La ciclista Lizzy Banks in un’intervista al Times ha parlato del caso Clostebol, e delle differenze fra la sua sospensione e quella di Jannik Sinner
“Non posso dirti quanto sia stato difficile guardare Wimbledon quest’anno. Ho guardato la finale maschile e non mi aspettavo che mi colpisse così tanto, ero così sconvolta. Voglio chiarire che non credo che Jannik Sinner abbia preso qualcosa di proposito. Gli è stata inflitta una sanzione di zero mesi, come a me. È stato presentato ricorso al TAS, come nel mio caso. E poi ha ottenuto una sanzione di tre mesi, e la possibilità di tornare subito a fare il suo. Non mi è mai stata fatta un’offerta, ma non l’avrei accettata comunque“.
Queste le parole forti di Lizzy Banks, ormai ex ciclista britannica coinvolta in un caso di falso doping nel 2023, rilasciate al Times. Le frasi di Banks non erano tanto un attacco a Sinner, quanto al sistema che ha sempre gestito in modo poco chiaro le differenti vicende.
Il caso Lizzy Banks

Nel 2023, dopo un esame delle urine di routine, l’inizio del calvario. Il test risulta positivo per il farmaco diuretico clortalidone e il formoterolo, broncodilatatore. Da quel momento Banks sprofonda in una crisi emotiva che la porta a distaccarsi del tutto dalla propria carriera. Il ritiro arriva infatti prima dell’effettiva squalifica, che anzi inizialmente non era neanche arrivata. L’UK Anti-Doping (UKAD) aveva infatti stabilito che Banks non avesse “alcuna colpa o negligenza”, prima di un ricorso della WADA. Il processo ha causato alla ciclista non solo danni psicologici ma anche finanziari, avendo affrontato le spese legali con i soldi di famiglia.
Il vero problema però in questo caso non è stata l’integrità dell’atleta, quanto la mancanza di prove riguardo la fonte di contaminazione.
“Ero un’atleta integra che ha prestato la massima attenzione alle sue responsabilità antidoping, che è stata inconsapevolmente esposta a una dose contaminante di un diuretico obsoleto, con l’impossibilità di rintracciarne la fonte a causa di un ritardo di 79 giorni. E quindi è davvero proporzionale alla perdita totale della mia carriera, alla perdita della mia identità, alla distruzione della mia salute per due anni, alla distruzione della salute di mio marito per due anni, alla perdita di guadagni per due anni, all’impatto che ciò avrà sugli altri guadagni in futuro? È proporzionale?“
Il vero problema riguardo il “Caso Clostebol”
In conclusione una sola cosa è rimasta da questa vicenda: confusione. La risoluzione del caso Clostebol, con l’accordo fra Sinner e la Wada, ha generato un nube di malcontento che si è diffusa nel mondo dello sport. Il problema, ovviamente, non è Jannik Sinner quanto il modo in cui la vicenda è stata trattata. L’impressione agli occhi di altri atleti è sempre stata quella di un favoreggiamento, dovuto all’esposizione mediatica, che però non c’è mai stato. Sinner era ed è ovviamente non colpevole, semplicemente nel suo caso a differenza di altri è stato molto semplice risalire al percorso che ha portato alla positività.
La stessa Banks, nonostante il suo sia stato riportato come un “attacco”, non prova risentimenti nei confronti dell’altoatesino bensì nel modo in cui il suo caso è stato trattato. È pur vero che le regole vanno rispettate e la maggior parte degli atleti riescono a star fuori da queste vicende, ma i protocolli non sono sempre chiari e alcune dinamiche andrebbero riviste per distinguere i veri casi di doping da queste micro contaminazione. Nell’interesse degli atleti professionisti, delle società e dei fan di ogni disciplina, l’obiettivo non deve essere squalificare a tappeto ma salvaguardare le carriere di chi si ritrova coinvolto inconsapevolmente in vicende così negative.