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    A tu per tu con il tennis: mental coach e giocatore professionista a confronto

    Simone Agostini, giocatore professionista, e Alessio Fiorucci, mental coach ed allenatore, raccontano il ruolo decisivo della mente nel tennis e condividono strategie per crescere e migliorarsi

    Simone Agostini è un giocatore di tennis professionista con un attuale ranking ATP 326 nel doppio e 13° in Italia. Nella classifica ITF occupa la 17ª posizione, e ha raggiunto un best ranking al 4° posto a settembre 2024. Tuttavia, prima di ottenere questi risultati, Simone ha attraversato un periodo difficile, segnato da pochi successi e dall’idea di abbandonare il tennis.

    La svolta è arrivata grazie all’incontro con Alessio Fiorucci, mental coach, allenatore e co-autore insieme ad Alberto Castellani del libro “Il coaching emozionale nel tennis“.

    Attraverso un percorso focalizzato soprattutto sull’aspetto mentale, Fiorucci ha aiutato Simone a ritrovare la motivazione e la gioia di competere, spingendolo a proseguire la sua carriera e a compiere un importante salto di qualità, che si è tradotto in un significativo miglioramento del suo ranking e del suo approccio al gioco.

    SIMONE  AGOSTINI

    Il tennis è uno sport tanto fisico quanto mentale. Quando hai capito che lavorare sulla parte psicologica del gioco era fondamentale per migliorare le tue prestazioni?

    Ho sempre saputo che la componente mentale fosse cruciale, ma la consapevolezza è arrivata giocando i tornei ITF, dove la pressione è più alta. Circa 3-4 anni fa mi sono accorto che vivevo situazioni ricorrenti: mi qualificavo per il tabellone principale, ma poi perdevo al primo turno, magari contro avversari alla mia portata, solo perché c’era in palio il punto ATP. Non dico che ora la pressione sia sparita, ma sicuramente la gestisco in modo diverso. Anche nel doppio succedeva qualcosa di simile: vincevo un turno e iniziavo a pensare troppo, magari proiettandomi alla semifinale, un traguardo mai raggiunto prima. Sono pensieri inconsci, ma destabilizzanti. Alessio Fiorucci mi ha convinto a intraprendere un percorso di crescita mentale per affrontarli.

    Lavorare quindi con Alessio Fiorucci, un mental coach, come ha influenzato il tuo modo di affrontare il gioco e, in particolare, i momenti più delicati, come i tie-break o i match point?

    È un lavoro in corso. Purtroppo sono una persona che pensa troppo durante i match, invece dovrei essere più istintivo e freddo. Alessio, insieme al mio preparatore atletico, mi ha aiutato a trovare strategie per concentrarmi sul presente. Per esempio, mi focalizzo moltissimo nel guardare la pallina, evitando di pensare al passato o al futuro, che generano solo ansie. Anche il mio maestro mi ha supportato in questo processo. Oggi non posso dire di gestire perfettamente queste situazioni, ma ho fatto progressi e continuo a lavorarci.

    Puoi condividere un momento specifico in cui la preparazione mentale ha fatto la differenza in un tuo match?
    Ho iniziato a lavorare con Alessio a giugno 2023 e già a settembre ho notato i primi risultati. Durante un torneo in Bulgaria, ho affrontato due giocatori di classifica 200 ATP, Babic e Donski, uno dei quali aveva battuto Bublik in Coppa Davis la settimana precedente. Io, invece, giocavo con un bulgaro classificato 1000. Ho giocato un’ottima partita vincendo 10-2 al terzo set. È stata una svolta: ho realizzato che il lavoro con Alessio stava funzionando. Battere giocatori di quel livello non è casuale. Da quel momento, Alessio ha rafforzato la mia fiducia, suggerendomi di concentrarmi sul doppio, dove ho iniziato a ottenere risultati significativi

    Quanto è importante saper gestire emozioni come rabbia, frustrazione o ansia durante una partita? Quali strumenti ti aiutano di più in queste situazioni?

    Saper controllare le emozioni è un vantaggio enorme, perché nel tennis si passa continuamente da momenti di rabbia a momenti di gioia nel giro di pochi secondi. Alessio, insieme al mio preparatore atletico e al mio maestro, mi ha insegnato tecniche per rimanere focalizzato, come osservare la scritta sulla pallina o lavorare sulla respirazione. I 25 secondi tra un punto e l’altro sono cruciali: è lì che l’inconscio può portarti a pensieri negativi. L’obiettivo non è non pensare, ma guidare i pensieri in una direzione costruttiva. È un percorso lungo, ma i risultati stanno arrivando.

