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    Swiatek dopo il doppio bagel che sconquassa gli annali di Wimbledon: “Surreale”

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    Anisimova trasforma la batosta in promessa di ritorno: “Ne farò la mia forza”

    Sul verde di Church Road, in un sabato che il Met Office ha registrato a 28,9 gradi centigradi con un’umidità sotto il 45 % — sole pieno, vento da sud-ovest che alzava solo qualche ciuffo d’erba — Wimbledon ha scritto un risultato da archeologia: 6-0 6-0, la “coppia di ciambelle” che mancava dal 1911. Ma, il punteggio è la scorza: la polpa sta nelle parole di chi, mezz’ora dopo, siede davanti ai microfoni.

    Iga Swiatek entra nella sala stampa subito dopo aver finito di accarezzare il Rosewater Dish con una giacca tecnica bianca, noto sponsor di noto co-proprietario, zip tirata su fino allo sterno, logo discreto sul petto sinistro. Capelli sciolti, niente cappellino, nessun monile: essenzialità quasi monastica, coerente con la prosa che sta per recitare. “È surreale averlo fatto qui, sull’erba” confessa, un istante prima di alzare lo sguardo trasognata.

    Poi arriva la rasoiata: “Spero che adesso la stampa polacca mi lasci lavorare in pace; ho già dimostrato abbastanza. Non c’è rabbia, piuttosto il distacco del chirurgo che richiude la sutura. Chiamata a dare un voto al suo tennis, si rifugia nella scienza: “È stato un processo: servizio stabile, testa sgombra, un punto per volta”. Concreta anche quando le fanno notare che le due settimane qui hanno ricordato la Swiatek migliore della carriera: “Semplicemente sono sorpresa dalla costanza che ho mostrato. Bad Homburg è un torneo che mi ha aiutato molto a migliorare perché fino a quel momento in stagione avevo avuto troppi alti e bassi. Ho provato a scendere in campo portando con me la positività che mi sono imposta nelle ultime settimane e di rimanere concentrata”.

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    Amanda Anisimova si accomoda poco dopo, postura da studentessa al primo esame. Capelli ancora bagnati, blusa con la cerniera mezza aperta, dita che un po’ si tormentano. “Non è così che immaginavo la prima finale Slam” riconosce, la voce che scivola quasi in falsetto. Ma la frase successiva è già un cartello di ripartenza: “Mi sono detta che ne uscirò più forte; perdere 6-0 è durissimo, ma anche questo mi servirà a migliorare ancora di più”. Aggiunge che si è ritrovata “con i nervi ghiacciati”, incapace di alzare la testa fin dal warm-up, ma rivendica “lo spirito di lotta che mi ha portata fin qui”. Quando pensa alla madre — volata a Londra all’alba — ad Amanda esce un sorriso tenero: “Mi ha ricordato i sacrifici fatti. Le ho detto che tornerò”.

    Un passaggio curioso avvicina le due: Iga parla di finali “piene di stress, a volte brutte da giocare”; Amanda conferma, a stretto giro di posta, quasi complice. Per un secondo sembrano passeggeri di due treni che si incrociano, uno lanciato verso l’oceano dei record, l’altro che ha appena lasciato il porto di partenza: quando il tennis smette di essere classifica e diventa romanzo d’appendice.

    Fuori, il Centre Court ancora vibra di applausi; dentro, resta l’odore dell’erba tagliata e un silenzio che sa di promessa. Swiatek ha difeso anche dalla stampa del suo Paese il talento con la pazienza del contadino che copre le fragole dalla brina; Anisimova ha raccolto i cocci trasformandoli in seme. Wimbledon archivia il doppio bagel, ma la narrazione è aperta: fra un trofeo argentato e un foglio di statistiche, la prossima pagina è già in viaggio verso New York.

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