More
    Pubblicato in:

    Il naso di Federer

    - Advertisement -

    I Social Media stanno peggiorando il tennis, condizionando atlete e atlete? Viaggio spaventoso nel catalogo degli insulti online, e nelle strategie per neutralizzarli

    You Cannot Be Serious – a cura di Paolo Porrati

    Intervistato di recente dal Canale Youtube Not Your Country Club, Roger Federer ha parlato del suo rapporto coi Social Media. Con il suo consueto garbo e la misuratezza che lo contraddistinguono, lo svizzero, uno che potrebbe chiedere e ottenere senza problemi la genuflessione di tutti i presenti al suo ingresso in qualsiasi campo da tennis del mondo, ha svelato qualcosa che personalmente non mi aspettavo, ma che in qualche modo temevo: “Onestamente ho un rapporto difficile con i social per via dei commenti, anche se sono in genere piuttosto bravo ad assorbirli. Per esempio, se leggo dieci commenti sul mio rovescio e nove sono positivi, l’ultimo non mi farà dubitare. Ma poi ci possono essere commenti legati al mio aspetto, alla dimensione del mio naso e a molte altre cose, e può essere doloroso“.

    Ora, ci può stare che un supercampione timido, per di più nato prima del rovinoso avvento della plutocrazia digitale, abbia qualche difficoltà ad adattarsi a un mondo informatico che fatica a comprendere (e non solo lui). A me però fa riflettere l’altro lato della medaglia. Anzi due.

    Il primo è più che altro uno sfogo, e sono abbastanza sicuro che mi comprenderete e financo perdonerete: e cioè, quale sfortunata combinazione genetica, quale irripetibile disfunzione cromosomica, quale disgraziata sequenza evolutiva può portare un essere senziente con ogni probabilità dotato anche di passaporto in corso di validità a SCRIVERE A ROGER FEDERER CHE IL SUO ROVESCIO NON È UN GRANCHE’??? Perché un ammasso di pezzi informi di materia organica anfibia comunemente detta altrimenti (cit.) non incontra anche subito un Sergente Hartmann pronto a rimetterlo al suo posto? Mistero.

    - Advertisement -

    Il secondo spunto di riflessione invece è emerso dopo essermi riletto per placarmi il saggio di David Foster Wallace “Roger Federer come esperienza religiosa”, in cui lo stesso colpo è descritto come “una dimostrazione in movimento della capacità quasi soprannaturale di creare angoli che non esistono”.

    La riflessione riguarda tutti noi pretoriani dello sport più bello del mondo: qual è la commistione fra i Social Media e i tennisti al giorno d’oggi? Quali sono i mezzi che il peggio della rete usa per attaccare questi ragazzi e ragazze poco più che ventenni, e con quali conseguenze? E cosa fanno loro per difendersi? In questo articolo vi racconto quanto ho appreso approfondendo l’argomento, e che forse in parte già conoscete senza magari aver messo in fila tutti gli elementi.

    Dal betting alle minacce ai familiari, la galleria degli orrori

    L’analisi e la classificazione degli attacchi subiti in rete da giocatori e giocatrici fa impallidire, specie se si considera che non risparmia praticamente nessuno. Da Francesco Maestrelli, 364 punti ATP e numero 1544 al mondo, autore di un messaggio su Youtube in cui spiega la sua vita da bersaglio social che fa accapponare la pelle, a Carlos Alcaraz Iga Swiatek e Jannik Sinner, sono tutti bersagli. E gli attacchi sono ripetuti, costanti, selvaggi.

    Cominciamo con le accuse legate al betting. Katie Boulter racconta di aver ricevuto messaggi da scommettitori delusi e arrabbiati che la accusavano di scarso impegno nelle sconfitte, mentre Caroline Garcia fa addirittura esplicito riferimento a un neologismo, l’”unhealthy betting”, commesse malsane, dopo una sconfitta agli US Open, dicendo che molti messaggi arrivano da persone deluse da aver perso denaro.

    Il fenomeno è così grave da condizionare i risultati sportivi e da spingere ATP e WTA a correre ai ripari tramite sistemi di Intelligenza Artificiale che individuano i post malevoli e li neutralizzano, e la direzione del torneo di Roma ha annunciato un rafforzamento dei controlli e l’espulsione immediata dagli impianti per chi viene sorpreso a disturbare lo svolgimento delle partite. Ma è una goccia nel mare.

    Questi spettatori, spesso chiamati “tipster” o scommettitori-influencer, si mimetizzano tra il pubblico e cercano di destabilizzare i giocatori contro cui hanno scommesso, urlando o esultando ai loro errori. Dall’unhealthy betting alle minacce dirette o indirette contro familiari, il passo è breve.