    Hai una routine o un rituale specifico per prepararti mentalmente prima di un match?

    Sì, oltre al riscaldamento fisico, ascolto un audio che Alessio ha creato apposta per me. In questo audio mi fa visualizzare il mio io ideale, quello che gioca al meglio delle sue capacità. Così, quando entro in campo, mi sento già ‘mentalmente caldo’, come se avessi già giocato e fossi in fiducia. Questo approccio mi ha aiutato moltissimo a iniziare i match con il piede giusto.

    ALESSIO FIORUCCI

    Quale è stato principalmente il lavoro svolto con Simone?

    Quando ho conosciuto Simone, veniva da un periodo difficile: dopo diverse settimane di tornei in Serbia, era riuscito a conquistare pochi punti. Era confuso, pensava di cambiare molte cose nella sua vita e, addirittura, aveva preso in considerazione l’idea di abbandonare il tennis.

    Il mio primo obiettivo è stato seguirlo da vicino per restituirgli la gioia di competere e giocare. La gioia è centrale nel nostro metodo sviluppato con Alberto Castellani. Senza gioia non si può esprimere il proprio potenziale. Simone, in quel momento, era sopraffatto da emozioni negative: tristezza, paura e rabbia. Tre sentimenti che andavano in direzione opposta rispetto alla gioia.

    Siamo partiti proprio dalla gioia, focalizzandoci sulle cose belle: cosa l’aveva spinto a iniziare a giocare? Cosa poteva fare per divertirsi di più? Attenzione, non per vincere o risalire in classifica, ma per divertirsi. Da lì i risultati sono iniziati ad arrivare. Il segreto è stato tornare a concentrarsi sul piacere di giocare, e non sulla pressione del risultato.

    Alessio Fiorucci e Simone Agostini

    Quale consiglio principale daresti ad un giovane atleta sotto il profilo mentale per diventare un bravo tennista?

    Il consiglio principale è lavorare sulla voglia di migliorarsi. È importante distinguere tra la voglia di vincere e quella di migliorarsi. Spesso sento genitori dire frasi come: “Non importa se mio figlio non vince, basta che si diverta.” Ma nella realtà, a tutti i genitori importa se il proprio figlio vince o perde, ed è normale.

    Il punto, però, è insegnare ai ragazzi a focalizzarsi sul miglioramento. I grandi campioni non parlano mai di vincere, ma di crescere. Toni Nadal dice spesso che l’obiettivo è la performance, non il risultato. Lo stesso Jannik Sinner ripete spesso questo concetto: se migliori ciò che fai, la vittoria sarà una conseguenza.

    Un esempio illuminante è Rafael Nadal. Quando vinse il suo primo Australian Open, la prima cosa che Toni Nadal gli disse fu che doveva migliorare alcuni aspetti del suo gioco per poter competere con Federer. Non si trattava di migliorare per vincere, ma per esprimere il meglio di sé e continuare a crescere.

    Se un atleta si concentra solo sul vincere, rischia di perdere la motivazione nei momenti difficili. Capita a tutti di attraversare periodi bui in cui i risultati non arrivano. Ma se l’obiettivo è migliorarsi, anche una sconfitta può diventare un passo avanti. Ecco perché consiglio sempre ai giovani di puntare sul miglioramento e sulla performance. Se giochi bene, la vittoria arriva automaticamente.

    Come divideresti il tennis tra fisico, mente e tecnica?

    La mia risposta potrebbe essere controversa, ma la spiegherò: considero fisico e tecnica come un 50%, mentre la mente viene prima di entrambi.

    Perché la mente viene prima? Nel nostro metodo di coaching emozionale tutto parte dalla predisposizione mentale. Se un atleta ha paura – del maestro, del giudizio altrui o di fallire – non può migliorare né tecnicamente né fisicamente. La paura genera tensione nel corpo, e la tensione impedisce di esprimere il massimo potenziale.

    Al contrario, se l’atleta si allena con gioia, il corpo risponde in modo più fluido, i movimenti diventano come una danza. Questo migliora sia la tecnica che la forza fisica. Pensiamo a un giocatore che vorrebbe allenarsi tre volte a settimana ma è costretto a farlo cinque volte controvoglia. Se non c’è motivazione mentale, non ci sarà nemmeno miglioramento fisico o tecnico.

