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    AO 2024, guida per un sogno possibile. Parte Prima: una doverosa premessa

    Alla scoperta del più lontano degli Slam, un sogno tennistico distante ma non troppo

    Partecipare, come pubblico, ai tornei del Grande slam è un’esperienza di per sé affascinante, e regala una visione genuina e immediata di come venga vissuto questo sport dalla gente delle diverse latitudini.

    Procediamo con ordine, iniziando dal Roland Garros e occupandoci dei tre principali fattori che l’appassionato deve tenere bene a mente prima di iniziare il suo pellegrinaggio nei templi pagani del suo sport: l’impianto, l’aspetto sportivo, il modo di vivere lo spettacolo.

    Lo Stade Roland Garros è intitolato a un pilota della Prima Guerra Mondiale, che fu il primo a sorvolare il Mediterraneo ma che soprattutto ideò un modo di posizionare la mitragliatrice sui biplani così da consentire ai piloti di sparare e mantenere l’aereo in volo allo stesso tempo.

    Tennis e guerra, un binomio metaforico che regge alla corrosione del tempo. A differenza di quanto accade a Londra e New York, l’impianto sportivo è dentro la città. Ci si trova a quattro chilometri dalla Tour Eiffel, e il profumo della ville lumière aleggia fra i suoi vialetti. Anche perché da qualche anno, con l’inaugurazione del nuovo stadio interrato dedicato a Simonne Mathieu e posizionato dentro il Jardin des Serres d’Auteuil, l’orto botanico di Parigi, gli spettatori passano in mezzo a piante e fiori e si possono sedere a guardare le partite da un maxischermo respirando a pieni polmoni il profumo proveniente dalle serre. A inizio giugno, in piena fioritura, una cosa sensazionale.

    Dall’altra parte, invece, c’è la parte storica dell’area da otto ettari e mezzo, con lo Stadio Philippe Chatrier da quindicimila posti, il Lenglen da diecimila e il court numéro un, detto anche bullring, circolare come un’arena e a ingresso libero. Sugli altri, bisogna disporre del biglietto apposito.

    L’area, gigantesca negli anni Venti del secolo scorso, è ormai da tempo del tutto insufficiente a contenere la crescita degli appassionati e la relativa vendita di biglietti, per cui la sensazione è di perenne sovraffollamento, sin dal primo giorno. Il pubblico è tipicamente parigino: interessato alle partite ma non troppo, attento ma non del tutto, appassionato ma senza esagerare. Chiaro poi che in tale contesto il dress code sia elegante. Tutti vestiti bene, tutti composti, niente fuori posto, al punto da sembrare a tratti una sfilata di moda. Se ci andate, assicuratevi di essere in ordine, potrebbero scambiarvi per un tifoso di calcio.

    Se Roland Garros è una metafora del bon vivre, Wimbledon è quella del temple, della chiesa. Accedere ai prati di Church Road è come essere ammessi a un rito pagano, le cui regole vanno rispettate senza errori, e senza discutere. Ci si muove composti, si chiede permesso prima di sedersi a bordo campo, e soprattutto non si fa mai rumore, se non per applaudire, ma sempre con la dovuta grazia.

    Certo, l’insieme rende facile il comportamento monacale. I prati perfetti, il profumo d’erba appena tagliata e irrigata che si mischia a quello delle signore che con calma si avvicinano alle tribunette, le giacche demodé dei giudici di sedia, tutto concorre a introdurre lo spettatore in una liturgia di cui è al tempo stesso spettatore e protagonista. Dopo pochi passi all’interno dell’impianto, assumerete l’incedere pensoso e rispettoso di Sherlock Holmes, e cercherete con lo sguardo il fido Watson per farvi dire da lui su quale campo si stia giocando il match più interessante. Non stupisce che il più elegante dei tennisti recenti, Roger Federer, abbia trovato qui il suo habitat naturale.

    Ma se a Roland Garros e a Wimbledon non vi siete trovati a vostro agio, allora forse Flushing Meadows è il posto per voi. Gli U.S. Open sono entertainment, festa e spettacolo, ci si va per divertirsi. Non a caso, il numero di ristoranti presenti nell’impianto supera di gran lunga quello dei negozi di merchandising, il che è tutto dire.

    Lo spettatore medio degli Open si accomoda sulle gradinate equipaggiato con un porta-bicchieri di cartone enorme su cui posiziona bibite gassate, hot dog, panini e stuzzichini vari. Si alza non quando finisce il match, ma quando ha finito la roba da mangiare. Poi esce, ricarica il porta bicchieri e torna. E soprattutto, si diverte come un pazzo. Il match? Da gustarselo dall’inizio alla fine, ma facendo adeguare lui allo spettatore, e non viceversa, come se stesse sul divano di casa.

    Così, se durante un cambio campo di un match di Serena Williams, mentre la musica di intrattenimento è altissima, un’addetta alla vendita delle bibite si mette a ballare (piuttosto bene), subito ripresa dalle onnipresenti telecamere, il pubblico va in delirio. E Serena? Semplice, aspetta che l’esibizione, non la sua, quella della danzatrice, finisca, e poi torna a giocare come se niente fosse. E pazienza se i novanta secondi di stop son diventati tre minuti. Tutto normale, gente, questo è Flushing Meadows.

    Non sono ancora stato agli Australian Open, ma sono sicuro che anche lì c’è un modo speciale di vivere il tennis. Tutti i tornei a loro modo affascinano, e tutti offrono la possibilità non solo di vedere grande tennis in posti splendidi, ma anche di conoscere il popolo del tennis, in tutte le sue meravigliose varianti.

    Sinner agli Australian Open

    Se continuerete a seguirmi su Tennistalker Magazine, vi racconterò direttamente da Melbourne Park quello che si dice essere il più pazzo degli Slam. E siccome spero che chi non ci sia ancora stato trovi l’ispirazione per andarci, non vi racconterò delle partite (per quelle c’è una valanga di persone più brave di me), ma vi dirò tutto ma proprio quello che incontrerò sul mio cammino: costi (non impensabili, ve lo dico sin d’ora), preparazione, viaggio, consigli utili, prenotazioni, cose belle e cose brutte, idee buone e sciocchezze, insomma tutto quello che un privato come me e voi, con una passione enorme ma una vita normale deve sapere prima di prendere il computer e iniziare a cercare voli alberghi e biglietti.

    Se come me avete il virus del tennis, potrebbe essere divertente!

    (NdR: parte del testo contenuto in questo articolo è tratto dal libro “Lo Sport del Diavolo”, dello stesso autore, edito da Laurana Editore (https://amzn.eu/d/8poZt4P)

    Paolo Porrati

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