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    Tre italiani in semifinale all’ASPRIA Harbour Club

    Derby tra Gigante e Darderi e uno splendido Flavio Cobolli, che batte Tirante e sfiderà Diaz Acosta

    Facundo Diaz Acosta sarà l’unico straniero in semifinale all’ASPRIA Tennis Cup – Trofeo BCS (73.000€, terra battuta).

    Al termine di una giornata lunghissima, l’Italia ha piazzato tre elementi nella Final Four.

    La vittoria più bella – anche perché è arrivata nel match più atteso – l’ha firmata Flavio Cobolli, bravo a battere in tre set Thiago Agustin Tirante.

    C’era grande curiosità, visto che i due avevano espresso il miglior tennis della settimana. L’ha spuntata la brillantezza di Cobolli, più propositivo, più desideroso di conquistare il punto senza attendere l’errore altrui.

    “Cobbo” ha sigillato il match con una fiammata di dritto lungolinea, e ha chiuso con il punteggio di 6-4 3-6 6-3.

    Cobolli sfiderà Diaz Acosta nella prima semifinale di oggi (secondo match, si parte alle 13.30 con la finale del doppio), mentre l’altro match vedrà impegnati Matteo Gigante (che ha seguito in tribuna il terzo set dell’amico Cobolli) e Luciano Darderi.

    UN ARGENTINO COME “GUASTAFESTE”

    Scorrendo l’albo d’oro, si trovano tre argentini. Federico Coria è il campione in carica, poi in passato hanno vinto Federico Delbonis e Guido Pella, eroi del trionfo in Coppa Davis nel 2016.

    È proprio la Davis uno dei sogni di Facundo Diaz Acosta, uno dei nuovi esponenti di un Paese di grande tradizione, a caccia dei fasti di un tempo. Numero 115 ATP, è la testa di serie numero 1 ed è approdato in semifinale senza perdere un set.

    Il nativo di Buenos Aires, 23 anni da compiere in dicembre, è reduce da una stagione spettacolare: fuori dai top-200 a inizio anno, ha dimezzato la sua classifica e potrebbe portarla a due cifre in tempi brevissimi. 

    Facundo Diaz Acosta – Foto Francesco Peluso

    “Contro Onclin è stata una partita molto fisica, inoltre ero piuttosto nervoso – ammette Diaz Acosta, vincitore col punteggio di 6-4 6-3 – c’erano umidità e un gran caldo, si sudava moltissimo. L’obiettivo era restare concentrato sulla partita e non su fattori esterni, oltre ad adottare la tattica giusta. Per fortuna sono rimasto concentrato nei momenti difficili, ho trovato il mio miglior tennis quando serviva e ne sono felice. Sto vivendo una bella stagione, ma non è che abbia fatto niente di diverso durante la preparazione – racconta – semplicemente sto crescendo e acquisendo esperienza. In questo modo, arriva il livello giusto e cresce la fiducia”.

    Anche Un altro argentino, Tomas Etcheverry, quartofinalista al Roland Garros, un anno più grande di Diaz Acosta, è transitato da questo tipo di tornei. Quando viene chiesto a Diaz Acosta se pensa di poter diventare il nuovo Etcheverry, fa un sospiro. Ci pensa un attimo, poi dice: “Sì… ma ognuno ha la sua crescita, il suo cammino. Con Tomas ci conosciamo sin da bambini, così come con Francisco Cerundolo e Sebastian Baez. Abbiamo giocato tanto insieme, quindi è possibile che mi senta più vicino al traguardo perché lui l’ha raggiunto, ma ognuno ha le sue difficoltà da superare”.

    IL SOGNO OLIMPICO DI FACUNDO

    Per riuscirci, Diaz Acosta si affida da dieci anni all’accademia di Mariano Monachesi e Mariano Hood, nel quartiere Nunez di Buenos Aires, a due passi dello stadio del River Plate. A Milano è accompagnato da Juan Manuel Tiscornia, uno dei coach dell’accademia, ma il contatto con la base è costante. Una volta, Hood disse che ogni tanto Diaz Acosta si dimentica di essere mancino, e quando accade diventa più debole. 

    “Lavoriamo insieme da dieci anni, e in effetti è qualcosa su cui mi impegno da tempo – dice il bonaerense – sul piano tattico devo sfruttare il fatto di essere mancino, utilizzando molto il dritto e massimizzando il servizio”.

    Vedendolo giocare, in effetti, viene in mente proprio Guido Pella, vincitore a Milano sei anni fa e capace di ottenere grandi risultati nel circuito maggiore. 

    “Beh, lui ha un gran rovescio, migliore del mio – si schernisce Diaz Acosta – io provo a comandare un po’ di più lo scambio e usare di più il dritto. Può essere un gioco simile, ma qualche differenza c’è. Una carriera come la sua? Lui è stato spettacolare, ma non so se firmerei: si spera sempre di fare il massimo. Tra l’altro sta rientrando, ha raggiunto il terzo turno a Wimbledon… diciamo che mi piacerebbe molto entrare tra i top-30”.

