Fischi, insulti, cori offensivi: dagli Internazionali di Roma al Roland Garros, cresce l’inciviltà sugli spalti. Il tennis sta perdendo la sua identità?
Un tempo il pubblico del tennis era esempio di rispetto, silenzio, attenzione. Oggi, sempre più spesso, sembra di assistere a una partita in curva sud. I recenti episodi agli Internazionali BNL d’Italia e ora al Roland Garros, sono il sintomo evidente di una trasformazione preoccupante: il comportamento degli spettatori sta degenerando, travolgendo le regole non scritte del tennis e minacciando la sua identità.
Fischi per gli errori, insulti razzisti, cori da stadio, urla tra la prima e la seconda palla di servizio: non si tratta più di calore o entusiasmo, ma di maleducazione organizzata, spesso tollerata, a volte perfino incoraggiata.
A Roma, Jakub Mensik ha dovuto avvicinarsi al pubblico che lo insultava mentre era in campo. Yoshihito Nishioka ha ricordato di essere stato chiamato “Sushi” e “Cina” in mezzo alla partita. Aryna Sabalenka, esasperata da un continuo borbottio durante un match e dalla frase di uno spettatore che le ha detto: “Dai gioca Ayrina”, si è lasciata andare a un “chiudi quella c***o”, sintomo di quanto sia esasperante giocare in un ambiente ostile, che dovrebbe essere, in primis, rispettoso.
A Parigi, la situazione non migliora. Sempre Mensik, dopo il match vinto contro il francese Müller, ha paragonato l’atmosfera a quella di una partita di calcio: fischi durante il riscaldamento, dopo gli ace e soprattutto quando si avvicinava alla riga per controllare un segno. Esasperato, si è rivolto al pubblico e ha fatto segno di “no”, con il dito indice, per chiedere di non oltrepassare il limite.
Già dallo scorso anno, il Roland Garros era diventato uno dei contesti più difficili per i giocatori che hanno la semplice colpa di dover affrontare i tennisti di casa. Fischi durante il riscaldamento, cori di scherno, addirittura gomme da masticare lanciate dagli spalti, come aveva dichiarato David Goffin al termine della partita vinta contro il francese Giovanni Mpetshi Perricard.
Nicolas Jarry aveva definito “disgustosa” l’esperienza vissuta nel 2024 contro Corentin Moutet, accusando anche il coach del francese di aver istigato il pubblico a rendere la sua vita un inferno. E parliamo di uno Slam, non di un match di terza categoria.
E come dimenticare il “rimprovero” di Iga Swiatek? La polacca, alla fine del match vinto contro Naomi Osaka lo scorso anno, si era rivolta al pubblico del Philippe-Chatrier e lo aveva gentilmente redarguito per aver disturbato nel bel mezzo di un punto.
Serve davvero tutto questo per spingere un beniamino di casa? E se sì, a quale prezzo?
Il tennis non è uno sport come gli altri
Certo, ogni sport ha una componente emotiva. Ma il tennis si è sempre distinto per il rispetto, per l’importanza del silenzio, per la concentrazione necessaria ad ogni giocatore a partire dal lancio di palla per il servizio. Interrompere questo equilibrio significa snaturare il gioco, metterlo su un piano che non gli appartiene.
Non è un caso se Novak Djokovic ha ammesso che giocare in Francia è molto più difficile che altrove: “Qui a Parigi, rispetto agli altri Slam, la gente è più rumorosa, più appassionata, dà un sostegno maggiore, più forte, più energia al proprio giocatore, e questo può infastidire alcuni avversari. Non è l’ambiente ideale in cui si vorrebbe giocare, ma bisogna essere pronti ad affrontarlo.”
La Coppa Davis? Un’altra storia
Qualcuno potrebbe obiettare che il tifo acceso fa parte del gioco, che in altri contesti — come la Coppa Davis — il pubblico fa parte del contesto, con o senza tamburi e cori che si scatenano ad ogni cambio campo. In Coppa Davis l’atmosfera è infuocata e i giocatori di casa sentono tutto il peso e la forza del sostegno nazionale.
Ma c’è una differenza sostanziale, e non va ignorata: in Coppa Davis si tifa per una nazione, non contro un singolo atleta.
In quei giorni si respira un vero spirito patriottico, non si aggredisce il singolo giocatore avversario con offese personali, con insulti razzisti o con atteggiamenti provocatori. Il tifo è acceso, sì, ma è diretto a sostenere, non a distruggere.
Dove stiamo andando?
Il tennis non può diventare un campo di battaglia psicologica e non si può tollerare che l’insulto diventi routine. Sicuramente anche gli organizzatori, e non solo i giudici di sedia, devono intervenire. A Parigi, per esempio, è stato vietato l’alcol sugli spalti per ridurre gli eccessi. Una misura giusta, ma evidentemente non sufficiente.
Il problema purtroppo è culturale. Il pubblico non deve dimenticarsi che sta assistendo alla partita, non partecipando.
Il tennis merita di più. I giocatori anche.