Fra Manga e ATP, la verità sull’ultimo match fra Cinema e Racchetta
Scelta come pellicola d’apertura alla 80ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia lo scorso settembre (proiezione poi annullata a causa dello sciopero degli attori) Challengers fa il proprio debutto nelle sale il 26 marzo di quest’anno in Australia, e il 24 aprile in Italia.
A distanza di più di un mese, si accinge a essere distribuito dalle principali piattaforme di streaming per cui noi di Tennistalker abbiamo pensato fosse il momento giusto per raccontarvi come sta davvero andando la pellicola, e soprattutto se vale la pena di saltare la rituale, sfiancante ricerca del film ideale da scegliere nello sterminato catalogo delle piattaforme di streaming per andare diretti sul film di Luca Guadagnino.
Non ce ne vogliate, questo articolo contiene deliberate anticipazioni sul contenuto e anche sull’epilogo del film. Era necessario per esprimervi la nostra franca e onesta opinione al riguardo. Per contro, vi garantiamo che nessun tennista è stato maltrattato per la stesura del presente testo…
Iniziamo subito dissipando ogni dubbio rispetto al reale andamento di questa iniziativa.
Il film ha avuto un budget di circa otto milioni di euro, cui se ne aggiungono tre di tax credit, e ne ha incassati in Italia poco più di quattro.
A prima vista, quindi, è costato più di quel che ha reso. Ma il punto è che in Nordamerica ha incassati quarantanove milioni di dollari, che sommati ai novantadue del resto del mondo porta il totale a quasi centocinquanta.
Quindi, dal punto di vista del business, è stato un successo. E anche dal punto di vista della critica, si è trattato quasi di un trionfo.
Wikipedia ci informa che “sull’aggregatore Rotten Tomatoes il film riceve l’88% delle recensioni professionali positive con un voto medio di 8,0 su 10 basato su 336 critiche, mentre su Metacritic ottiene un punteggio di 82 su 100 basato su 64 critiche”.
Il tennis, lo abbiamo già detto in altre occasioni, di questi tempi vende bene.
E la cosa non deve essere sfuggita a Luca Guadagnino, che pur essendo dichiaratamente digiuno di questo sport ha scelto di ambientarvi la sua nuova esplorazione dei sentimenti umani.
In sintesi, che piaccia o meno, il film è piaciuto.
Ma qui non stiamo cercando di capire se il film merita in generale, stiamo per svelare se lo sforzo produttivo di un regista pur molto noto, incentrato sul Tennis, è in grado di soddisfare il più esigente dei pubblici, quello appunto rappresentato dai tennisti.
Diamo per scontato che almeno qualcuna delle circa cinquecentomila persone che hanno visto Challengers in Italia sia un tennista praticante, per cui partiamo dalla prima delle domande che questi temerari avevano in testa prima di varcare la soglia del Cinema.
Le scene di tennis saranno fatte bene?
Personalmente, ero terrorizzato dall’ipotesi che la qualità tecnica delle scene di campo fosse paragonabile a quella di “Wimbledon”, dove uno spaesato Paul Bettany stava allo smash come il sottoscritto allo one-foot nello Snowboard: due cose completamente estranee l’una all’altra.
Ero del resto sicuro che non sarebbe stato possibile per nessuno, neanche per Brad Gilbert scritturato come consulente tecnico, insegnare a Zendaya e agli altri due protagonisti l’abilità mostrata da Alex Lutz ne “Il Quinto Set”.
Ma il risultato, devo dire, è stato più che dignitoso.
L’uomo che ha tirato fuori Agassi dal tombino della depressione, in meno di tre mesi ha è riuscito a portare Josh O’Connor (mai vista una racchetta prima) e Mike Faist (che invece la racchetta la usava, ma col rovescio a due mani) nonché Zendaya (la quale aveva nella tuta di Dune la cosa più simile al tennis che avesse mai visto prima) a un risultato di assoluta decenza.
Merito anche del team di supporto italiano, pare integrato da Flavio Cipolla e altri.
A mio personalissimo e privo di prove avviso, anche l’Intelligenza Artificiale ha poi dato una mano, rendendo credibili nelle scene ad alta intensità degli scambi, ma in ogni caso il risultato è accettabile, e l’onore salvo.
Lascio a esperti più qualificati di me una valutazione articolata delle qualità artistiche di trama, sceneggiatura e attori, sebbene circa cinquant’anni passati a vedere duecento film circa all’anno mi consentano di azzardare un’opinione: si può vedere, ma non lo ricorderete come indimenticabile.
Concentriamoci invece sugli altri aspetti tennistici.
Il buon lavoro di Gilbert non si è fermato al tema tecnico, ma si è esteso anche alla scenografia e alla credibilità complessiva delle ambientazioni.
I tornei sono ricostruiti bene, il College Tennis di Stanford regge, le dinamiche agonistiche dentro e fuori del campo sono rispettate, insomma chi conosce il tennis si riconosce in quello che vede, e quello che vede sta in piedi.
E non ci si lasci ingannare dall’apparente incongruità della scena finale, dove le leggi della fisica più che quelle del tennis vengono momentaneamente sospese.
Si tratta, per stessa ammissione del regista, di un omaggio alla cultura manga, che attira i giovani e che anche nello sport ha sempre avuto il suo peso, tennis incluso.
Diverso il discorso sulla scelta registica del finale, a mio parere alquanto maldestra al di là dei cartoni animati giapponesi.
La storia contiene una citazione di Federer e Mirka? Assolutamente no.
Però il protagonista veste Uniqlo dall’inizio alla fine, usa una Wilson piuttosto nota e sua moglie finisce a fargli da manager…
Concludendo, consigliamo a un Tennista o a una Tennista di premere il tasto “Seleziona” della loro piattaforma?
In definitiva sì, sempre meglio che guardarsi un inutilissimo Slovenia Danimarca in una calda domenica di quasi estate…