    Per riuscirci, tuttavia, dovrà giocare parecchi tornei sul cemento. Per adesso, quasi tutti suoi 548 punti ATP sono arrivati sulla terra battuta. 

    “Nel circuito Challenger c’è una maggiore possibilità di scelta nella programmazione – racconta – oggi mi conviene privilegiare la terra battuta, perché in Argentina si gioca e ci si allena soprattutto sul rosso. Però posso giocare bene anche sul cemento: nei pochi tornei che ho giocato mi sono trovato bene. Ho lottato con Garin, ho perso al terzo con Hanfmann… se ci gioco un po’ di più posso sicuramente fare bene”

    Quando si parla di obiettivi, Diaz Acosta parla da… proletario della racchetta, senza eccedere in voli pindarici.

    “Quest’anno vorrei mantenere questo livello, giocare tante partite e vincere anche giocando male. In fondo è la differenza con il 2022: l’anno scorso vincevo solo quando giocavo bene, ma una delle cose più importanti nel tennis è vincere anche quando non sei in giornata. Diciamo che vorrei andare avanti così e, se Dio vorrà, chiudere l’anno giocando i tornei ATP. Però sono sereno, non è qualcosa che mi toglie il sonno”.

    Facundo non riesce a staccare i piedi da terra nemmeno quando si parla di sogni: “Beh, io amo molto la Coppa Davis e giocare per l’Argentina…”.

    D’altra parte ha vinto l’argento alle Olimpiadi giovanili e l’oro ai Giochi Sudamericani, quindi ha già assaporato il peso della maglia albiceleste. 

    “L’anno prossimo ci sono le Olimpiadi a Parigi. Ecco, arrivare a giocarle sarebbe davvero un bell’obiettivo…”

    IL DERBY-MARATONA VA A MATTEO GIGANTE

    L’atteso derby azzurro tra Luca Nardi e Matteo Gigante è stata la battaglia che ci si attendeva. Oltre due ore e quaranta minuti di partita hanno premiato quest’ultimo, vincitore col punteggio di 4-6 7-6 6-4.

    Gigante l’ha vinta di grinta, voleva portarla a casa a tutti i costi e c’è riuscito, mostrando una condizione atletica migliore rispetto all’avversario, che pure ha lottato fino all’ultima palla e – soprattutto – è arrivato a un passo dalla vittoria. 

    Nardi ha avuto un matchpoint nel tie-break del secondo set, sul quale può avere qualche rimpianto: ha voluto liberarsi dallo scambio con una smorzata, che però gli è uscita troppo lunga. Gigante ci è arrivato, e il pallonetto del pesarese è finito lungo.

    Matteo Gigante – Foto Francesco Peluso

    Una smorzata – stavolta vincente – di Gigante ha chiuso il secondo set, poi c’è stata ancora battaglia nel terzo, nel quale Nardi ha sciupato troppe occasioni: prima è stato avanti 3-1, poi si è fatto riprendere (il sesto game è durato 18 punti) e superare. Ha avuto un sussulto d’orgoglio riagganciando l’avversario sul 4-4, ha avuto la chance del 5-4 ma non l’ha sfruttata, incassando l’ennesimo break. Nell’ultimo game annullava un matchpoint con uno splendido rovescio incrociato, ma si arrendeva un minuto dopo, trafitto dal settimo ace di Gigante. 

    Bello l’abbraccio tra i due, sigillo di una partita giocata in un clima molto sereno, tra scuse dopo ogni punto fortunato e punti restituiti. “

    Giga”, diceva Nardi verso il suo avversario, “Lu” replicava Gigante quando si rivolgeva a Nardi.

    È forse questa la cartolina più della di una partita che Gigante ha meritato per la tigna messa in campo, oltre all’intelligenza nel comprendere la stanchezza dell’avversario e riempirlo di palle corte nel terzo set.

    Rimane la sensazione che Nardi abbia qualcosa in più nel suo bagaglio tecnico, ma a tennis non si vince soltanto con i bei colpi. Ci vuole ben altro. Qualcosa che proverà a mettere in campo Luciano Darderi, che ha passeggiato contro Lautaro Midon.

    Luciano Darderi – Foto Francesco Peluso

    Un 6-2 6-0 in un’ora esatta, specchio fedele della netta superiorità di Darderi sull’avversario, che peraltro ha commesso molti falli di piede, puntualmente ravvisati, mentre nel turno precedente era stato un po’ graziato. 

    L’Italia, dunque, è certa di avere almeno un finalista all’ASPRIA Harbour Club, ma sogna una finale tutta azzurra come non è mai capitato nelle sedici precedenti edizioni.

    (Fonte: Ufficio Stampa ASPRIA Tennis Cup – Trofeo BCS)

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