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    TennisTalker MagazineEditoriali"Non è sfortuna, è l’età". Djokovic si scopre mortale, Sinner e Alcaraz decollano
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    “Non è sfortuna, è l’età”. Djokovic si scopre mortale, Sinner e Alcaraz decollano

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    Quattro conferenze stampa, quattro toni diversi: la serenità di Jannik, l’entusiasmo di Carlos, l’autocritica del campione serbo e la lezione tattica di Fritz aprono una finestra sui Championships di oggi e su quelli che verranno

    C’è un sole che sembra arrivato in ritardo dalla Provenza più che dal cielo londinese, e sull’erba di Wimbledon — oggi color pistacchio quasi cotto — la storia si rigira come una crêpe: da una parte Jannik Sinner, dall’altra Carlos Alcaraz, con il vecchio e forse un po’ stanco Novak Djokovic che scivola via come una parola non trovata nel cruciverba e Taylor Fritz che resta a guardare l’ultimo treno, ancora in banchina, verso la gloria. I riflettori, si sa, qui non hanno bisogno di lampadine: accendono da soli i fili d’erba e le aspettative. Domenica i due ragazzi si spartiranno il piatto forte e, forse, l’investitura definitiva del tennis che verrà.

    Sinner — primo italiano a bussare alla finale sui prati più chiacchierati del mondo, da quando si bevevano le Pimm’s con la cannuccia di carta e non con il QR code — ha subito steso sul tavolo la carta d’identità del suo presente: Parigi non fa più male, è rimasta solo la cicatrice che ricorda da dove arriva. “Se quella ferita pesasse ancora, non sarei qui“, ha detto Jannik, con un sorriso che in Alta Pusteria definirebbero “di ghiaia”: rassicurante. E ancora: “Carlos è il favorito, viene da due trionfi di fila qui ed è durissimo batterlo sull’erba. Ma adoro queste sfide». Un’ora e cinquantasette minuti per liquidare Djokovic — roba che un anno fa pareva fantascienza — e il ragazzo porta a casa la serenità dei grandi: “Avevo un piano e l’ho eseguito al millimetro“.

    Alcaraz, che ha dovuto tirare fuori dal borsone una gran partita per aver ragione di un Fritz mai così convinto, non perde l’abitudine di regalare titoli ai fotografi col primo sorriso. Ricorda la maratona parigina con Sinner come si ricorda la prima notte sul mare: “La partita migliore che abbia mai giocato. Spero di non stare di nuovo in campo cinque ore e mezza, ma se servirà…“. E sul duello che li ha resi manifesto pubblicitario del futuro: “Quello che facciamo è fantastico per il tennis: lottiamo e trasciniamo gente nuova. Vedo bambini con la racchetta: è il regalo più grande“.

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    Djokovic arriva con la faccia di chi ha dato ancora tutto, però il serbatoio chiede pietà. Trentotto anni, sette titoli qui, la postura ancora eretta di un ex cadetto: “Non è stata una sensazione piacevole là fuori“, ammette. Poi, senza cavilli: “Jannik ha giocato meglio, punto“.

    Le voci di ritiro?Non chiudo qui la mia storia con Wimbledon. Tornerò, almeno un’altra volta“. E con la lucidità dei grandi costretti ad accettare la sconfitta, commentando i piccoli intoppi fisici che l’hanno limitato negli ultimi Slam aggiunge: «Non è sfortuna, è l’età. Ogni sconfitta mi insegna qualcosa, ma finché avrò fame, resterò sulla strada. Non credo esista nessuno che si prende cura del fisico quanto me, e infatti nei Major vinco sempre cinque partite e arrivo in semifinale, ma poi trovo Sinner o Alcaraz e vincere è quasi impossibile. In ogni caso, farò di tutto per giocarmi le mie possibilità negli Slam ancora per un po’“.

    Fritz parla in modo analitico, quasi da coach con i polsini ancora sudati: “Sul veloce ho le mie chance con Carlos, ma se il campo rallenta lui può farmi male in qualsiasi momento“. Il californiano, nel gruppone dei primi inseguitori delle velocissime lepri del ranking, non baratta la frustrazione con la presunzione: Ogni volta che li affronto imparo un pezzo nuovo da incastonare nel mio puzzle. Per vincere uno Slam dovrò batterli, non ci sono scorciatoie“.

    Quattro voci e un solo spartito: il passaggio di consegne. Sinner e Alcaraz si contendono il presente con la leggerezza feroce dei ventenni; Djokovic difende la sua eredità — 24 Major, un museo interno ancora aperto al pubblico — e Fritz studia, bloc-notes alla mano, un futuro da outsider sempre più scomodo. Domenica, sul prato che profuma di passato remoto e fragole troppo care, si giocherà un capitolo che farà rumore. Intanto, dalle parole smosse dal ventilatore delle conferenze stampa, Wimbledon ci ricorda che sa cambiare pelle senza perdere la sua inconfondibile cicatrice verde.

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