Simone Eterno è un giornalista sportivo di Eurosport. Dal 2011 segue come cronista i più importanti eventi del circuito tennistico. La sua grande passione per questo sport lo ha portato a viaggiare in tutto il mondo e ad intervistare i più grandi tennisti, ma il suo primo libro l’ha voluto dedicare a Djokovic.
COME E’ NATA L’IDEA DEL LIBRO? E’ nata da una serie di coincidenze che hanno portato a stuzzicare la fantasia del mio editore, Mattia Fontana, che mi ha contattato dopo aver ascoltato alcune puntate di “Schiaffo al Volo” – il podcast di Eurosport sul mondo del tennis – dandomi la possibilità di scrivere un libro su Djokovic. Possibilità che ho colto molto volentieri perché arrivava in un momento molto importante: Djokovic si stava avvicinando alla possibilità di poter fare il Grande Slam. Inoltre mi ero reso conto che non ci sono molte biografie in italiano su Djokovic, mentre le librerie sono piene di libri su Nadal e Federer. Ammetto di non essere un fan di biografie di tennisti, o di sportivi in generale, scritte mentre sono ancora in attività, ma Djokovic era arrivato ad un punto importante della sua carriera. Aveva appena dichiarato di voler battere il record dei più grandi di sempre: Federer e Nadal. Obiettivo centrato a Wimbledon 2021 e con la possibilità di superarlo a New York facendo anche il Grande Slam che manca dai tempi di Rod Laver. Ho ritenuto che fossero delle motivazioni più che interessanti per poter scrivere il libro.
LEGGO UN BRANO DEL LIBRO: “C’è chi nasce nella parte facile del mondo e chi no. C’è chi può dormire sonni tranquilli e chi si è abituato a svegliarsi nella notte. C’è chi può allenarsi ogni giorno, e chi ogni giorno deve ascoltare con grande attenzione le notizie alla radio, per studiare una strategia che la prima allenatrice di Djokovic, Jelena Genčić, ha riassunto così: «Con Novak ascoltavamo la radio per sapere dove erano previsti i bombardamenti e andavamo a giocare da un’altra parte. Se poi sentivamo gli aerei avvicinarsi, scappavamo dentro il club.” UNA SITUAZIONE PURTROPPO MOLTO ATTUALE. E’ SBAGLIATO PENSARE CHE FORSE LA GUERRA LO ABBIA RESO PIU’ FORTE? Non è assolutamente sbagliato, la guerra l’ha reso senza dubbio più forte. Paradossalmente forse senza una guerra non ci sarebbe questo Djokovic. Un ragazzo che a 11 anni si è dovuto caricare sulle spalle la proprio famiglia perché i soldi erano pochi, sapeva di essere l’unica via di uscita per un’altra vita. E non è una frase retorica, in questo caso è stato proprio così. Lo dimostra sempre in campo: tutte le partite che diventano battaglie, tendenzialmente sono vinte da Djokovic. E non è un caso che nei testa a testa con Federer e Nadal sia in vantaggio Djokovic. C’è il rifiuto della sconfitta e la consapevolezza che il tennis sia stato un mezzo di liberazione.
ALLA FINE DEL LIBRO SCRIVI CHE DJOKOVIC “è contro tutto il mondo, se necessario, ma coerente con se stesso”. RITIENI CHE QUESTO SIA IN LINEA CON QUANTO E’ SUCCESSO CON LA QUESTIONE DEL VACCINO? Sì sicuramente. L’ultimo capitolo si intitola proprio “Controcorrente” perché Djokovic è un personaggio controcorrente, per molti aspetti. Evidentemente anche la questione citata è una di quelle. Nel libro provo a dare un po’ di chiarezza sull’intera questione australiana, dove nella prima parte ci sono sicuramente state delle gravi mancanze a livello di comunicazione da parte di Djokovic. Ha fatto degli errori per i quali poi ha chiesto scusa nell’intervista alla BBC. Dall’altra parte c’è la questione australiana che è stata un po’ più complessa di come è stata descritta. Bisogna mettersi con onestà intellettuale e cercare di capire quali siano stati gli errori. Limitarsi a dire che Djokovic è novax, la legge è questa e non doveva farlo, significa approcciarsi in maniera non corretta a ciò che è successo. C’è stato un invito, c’è stata la possibilità di giocare auspicata dall’organizzatore del torneo, un’accozzaglia di regole tra lo Stato Federale e il Governo dello Stato di Victoria, ci sono le carte firmate dai tribunali, il decreto di espulsione firmato dal ministro dell’immigrazione australiano Alex Hawke. Non bisogna quindi cadere nel preconcetto del Djokovic novax che voleva infrangere le regole e giocare a tutti i costi il torneo. Non è andata così.
QUALI SONO SECONDO TE I 3 MOMENTI CLOU DELLA CARRIERA DI DJOKOVIC? SIA IN POSITIVO CHE IN NEGATIVO. Direi innanzitutto il suo primo titolo Slam cioè quando nel 2008 Djokovic batte Federer e capisce che da quel momento in poi qualcosa cambierà. Si rende conto di poter vincere con chiunque. Il secondo momento importante della sua carriera è quello che descrivo all’inizio del libro: la finale del 2019 a Wimbledon quando è 8/7 40/15 a favore di Feder, 2 match point contro. Djokovic risale e anziché andare a 21 Slam per Federer e Djokovic rimanere a 15, succede il contrario. Un momento che può sembrare per certi aspetti negativo, ma che forse non lo è del tutto, direi quando ha perso la possibilità di fare il Grande Slam l’anno scorso a New York. Quello, come racconto nel libro, non è momento banale perchè Djokovic perde il grande slam, ma per una volta è tifato da tutto lo stadio, cosa che non sempre accade.