    Sempre Katie Boulter ha parlato esplicitamente di minacce di morte ai suoi confronti e alla famiglia, oltre a messaggi disgustosi che includono a volte addirittura richieste esplicite di danni, o gravi insulti. Per aumentare la pressione, alcuni dei messaggi rivelano dettagli su hotel o voli dei bersagli, trasformando l’odio digitale in minaccia fisica. Contenuti sessualmente espliciti e immagini indesiderate sono l’indegno corollario a questa tipologia di offese.

    Andiamo oltre, e qui la faccenda si fa più sofisticata. Body shaming, ovvio. Commenti sul corpo e sull’aspetto fisico correlati alla prestazione sportiva. Jelena Dokic ha denunciato in vari momenti commenti sul suo peso, o sull’aspetto, che le hanno procurato disagio e impatto sulla fiducia e quindi sui risultati. Jodie Burrage ha detto che molti attacchi dopo Wimbledon erano rivolti al suo aspetto fisico, neanche quantificabili gli insulti a Taylor Townsend o a qualsiasi altra atleta anche vagamente sovrappeso.

    Immancabili gli attacchi identitari come sessismo, razzismo, omofobia etc.). Sempre Taylor Townsend, recentemente, è finita nel mirino digitale dei leoni e leonesse da tastiera per le sue considerazioni riguardo cucina e cultura in Cina. Il fatto che poi si sia scusata non conta nulla. Naomi Osaka ha più volte parlato di come il colore della pelle, la nazionalità, la cultura influiscano su certi attacchi che riceve.

    Scendiamo di girone infernale e passiamo alla derisione per infortuni problemi di salute mentale. Tsitsipas è uno dei bersagli preferiti, gli hater lo accusano di accampare “scuse” se non gioca bene. E lui finisce per andare in pezzi. Ed è infatti recente la sua decisione di staccarsi completamente dai social per ritrovare se stesso. E poi gli insulti legati alle performance, il grande classico del “sei un bluff”, “non reggi la pressione”. Di nuovo Stefanos Tsitsipas ha dichiarato che spesso le critiche continuano anche dopo vittorie, e diventano insulti gratuiti che “pesano” mentalmente. Carlos Alcaraz ha dichiarato che certi commenti online lo demoralizzano, specialmente quando arrivano in forma anonima.

    E terminiamo la galleria degli orrori con quello che per me è il gradino più basso della scala disevolutiva del tifoso: i paragoni impossibili con le leggende del nostro sport. Caroline Garcia, dopo ogni sconfitta riceve commenti sulle sue prestazioni in cui viene confrontata con campionesse alle quali sa benissimo di non potersi paragonare: “non sei Serena, non sei Maria, non sei Iga”. Sono commenti che inevitabilmente fanno male, perché sono riferimenti a livelli storici ineguagliabili. E a sentirsi dire di continuo che sei non sarai mai il migliore e che quindi tanto vale smettere, prima o dopo, ti convinci che sia giusto farlo.

    Gli impatti, e come difendersi

    Quali sono gli effetti che le atlete e gli atleti denunciano, e quali sono le strategie che pongono in atto per difendersi? Cominciamo dai danni, che fanno tutti impallidire. Distrazione mentale, il focus sulla performance può venire sovrastato da ansia, paura o preoccupazione per “cosa scrivono di me”. Perdita di autostima e identità, si comincia a dubitare non solo delle capacità tennistiche, ma anche del proprio valore personale. Rischi per la salute mentale come ansia, depressione, burnout. Alcuni atleti confessano che, nonostante vittorie e titoli, le notti sono le più dure perché passate a leggere i commenti sui Social. Effetto spillover (contagio), i comportamenti tossici che colpiscono famiglia, partner, amici espandono lo stress al di fuori del campo per poi rientrarvi sotto forma di aumento ulteriore della pressione.

    Giocatori e giocatrici, i loro entourage e le organizzazioni professionali stanno in qualche modo reagendo, anche se siamo ancora all’inizio di un lungo percorso. Alcuni giocatori disattivano i commenti nei post che sanno faranno discutere, altri usano filtri automatici, si appoggiano ai filtri delle organizzazioni dei tornei, addirittura utilizzano BOT contro i contenuti offensivi. La versione estrema è prendersi una pausa dai social media quando le cose vanno male, vedi Tsitsipas.

    Ma l’isolamento dai social comporta anche la perdita delle connessioni positive coi fan, e questo spesso è un prezzo troppo alto da pagare. Per non parlare del probabile malcontento di sponsor e interlocutori commerciali. Chi se lo può permettere, una minoranza, ricorre al supporto psicologico e al counseling.

