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    TennisTalker MagazineCuriositàBoris, lentiggini e bombe al servizio: il diciassettenne che rovesciò Wimbledon in un solo pomeriggio
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    Boris, lentiggini e bombe al servizio: il diciassettenne che rovesciò Wimbledon in un solo pomeriggio

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    7 luglio 1985: senza testa di serie né patente, “Bum Bum” Becker stese Kevin Curren e diventò il più giovane campione della storia sull’erba sacra dell’All England Club

    Aveva appena diciassette anni e 227 giorni: una spruzzata di colore adolescenziale sparata con il liquidator in mezzo al manierato salotto verde di Wimbledon. Il 7 luglio 1985 Boris Becker piombò sul Centre Court come un ragazzino che giocasse a rovinare il tappeto buono della nonna, e invece fece la Storia: trionfo in finale su Kevin Curren e una serie di primati a infiocchettarlo: primo tedesco, primo non testa-di-serie, più giovane di sempre a prendersi l’All England Club.

    La cronaca di quell’estate fa riaffiorare cotonamenti tricologici, spalline imbottite e un bel po’ di nostalgia: Craxi alle prese con i franchi tiratori, le tasche dei paninari gonfie di gettoni del telefono e le radio di ogni luogo a diffondere spietate “L’Estate sta finendo” dei Righeira. Sulla copertina di “Panorama” campeggiava lo yuppie, però al Country Club di Roma già si sussurrava di un rosso di Leimen che “serve a duecento all’ora e poi si butta per terra come un terzino”. Ion Țiriac lo aveva arruolato dopo averlo visto in un torneo junior a Montecarlo, diventandone poco dopo procuratore e general manager, ruoli che avrebbe poi mantenuto fino al 1993: un’intuizione da agente segreto del blocco orientale, con baffo alla Bud Spencer e agenda impermeabile alla pioggia londinese.

    Il torneo cominciò il 24 giugno, e Becker si abbatté sui prati come una grandinata d’inizio estate. Bum Bum, che era già numero 20 del mondo e dunque non proprio un carneade, nei primi due turni si sbarazzò di due tennisti USA: prima Hank Pfeister, che gli strappò il primo set della competizione; poi Matt Anger. Terzo e quarto round misero il giovane Becker alla frusta, e furono necessarie due partite da cinque set e infiniti grattacapi per avere ragione di Joakim Nystrom e Tim Mayotte.

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    Poi la deflagrazione e il colpaccio: Henri Leconte fu piegato in quattro set nei quarti, Anders Järryd domato in semifinale dopo un primo set da incubo. In finale, ancora una volta, Becker non era favorito. Dall’altra parte della rete c’era Kevin Curren, sudafricano di passaporto USA che nei quarti e in semifinale aveva cappottato prima John McEnroe, poi Jimmy Connors, lasciando appena tredici game complessivi sui prati nel doppio confronto.

    Ma Bum Bum non volle sentire ragioni: break nel primo game e poi non perse mai il filo; perse però un secondo set al tie-break e, sul 5-4 del quarto, tremò: doppio fallo sul primo match-point. “Mi ero irrigidito,” dirà poi Boris. “Dopo il doppio fallo sul primo match point ho guardato il cielo e mi sono rivolto direttamente a Dio, dicendogli che se avesse fatto entrare la mia prima di servizio poi avrei fatto per tutta la vita ciò che avesse voluto”. Supplica accolta: Becker trovò una prima esterna a 203 chilometri orari misurati dallo speed-gun dell’All England Club. Era l’ace numero 21, il colpo che chiuse la partita quando iniziava a intravedersi il traguardo delle tre ore di gioco. Braccia al cielo, sguardo vagamente smarrito nella ricerca dei propri cari in tribuna, la storia che si scriveva tra le chiazze gialle dell’erba stazzonata dopo due settimane di corse verso la rete.

    A rivederlo oggi, il trionfo di Becker pare un chicco d’orzo in controluce: piccolo, rotondo, capace di far fermentare un’intera generazione. Erano anni di Topolino e schedine Totocalcio, di Alfa 33 e “Adesso Musica”. Lui, figlio del boom tedesco, si caricò sulle spalle un pezzo di immaginario collettivo e corse verso la storia come se avesse l’abbonamento.

    E invece no, non aveva nemmeno la patente. Ma Wimbledon, quell’anno, portò brufoli e lentiggini in prima pagina. E noi, tra un ghiacciolo al tamarindo e il poster dei Duran Duran, ci scoprimmo già nostalgici di qualcosa che stava succedendo in diretta.

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