Mancano pochi giorni al via della seconda edizione della Lesa Cup ed uno degli storici protagonisti delle Coppe Valerio disputate sul lago Maggiore, Omar Camporese, ricorda la sua partecipazione.
«Ne ho un ricordo straordinario – dice il campione reso celebre dal turbodiritto – anche perché avevamo vinto. Giocavo insieme a Pistolesi, Colombini e Baldoni e abbiamo sconfitto la Svezia, che aveva fior di giocatori. In particolare ho un ricordo molto vivo del campo centrale, credo uno dei più belli che abbia visto in carriera, e dell’intero impianto in cui si svolgeva il torneo, una location straordinaria sul lago. Per me è stata un’esperienza magnifica».
Camporese sottolinea un particolare, l’attenzione che c’era in passato per i tornei under: «Li disputavamo tutti perché ti aiutavano moltissimo a crescere. Ti confrontavi con gli avversari, capivi quanto e se avevi migliorato, tornei come il Bonfiglio o la coppa Valerio a Lesa erano un esame obbligato che dovevi affrontare per salire di livello. Allora anche la Federazione teneva moltissimo alla partecipazione ai tornei under, perché sono la miniera dei futuri professionisti e dei campioni. Da lì capivi se potevi davvero fare del tennis la tua professione».
Perché il passaggio al professionismo, osserva Camporese, era dannatamente difficile: «Entravi in un altro mondo, io ci ho messo quasi un anno per vincere un incontro da professionista, l’approccio è stato molto complicato». Non può mancare un confronto tra l’epoca d’oro di Camporese, i primi anni Novanta quando aveva toccato il numero 18 del ranking e per tre anni consecutivi era stato il numero uno in Italia, e l’oggi: «A mio parere la qualità media dei giocatori era più alta: l’esempio me lo offre un confronto tra le classifiche. Negli anni Novanta dei primi venti del ranking, 14 avevano vinto almeno uno dei tornei del grande Slam o un equivalente del Master 1000, oggi sono in quattro. C’è una bella differenza e qualcosa vorrà pur dire».
A settembre Bologna, la città di Omar, ospiterà la Davis all’Unipol Arena di Casalecchio di Reno, e per uno come Camporese che in Davis diventava un tennista epico, sarà come incontrare di nuovo la manifestazione della vita: «Negli anni Novanta Bologna era diventata un punto di riferimento per il tennis italiano e non solo. La città ha attraversato un periodo d’oro sotto il profilo sportivo: c’eravamo io e Canè per il tennis, la Virtus e la Fortitudo che dominavano nel basket, nello sci Tomba faceva un’impresa dopo l’altra e il Bologna Calcio aveva un genio come Baggio. La Davis è l’occasione per tornare ad altissimi livelli». Intanto il 22 agosto parte la Lesa Cup e chissà che Omar non faccia un salto sul lago Maggiore, per rivedere il famoso campo centrale…