DJOKOVIC, PIU’ SPESSO APPLAUDITO O PIU’ SPESSO FISCHIATO DURANTE I MATCH? Fischiato non è il termine corretto perché c’è differenza tra essere fischiato o semplicemente non avere la simpatia del pubblico. Djokovic molto più spesso ha dovuto affrontare una realtà dei fatti che è riassumibile così: se gioca contro Federer il pubblico è totalmente con Federer, se gioca contro Nadal il pubblico è in gran parte per Nadal, se gioca contro altri tennisti il pubblico vuole la partita, ma molto spesso contro Djokovic la partita non c’è e quindi simpatizzano naturalmente per l’avversario. Ha ovviamente un gran tifo in Serbia, a casa sua, e ne ha tanto in Australia perché la comunità serba a Melbourne è molto grande. Ma attenzione perchè in Australia ha quasi sempre giocato sul campo centrale e sul campo centrale la comunità serba non è molto presente, c’è un pubblico diverso. Sul centrale i biglietti costano tanto e la comunità che tifa Djokovic è soprattutto fuori dello stadio, nell’Oval, a tifare guardando la partita sul maxi schermo. Lì sì che si vedono tantissime magliette serbe!
DJOKOVIC SI E’ “INFILTRATO” TRA FEDERER E NADAL, RE INDISCUSSI FINO AL 2016. QUALI SONO SECONDO TE LE PRINCIPALI CARATTERISTICHE DI QUESTI 3 GRANDI TENNISTI? Se dovessi dare una definizione per ciascuno direi che Federe è il talento naturale, la racchetta è un’estensione della sua mano. Giocare a tennis per Federer è naturale. Ha grazia ed eleganza innate. Per Nadal dire solo la forza è banale, è 1000 cose in più della forza, è competitività, è tante cose insieme. Per Djokovic la parola che mi viene subito in mente è testa. La testa di Djokovic credo sia il motivo per cui è Djokovic, ha un’enorme forza mentale.
BISOGNA RICONOSCERE CHE E’ UN PERSONAGGIO TALVOLTA CONTROVERSO: PASSA DAL FARE UNA DONAZIONE DI 1 MILIONE DI EURO ALL’OSPEDALE DI BERGAMO PER LA PANDEMIA A PRANZARE CON UNA FIGURA DISCUSSA COME JOLOVIC. QUAL’E’ IL VERO DJOKOVIC? Qui ritorna il problema della comunicazione gestita male. E’ stato spesso pizzicato dai media proprio perché non sempre è stato attento alla comunicazione. L’esempio citato è la foto scattata durante una festa di matrimonio e Djokovic si ritrova nello stesso posto con persone che in Serbia sono state legate ad un passato piuttosto discusso. E’ difficile stabilire il limite di confine in una nazione che guardandosi indietro ha tante connessioni con un passato di guerra complicato. Probabilmente di difficile comprensione per noi occidentali. Forse Djokovic non se ne è mai curato perché la percezione dall’altra parte è differente rispetto a quella che abbiamo noi.
AL TERMINE DELLA SUA CARRIERA, LO VEDRESTI PIU’ COME ALLENATORE O COME POLITICO? Senza dubbio come politico. Come ha detto l’ex Presidente, Boris Tadić, se Djokovic si candidasse alla presidenza vincerebbe a mani basse in Serbia. Non so se lo farà, ma non è stata una battuta detta a caso. Nel libro cito un passaggio quando, dopo l’Australian Open vinto nel 2012, la troupe di “60 Minutes”, programma della CBS, va a casa di Djokovic. E’ la dimostrazione che è diventato un personaggio globale. Per lui e per il paese è una legittimazione agli occhi del mondo: li porta nella cantina del nonno dove con la famiglia si nascondeva durante la guerra e ti fa esattamente capire che cosa ha passato. Quando era bambino aveva detto che il suo desiderio era quello di dimostrare al mondo che esistono anche i Serbi buoni. E’ sempre tutto collegato, il passato difficile è sempre parte del motore della sua vita. Sì, in futuro lo vedo come politico.
CI RACCONTI UN ANEDDOTO DIVERTENTE CHE TI E’ CAPITATO, O AL QUALE HAI ASSISTITO, IN TUTTI QUESTI ANNI IN GIRO PER TORNEI? Mi viene in mente la partita di Berrettini con Schwartzman al terzo turno di Wimbledon del 2019. Giocavano in un campo laterale dove i posti riservati per la stampa sono proprio in prima fila. E’ stata una partita lunghissima, circa 4 ore, una vera e propria battaglia terminata con la vittoria di Berrettini al quinto set. Ricordo che Berrettini continuava a ripetersi “sono negato, sono negato a giocare a tennis”. Fa abbastanza ridere pensando che solo 2 anni dopo abbia giocato la finale su quei campi! Bhe Matteo, se sei negato tu a giocare a tennis…