Per conoscerla un po’ di più, vi riproponiamo l’intervista fatta al suo coach Renzo Furlan pochi giorni dopo gli Australian Open
Jasmine Paolini ha vinto il WTA 1000 di Dubai contro la russa Kalinskaya (6-4, 5-7, 5-7). Dopo aver perso il primo set è riuscita con grande determinazione a rimontare nel secondo, vincendo poi il terzo. Una vittoria che la porta al numero 14 nel ranking mondiale.
Pochi giorni dopo lo slam australiano di Melbourne, avevamo intervistato il suo allenatore Renzo Furlan che ci aveva raccontato di quando aveva conosciuto Paolini e di come sia diventato il suo coach.
Qui di seguito l’intervista completa.
Renzo Furlan è appena tornato dall’Australia dove ha trascorso le ultime settimane come allenatore di Jasmine Paolini e come capitano della nazionale italiana nella United Cup.
Quando era lui a cimentarsi sui campi da tennis come giocatore professionista, ha raggiunto il 19° posto della classifica ATP grazie anche alla vittoria di due titoli ATP 250, ai quarti di finale raggiunti al Roland Garros nel 1995 e a diverse vittorie in Coppa Davis. Per 121 settimane è stato il numero uno italiano.
Buongiorno Renzo, innanzitutto grazie per la tua disponibilità che da sempre ti contraddistingue. Ci racconti come è nato il tuo rapporto con la Paolini?
Conoscevo Jasmine da quando era piccola ed io ero il Direttore Tecnico responsabile dell’under 20 per la Federazione Italiana Tennis. Parliamo degli anni 2010/11 e lei aveva solo 14 o 15 anni. Poi in un secondo tempo, alla fine del 2015 lei rompe con la Federazione e mi ha chiamato per chiedermi se potevo darle una mano ad allenarla. Io proprio in quel momento stavo chiudendo un accordo con la Federazione Tennis della Serbia.
Cominciamo quindi un po’ in sordina perché, le dico di sì, ma la metto al corrente che avrei iniziato anche un’altra collaborazione. Infatti dal 2016 al 2020 andava in Serbia dove ricoprivo lo stesso ruolo che avevo avuto in Italia come Direttore del settore under 20. Inizialmente il contratto prevedeva che fossi presente per 24 settimane all’anno che poi si sono ridotte a 18. Nelle restanti settimane allenavo Jasmine e la seguivo in qualche torneo.
Poi alla fine del 2020 è terminato il mio contratto in Serbia e ho cominciato ad allenarla full time.
Cosa ti aveva colpito di più di lei fin dall’inizio, visto che l’hai conosciuta da quando era piccola? Qual era e qual è secondo te la sua potenzialità innata?
Questo lo dico sempre anche a lei. Mi aveva colpito molto al torneo under 14 di Livorno, io ero lì come Direttore del settore, dove ha perso un incontro lottatissimo. Mi aveva colpito perché aveva una grinta pazzesca in campo, una grandissima lottatrice. Questo è stato il primo impatto. Quando poi ho cominciato ad allenarla, aveva 19 anni, fin da subito mi ha impressionato molto per la sua velocità di palla e per quanto si allenasse bene, nel senso che vedevo una ragazza con una motivazione spaventosa. Motivazione più buoni mezzi tecnici sono sempre un buon binomio!
Qual è stata la partita di Jasmine agli Australian Open che ti ha dato maggior soddisfazione tra quelle che ha vinto contro la Shnaider, la Maria e la Blinkova?
Ha fatto un bellissimo secondo turno contro la Maria. L’anno scorso ad Indian Wells aveva perso male contro di lei, mentre qui è andata meglio. Con la Blinkova ha giocato un buon match, ma il match dove mi ha stupito tantissimo non è stato durante lo Slam, ma in United Cup contro la Kerber. In quel match ha tirato 42 vincenti che sono numeri spaventosi!
Cosa invece non ha funzionato contro la Kalinskaia?
Ecco… quando arrivi lì ti aspetti sempre tanto. Jasmine invece non è riuscita a fare una buona prestazione perché secondo me non ha interpretato bene la partita. Lei crede molto nel concetto di velocità e quando inizia a non capire bene il match, gioca molto veloce ed è il momento in cui comincia a fare errori. Perde un po’ il filo del gioco, perde di lucidità e gli errori aumentano a dismisura.
La finale della Billie Jean King Cup è arrivata in un momento in cui pochi sapevano dello stato d’animo di Tathiana Garbin, ma da fuori ci è sembrato che la forza le ragazze fosse proprio dovuta alla coesione del gruppo e all’importante presenza del Capitano.
Non ti aspetti mai una finale e il nostro girone, con Francia e Germania, era forte. Poi le ragazze hanno fatto veramente una grande prestazione vincendo praticamente sempre i singolari, fino alla finale. Sicuramente è un gruppo abbastanza unito, ma in quell’occasione credo che abbiano dato un qualcosa in più proprio per Tathiana. E lei da parte sua ha fatto qualcosa di eccezionale, anche se era stata operata da poco è stata sempre presente, ha messo tantissime energie in campo e quindi quando fai un risultato così c’è sempre qualcosa di magico. Peccato non aver vinto fino in fondo!
Che differenza c’è tra essere il coach di un giocatore, o di una giocatrice, e ricoprire un ruolo all’interno di una Federazione?
Dal punto di vista personale preferisco in assoluto fare il coach perché condividi un progetto con la tua giocatrice o giocatore. Vivi per questo progetto, gioie e dolori, i momenti che vanno male e i momenti che vanno bene. Il fatto di partire e di percorrere una strada insieme per arrivare a dei risultati, lo trovo molto molto più appagante e motivante. Fare il Direttore Tecnico mi ha dato tantissimo, mi ha fatto crescere come allenatore, ma è un qualcosa che fai al servizio dei gruppi di lavoro, dove collabori con gli allenatori dei giocatori. E’ sicuramente motivante, ma in maniera diversa. Io dovendo scegliere preferisco fare il coach perché vivo molto di più il progetto.
Leggendo alcuni nomi dei giocatori che hai battuto quando giocavi da professionista, sembra quasi che il tempo non si sia fermato: Petr Korda (il papà di Sebastian) e Christian Ruud (il papà di Casper), due figli d’arte. Hai giocato anche contro il papà di Ben Shelton?
Sì! Me lo ricordo bene, ci ho giocato, e vinto, nel 1995 al primo turno del torneo di Pechino. Hai indovinato!
Qual è la tua partita che ricordi con maggior soddisfazione?
Sicuramente la finale contro Michal Chang a San José perché lì ho capito che potevo giocare ad un livello più alto di quello che avevo giocato fino a quel momento. Mi ha fatto capire tante cose. Poi ricordo con piacere le partite giocate in Coppa Davis con la nazionale.
Qual è il tuo sogno per il futuro di Jasmine?
Il sogno non è tanto legato al risultato di un torneo singolo, ma mi piacerebbe che riuscisse ad arrivare al massimo del suo potenziale e mi piacerebbe essere io il primo a stupirmi.
E’ una frase che da Direttore Tecnico dicevo sempre ai ragazzi: allenatevi bene, curate i particolari, date il massimo e vi stupirete di dove riuscirete ad arrivare.
Il bello è stupirsi e credo che Jasmine in questo senso abbia un ottimo potenziale. Mi piacerebbe che arrivasse al massimo delle sue potenzialità.