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    TennisTalker MagazineATP Finals, il primo ruggito di Carlos Alcaraz: “Qui se non giochi bene ti mangiano”

    ATP Finals, il primo ruggito di Carlos Alcaraz: “Qui se non giochi bene ti mangiano”

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    Dopo la vittoria su De Minaur, lo spagnolo ha parlato piuttosto chiaro: “Ho due obiettivi, vincere il torneo e chiudere l’anno da numero uno”

    Carlos Alcaraz ha cominciato le Finals come voleva: vincendo, convincendo e ricordando a tutti perché è lì, numero due al mondo con ambizioni di primato, a contendere un trono che sente sempre più suo. Contro Alex De Minaur non è stato un successo automatico“ero avanti 4-1 e 40-0, poi ho smesso di spingere”, ha spiegato — ma una di quelle partite che raccontano più di tante vittorie facili. La tensione, il rischio di deragliare, il modo in cui l’ha raddrizzata, tutto concorre a restituire l’immagine di un giocatore sempre più completo, capace di accendersi dopo essersi scottato.

    Nel dopopartita Alcaraz ha parlato con la calma di chi sa che ogni parola è anche un segnale. “Il primo match qui non è mai semplice, e questa è la prima volta che riesco a vincerlo,” ha sorriso, lasciando intendere quanto contasse rompere quel piccolo tabù. E, tra le righe, si è capito che a Torino non è venuto solo per la coppa. “Ho due obiettivi chiari: vincere il torneo e chiudere la stagione da numero uno.” Il tono è rimasto misurato, ma la sostanza è quella di chi ha già in mente la meta e non accetta compromessi.

    La sconfitta di Parigi, che a molti era sembrata una crepa, per lui è stata un esercizio di lucidità. “Le partite storte capitano, ma servono per imparare. Lì ho provato tanto, forse troppo. Qui ho ritrovato fiducia, ritmo, sensazioni,” ha spiegato. Poi, come a voler mettere un sigillo su tutto, ha aggiunto: “A questo livello, o giochi bene o ti mangiano.” Frase che riassume il suo modo di stare nel tennis: fame, autocritica, consapevolezza.

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    A colpire è stata soprattutto la serenità con cui ha parlato del suo backhand, colpo spesso discusso e oggi tornato protagonista. È da mesi che ci lavoriamo, in allenamento continuo a insistere. A Parigi non funzionava, ma quando insisti qualcosa scatta. Oggi ho sentito il colpo pieno, fluido, e nei momenti chiave ho avuto il coraggio di usarlo.” Una fiducia costruita più nella fatica che nella naturalezza, come capita ai campioni che vogliono durare, possibilmente migliorando.

    Alla fine, il discorso si è allargato al tema della motivazione, croce e delizia di chi macina tornei per undici mesi l’anno. “La stagione è lunga, logorante. Credo di aver capito cosa mi serve fuori dal campo per restare motivato. Quest’anno mi sono ritagliato più tempo da passare a casa, più respiro, e mi sento più fresco,” ha rivelato Carlitos. E qui la voce si è fatta quasi intima: “Questo torneo è speciale, è quello che sogno di vincere prima o poi.

    Un ragazzo di ventidue anni che parla da veterano, e un veterano nel corpo di un ragazzo che comprensibilmente ha ancora fame. A Torino, Carlos Alcaraz sembra aver ritrovato esattamente ciò che cercava: la voglia di giocare ogni punto come se fosse il primo. Il che è pericoloso: per gli altri.

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