    Il segreto sta nel raggiungere quello stato di flow, in cui mente ed emozioni sono allineate. È in questo stato che un giocatore esprime il meglio di sé. Ci sono atleti, come Sinner o Nadal, che sembrano nati con una predisposizione mentale straordinaria. Nel caso di Nadal, suo zio Toni è stato sia allenatore che mental coach, trasmettendogli questa filosofia di crescita continua.

    In conclusione, la mente è il punto di partenza, seguita da tecnica e fisico. Senza un approccio mentale adeguato, nessun miglioramento sarà possibile, né sul piano tecnico né su quello fisico.

    Come hai allenato la concentrazione con Simone?

    Con Simone, oltre al lavoro iniziale per aiutarlo a ritrovare la gioia di giocare, ho introdotto un elemento fondamentale del mio metodo: la visualizzazione evolutiva. Si tratta di un audio specifico che gli ho consigliato di ascoltare regolarmente. Questo strumento aiuta il giocatore a mettersi in contatto con il proprio talento, a sentirsi più sereno, forte e sicuro di sé. Simone lo utilizza spesso ed è diventato parte integrante della sua routine, come lui stesso potrà confermare.

    Dopo aver consolidato questa base, ho lavorato sulla concentrazione, utilizzando la visualizzazione e proponendo una serie di esercizi pratici che poteva svolgere anche durante i tornei. La concentrazione, infatti, è cruciale per un atleta, ma spesso è fraintesa.

    Faccio un esempio pratico: quante volte vediamo coach che, dal proprio angolo, urlano al giocatore “Attento! Stai concentrato!”? Ma cosa significa esattamente? Attento a cosa? Al servizio, all’avversario, al vento, alla respirazione, alla palla? Questi messaggi generano solo confusione.

    Alberto Castellani lo sottolinea spesso nei suoi corsi e nei suoi libri: molti coach non conoscono realmente la differenza tra concentrazione e attenzione. La concentrazione è un insieme, un involucro che racchiude le diverse attenzioni. L’attenzione, invece, è il focus su qualcosa di specifico: ad esempio, la palla, il movimento dell’avversario, il respiro.

    Un coach deve saper distinguere e spiegare queste dinamiche al proprio atleta. Urlare genericamente “Stai attento!” non serve se non si indica con chiarezza a cosa rivolgere l’attenzione.

    Cosa consiglieresti a un coach o maestro che vuole aiutare un giocatore?

    Il mio consiglio principale è mettere l’atleta nelle condizioni di essere sincero con se stesso e con il proprio allenatore. Questa è una condizione fondamentale per lavorare insieme.

    Ti faccio un esempio concreto. Recentemente, durante un match tra Shelton e Kokkinakis, Shelton ha sbagliato un lungolinea cruciale, mandando la palla in corridoio. Il commentatore ha definito l’errore “tattico”. Ed è vero, tatticamente era sbagliato. Ma la vera domanda da porsi è: perché ha fatto quell’errore tattico?

    Molto spesso, dietro una scelta tattica sbagliata c’è la paura. Magari Shelton è scappato dallo scambio perché aveva paura. Ma come fai a capirlo? Devi chiederglielo, e lui deve essere sincero con te e con se stesso. Questo è possibile solo se il coach riesce a creare un rapporto autentico, basato sulla fiducia.

    Un allenatore non può aiutare un atleta se quest’ultimo non si lascia aiutare. Non abbiamo la bacchetta magica. Per questo è fondamentale lavorare sulla sincerità: il giocatore deve sentirsi libero di esprimere ciò che prova e pensa.

    Un’altra cosa importante: la prima domanda che un coach dovrebbe fare non è “Cosa pensi del tuo colpo?” o “Come vedi il tuo gioco?”, ma piuttosto “Cosa senti?” o “Come ti senti?”. Capire come l’atleta si sente emotivamente è essenziale per individuare l’emozione dominante e lavorare su di essa. Una volta identificata, il coach può sintonizzare il giocatore sull’emozione giusta e aiutarlo a crescere.

    Con Simone ho adottato proprio questo approccio. Ogni sessione di mental coaching, anche a distanza, iniziava sempre con questa domanda: “Come ti senti?”. Dal suo stato emotivo costruivamo il lavoro successivo, puntando a rafforzare le emozioni positive e a gestire quelle che lo ostacolavano.

    Grazie a Simone ed Alessio per questa intervista doppia, sincera e ricca di spunti interessanti per migliorare il tennis di tutti noi Talkers, professionisti e non

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