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Piatti ricorda gli anni con Jannik Sinner e parla della sua nuova vita

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Riccardo Piatti, fondamentale allenatore per la carriera di Jannik Sinner, ha svelato per la prima volta alcuni retroscena sul divorzio dal numero 1 ATP

In un’intervista rilasciata a Gaia Piccardi del Corriere della Sera, Riccardo Piatti ha parlato di Jannik Sinner e di alcuni retroscena legati al divorzio professionale. Dal suo centro di Bordighera, Piatti continua a forgiare talenti e a crescere professionalmente imparando lui stesso dai giocatori che segue. “Con Ljubicic siamo saliti al n.3. Un giocatore chiave: grazie a Ivan ho capito che sono capace di portare in alto i miei talenti“, ha detto Piatti a proposito di uno dei suoi ex giocatori. Ma andiamo a Sinner e ai motivi dell’addio, ma non solo.

A Piatti è stato chiesto se il divorzio fosse evitabile

«Tutti ricordano il match con Daniel, a Melbourne, nel gennaio 2022, quando ha detto: stai calmo, cazzo. Ce l’aveva con me per cose di campo, era già successo altre volte: è normale dinamica tra coach e giocatore. Non è quello il problema. Ho sempre voluto che Jannik diventasse indipendente, sapevo che un giorno se ne sarebbe andato. Ma con lui dovevo essere l’allenatore rigoroso, a volte rigido: era il mio ruolo. Ljubicic mi rimprovera che gli dicevo: decidi pure tu, Ivan, ma poi fai come dico io. Per Jannik questo rigore, a un certo punto, è stato troppo da reggere», ha risposto Piatti.

E a proposito di rimpianti, oggi rifarebbe tutto?

«Sì. Era l’unico modo per arrivare in alto. Dovevo dire di no, dare regole. L’ho preso a 13 anni, se n’è andato a 20. In quel momento, sentivo di dover fare così. Come oggi con Dhamne: un giorno mi manderà anche lui a quel paese. Ivan invece era differente: all’inizio gli vietai di portare la moglie agli Slam, lui non batté ciglio. Ognuno è diverso. Certo il rigore può diventare un difetto, a volte esagero. So essere duro».

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Sinner e Piatti in campo
Sinner e Piatti in campo / fonte Corriere

Sinner non ha più nominato pubblicamente Piatti dopo il divorzio


«Non ne soffro. Conosco lui, conosco i giocatori. Come sono fatti, come ragionano. Guardano sempre avanti, mai indietro. Non la vivo come una questione di irriconoscenza: Jannik fa il suo lavoro, non deve ringraziare nessuno. Né sento di aver qualcosa da chiarire con lui. Il tennis è uno sport in cui l’ego è molto presente».

Suggerimenti per il dopo Cahill?

«Carlos Moya, che avevo già preso in considerazione. È stato numero 1, conosce il circuito. Umanamente è un’ottima persona, come Darren. Renzo Furlan, ora che ha smesso con Paolini, è libero. Ljubicic è molto valido. Oppure Becker, che avevamo contattato; però lavorare con Boris è più complicato. I nomi sono questi

Carlos Moya
Carlos Moya / getty

Che effetti avrà la sospensione sulla stagione di Jannik?

«Sarà subito forte. Io credo davvero che quest’anno possa fare il Grande Slam. La sospensione gli ha allungato la vita: arriverà a fine stagione fresco. Si gioca troppo, mentalmente non ci si ferma mai. Lui tornerà carico e motivato. Lo è sempre stato. In pandemia molti ne approfittavano per non allenarsi, Gasquet nello stop per doping ha preso otto chili, Jannik non ha perso un giorno. Sa perfettamente dove vuole andare».

Piatti ha anche analizzato il momento attuale del circuito e i talenti in circolazione

«Vedo un momento di passaggio. In vetta c’è un Sinner molto cresciuto. Alcaraz insegue, ma non crocifiggetelo: ha già quattro Slam, è solo del 2003, si sta costruendo vita e carriera. Arriverà anche la maturità. C’è un cambio generazionale in atto. Joao Fonseca, a 18 anni, ha giocato solo 33 match Atp. Io a Jannik dicevo che ne doveva fare 150 prima di poter aspirare al salto di qualità. Lui aveva fretta: al 139° è diventato n.9 del mondo. Diamo tempo a Fonseca, riparliamone quando arriva a quota 80 partite. Mensik ne ha giocate 69, e ha già vinto a Miami. Lo trovo interessante però anche nel suo caso risentiamoci tra 60/70 match. Non conosco la motivazione di questi talenti, conoscevo bene quella di Jannik: mi ricordava molto Novak Djokovic».

I nuovi prospetti del Piatti Tennis Center

«Niente mi dà più piacere che stare in campo con i ragazzi. L’obiettivo è formare giocatori da top 10. Ho qui prospetti interessanti: il sardo Carboni, l’indiano Dhamne, un classe 2007 che ha appena vinto un challenger in Tunisia, il francese Debru».

Sessione di allenamento di Dhamne con Riccardo Piatti

«Ho smesso di vivere la vita degli altri. 52 settimane all’anno in trasferta, la famiglia che ruota intorno alle esigenze del giocatore: Gasquet, Ljubicic, Raonic, Djokovic, Sinner. Quando ho finito con Jannik ammetto di aver avuto qualche mese di stordimento, poi sono andato verso quello che piace a me: insegnare tennis. Il Piatti Center non è un supermarket: qui si fa un processo di crescita. L’ho fatto anch’io. È stato un clic mentale, sono cambiate le priorità ma il tennis rimane in cima ai miei pensieri. Ora inseguo i sogni dei ragazzini».

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