    Molti giocatori hanno nel proprio team professionisti specializzati che affiancano fisioterapista, nutrizionista e coach e aiutano a gestire pressioni e attacchi; non sempre sono membri dichiarati del team, ma presenti, e Iga Świątek evidenzia che il suo mental team è parte del proprio successo. Costruire una rete di supporto (coach, famiglia, amici, colleghi) è un’altra cosa che funziona. Parlare con chi capisce il contesto, ottenere supporto da colleghi che hanno vissuto situazioni simili. 

    Quando Caroline Garcia, insieme a Katie Boulter una delle ragazze più brillanti del tour, ha raccontato pubblicamente le sue esperienze chiarendo che molti giocatori ricevono lo stesso tipo di messaggi, ha contribuito a rompere il silenzio. Naturalmente, si può ricorrere alle azioni legali e alle segnalazioni, specie in casi di minacce o contenuti esplicitamente illegali.

    ATP WTA e ITF hanno iniziato a produrre report sistematici sull’abuso online, e in alcuni casi se ne fanno carico direttamente. Più difficile, e non solo nel tennis, ma indispensabile è usare i social come strumento attivo, non reattivo. Condividere anche contenuti che mostrano vulnerabilità, ma a modo proprio; decidere cosa comunicare, come, quando, aiuta a ristabilire gli equilibri personali e – forse – a limitare i danni per sé stessi e per i propri cari. Alcuni atleti parlano apertamente delle difficoltà (come Tsitsipas, Raducanu) proprio per normalizzare che non è solo vittoria e sorrisi. Emma Raducanu ha detto: “non tutti ti amano, non tutti vogliono vederti bene, ed è ok ignorare alcuni commenti”.     

    In conclusione: c’è rimedio?

    Il tennis è uno sport duro, da sempre. E l’aspetto mentale, insieme a quello fisico e tecnico, è uno dei componenti da rafforzare se si vuole competere a livello professionistico. Quello che va considerato è che adesso, l’aspetto mentale deve anche – e direi purtroppo – includere per forza di cose gli aspetti fuori dal campo legati ai Social.

    Pete Sampras ha posto la pietra più interessante e definitiva sul tema, a mio avviso, dicendo che se ai suoi tempi ci fossero già stati i Social, avrebbe conquistato molti meno trofei nella sua carriera. Chiaro e semplice. Se ci fossero stati i Social avrebbe conquistato molti meno trofei nella sua carriera.

    Non possiamo accettare che il tennis diventi un’arena dove lo sfogo digitale vale più del talento. I giocatori stanno imparando a difendersi, limitando l’accesso, scegliendo come reagire, chiedendo aiuto. È il loro modo di vincere una partita che non hanno scelto di giocare, ma che potrebbe decidere la durata delle loro carriere. Ma non vanno lasciati soli, vanno supportati a livello istituzionale, come sta iniziando ad accadere, ma anche a livello personale, di tutti i giorni.

    Dicendo ad esempio agli idioti del tennis che sono degli idioti, nei Social e fuori, controllando quello che scrivono i nostri figli e figlie in rete, iniziando noi stessi a rileggere quello che stiamo per postare sul forum online “Gente che ha capito tutto del tennis senza aver mai giocato una partita di torneo”.

    Impegniamoci anche noi tutti i giorni per proteggere il nostro sport preferito, e forse non solo lui. Io poi avrei un suggerimento personale, per me tanto risolutivo quanto irrealizzabile oggi, ma in futuro chissà: consentire l’accesso ai Social Media solo con lo Spid, o con la carta di identità digitale. Così, puoi anche decidere di chiamarti Cotechino64 su Facebook per poi postare Federer e dirgli che anche il suo servizio non è granché, ma lo fai con le credenziali che usi per scaricare il tuo 730 precompilato. Auguri.

    YCBS-Paolo Porrati


    You cannot be serious è la nuova rubrica settimanale di Tennistalker Magazine dedicata a tutto ciò che nel tennis non rimbalza ma … fa rumore lo stesso! A cura di Paolo Porrati: accanito “quarta categoria”, è stato Giudice Arbitro per la FITP e ha partecipato da spettatore a tutti gli Slam, Finals Davis e Olimpiadi. Il suo romanzo giallo “Lo Sport del Diavolo”, pubblicato da Laurana Editore e ambientato nel mondo del tennis, è stata la sorpresa letteraria sportiva dello scorso anno.

    - Advertisement -
    Classifica Super Simulata FITP esclusiva TennisTalker
    Classifica Armonizzata FITP esclusiva TennisTalker

    Instagram Gallery

    Ti potrebbe interessare...

     

    Segui i tornei in collaborazione con TENNISTALKER MEDIA PARTNER

    Tennistalker Club - 15% sconto su Tennis Warehouse Europe

    più popolari