Serena, non vincerà più uno Slam. Ex malo, malo.
Provaci ancora, moglie di Jeff
Ma nella mia personale cosmologia dei geni del rapporto coi Giudici di Sedia, il posto d’onore va senza se e senza ma a Jeff Tarango … e signora.
Wimbledon 1995, singolare maschile. Sul campo 13 l’americano, che in carriera rimane attivo per più di vent’anni e guadagna oltre tre milioni di dollari dell’epoca fino al ritiro nel 2013, incontra il tedesco Allen Monz, 117 del ranking. Sotto 6-7 1-3, realizza quello che gli sembra essere un ace. Il Giudice di Linea infatti è di quell’avviso e rimane muto, ma ecco che il Giudice di Sedia Bruno Rebeuh la pensa diversamente e cambia il giudizio, fa over-rule. Tarango la prende assai male, e si mette a discutere sotto gli occhi di una folla che lo prende in antipatia e – nei limiti inglesi – lo fischia.
Lo fischiano anche per punirlo per aver fatto eliminare l’idolo di casa Tin Henman col quale faceva coppia in doppio, venendo squalificato per aver colpito accidentalmente una raccattapalle con una pallina. Insomma, già di suo Jeff non è un tipetto facile. Lo sfogo porta il Giudice ad ammonirlo e lui perde il controllo. Fa chiamare il Supervisore, e poi quando anche questo gli da torto torna a servire sibilando “sei il funzionario più corrotto di questo gioco”. Voce troppo alta. Seconda violazione con penalty point.
Non stupisce, visto il caratterino, che l’americano faccia le valigie e lasci il campo. Stupisce un po’ di più, e per questo l’episodio rimane negli annali, che la moglie di Tarango, Benedicte, decide a suo modo di concludere personalmente la questione … mettendoci mano nel senso non figurativo, di persona. Dopo che il marito ha lasciato il campo, infatti, schiaffeggia l’arbitro. Poi non contenta dichiara: “Non penso di aver fatto male. Questo ragazzo può fare quello che vuole perché è sulla sedia. I giocatori non hanno nessuno che li difenda in nessuna situazione.” Così ci penso io (questo non l’ha detto veramente, lo aggiungo io ma mi pare sottinteso”
Multa, e squalifica da Wimbledon l’anno successivo. Per lui, non per la moglie.
Non so a voi, ma a me una moglie che schiaffeggia l’arbitro dopo che il marito l’ha insultato per un punto perso sembra la dimostrazione plastica di un matrimonio basato sull’Amore. Del tennis o meno, non importa, non trovate?

You cannot be serious è la nuova rubrica settimanale di Tennistalker Magazine dedicata a tutto ciò che nel tennis non rimbalza ma … fa rumore lo stesso! A cura di Paolo Porrati: accanito “quarta categoria”, è stato Giudice Arbitro per la FITP e ha partecipato da spettatore a tutti gli Slam, Finals Davis e Olimpiadi. Il suo romanzo giallo “Lo Sport del Diavolo”, pubblicato da Laurana Editore e ambientato nel mondo del tennis, è stata la sorpresa letteraria sportiva dello scorso anno.