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    TennisTalker MagazineConsigliVoglio studiare in America: che cosa mi serve? - I requisiti
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    Voglio studiare in America: che cosa mi serve? – I requisiti

    Cari talkers:

    state pensando di studiare in America? Vi piacerebbe allontanarvi da tutto ciò che vi è famigliare e riscoprire voi stessi in un ambiente completamente nuovo? Un viaggio potrebbe fare al caso vostro.

    Se la passione vi guida in ogni passo della vostra quotidianità e vorreste farne una realtà di tutti i giorni, allora StAR fa per voi.

    Tuttavia, per poter partecipare alle selezioni occorrono dei requisiti specifici.

    Vediamoli nel dettaglio:

    Borse di studio: quali tipi esistono e come ottenerle

    Esistono, anzitutto, diversi tipi di borse di studio: quelle sportive, quelle accademiche, quelle per i cosiddetti “studenti internazionali” ed i financial aid (aiuti finanziari agli studenti).

    Le prime vengono date nella prima e seconda divisione NCAA (non nella terza), nella NAIA (National Association of Intercollegiate Athletics) e nei Junior College: queste si basano sui meriti sportivi. Per ottenerle occorrono determinati risultati, corroborati da classifiche (diverse tra Italia e Stati Uniti) e molto materiale video. In alcuni sport, come il tennis, i tornei internazionali (ITF ed ITF Junior) danno maggiore visibilità in quanto forniscono agli allenatori concreti termini di paragone. È importante anche incontrare un coach di persona, organizzando (se possibile) un viaggio negli Stati Uniti (ufficiale o non ufficiale) così come organizzare eventi in Italia (cd. showcase) con la presenza di allenatori americani. Il sistema statunitense, complice un livello sempre più alto negli ultimi anni, è molto competitivo. C’è un numero massimo di borse di studio sportive che un’università può dare e la scelta è molto meticolosa (nel tennis, ad esempio massimo 4,5 borse di studio per una squadra maschile e fino ad 8 per una squadra femminile).

    Le borse di studio accademiche, invece, dipendono da due fattori fondamentali: le pagelle delle scuole superiori (la media scolastica dalla prima alla quinta classe, il più vicino possibile all’8 o meglio ancora sopra l’8) e alcuni test di ammissione come ad esempio il SAT (il punteggio di ingresso varia a seconda delle università, ciascuna ha il proprio standard). Negli Stati Uniti il voto finale di diploma non conta, è la media a fare la differenza. Avere una buona media, e quindi poter ottenere borse di studio accademiche, aiuta i coach nella scelta degli atleti. Queste sono presenti in tutte le divisioni (anche la terza, diversamente da quelle sportive).

    Le borse di studio internazionali è possibile definirle ‘automatiche’. Alcune università, infatti, le concedono automaticamente a studenti non americani. Occorre semplicemente dimostrare di non essere americani. Sono piuttosto rare rispetto ai primi due tipi. 

    I financial aid, infine, sono legati al reddito. Solamente pochi college ne dispongono per venire in aiuto di studenti stranieri. Dimostrando di non avere un reddito particolarmente alto (in cui si analizzano stipendi e proprietà dei componenti della famiglia) se ne può beneficiare.

    La testimonianza di chi ha partecipato al programma: Giulia Guidetti

    Studiare e realizzarsi, insieme alla passione sfrenata per il tennis. Giulia Guidetti, classe 1994 da Sassuolo, ha scelto gli Stati Uniti per conciliare il tutto. La laurea in General Business conseguita alla Wichita State University, Kansas, è il coronamento di un percorso che inizia da lontano.

    “Ho iniziato a giocare a tennis all’età di sei anni – racconta Giulia – ed è sempre rimasta una delle mie grandi passioni. I primi passi li ho mossi al Club La Meridiana, dove sono rimasta fino al 2012, prima di spostarmi allo Sporting Club Sassuolo. È quello il periodo in cui ho maturato in via definitiva la decisione di andare al college e di trasferirmi negli Stati Uniti d’America. Probabilmente è una scelta che ho fatto in ritardo rispetto alla media, difficilmente accade al termine della quinta superiore. Non avevo mai considerato questa opzione fino a quando una mia amica, che già si trovava alla Wichita State University, mi ha convinta del tutto a fare il grande passo. Per un anno ho frequentato la facoltà di economia a Modena, continuando a disputare tornei con qualche difficoltà, poi ad agosto del 2014 sono volata in Kansas per studiare General Business”.

    Un nuovo mondo, una nuova avventura. Giulia arriva negli States pronta a cominciare da zero. “Volevo giocare a tennis a tutti i costi, senza mai sacrificare lo studio e la formazione a livello professionale. Ero tesa, lo ammetto, ma allo stesso tempo ero certa che fosse l’unica possibilità. L’impatto è stato scioccante, senza ombra di dubbio, perché davvero devi fare i conti con una cultura diversa. Tutto è enorme, dal campus universitario fino al supermercato e alle palestre. Lo sport in ambito accademico ha un peso specifico notevole, cosa che qui da noi non accade. La lingua? È stata dura, si, ma dopo qualche mese ero già in grado di farmi capire senza problemi. Per un semestre ho seguito un corso intensivo di inglese da sei ore al giorno che mi ha aiutata tantissimo, la quotidianità ha fatto il resto”.

    E gli allenamenti? Lo spirito di squadra, ancora una volta, è l’aspetto fondamentale. “Di base si va a scuola al mattino – prosegue Giulia – anche se la scelta è modulabile sulla base delle proprie esigenze. Dopo pranzo ci si sposta in campo per circa tre ore e poi si torna in stanza a studiare. Nulla è lasciato al caso, dal rapporto con gli insegnanti alle modalità di esame. Lo studente-atleta è messo sempre nelle migliori condizioni per rendere al massimo. La differenza con il sistema italiano è che c’è molta più attenzione al team nel suo complesso; a livello individuale si fa tanto cesto e ci si focalizza meno sulla parte tecnica e maggiormente sulla sostanza. I miei quattro anni in Kansas sono stati quelli in cui l’università ha avuto i migliori risultati. Personalmente mi sono tolta diverse soddisfazioni che porterò nel cuore a lungo, la laurea su tutte”.

    Il bilancio, nel complesso, non può che essere positivo. “È una esperienza che consiglierei a tutti. Vuoi o non vuoi sei costretto a crescere, ad uscire dalla confort zone e a responsabilizzarti. Il livello degli sportivi è sempre più alto e si possono raggiungere traguardi importanti. Tornassi indietro lo rifarei”.

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