Sinner e Alcarz hanno praticato per tutto l’anno uno sport a parte. Musetti dentro dal buco della serratura per merito di Djokovic, che si considera oltre le regole ma finisce per sfondare il muro del buon senso
Sembra ieri che facevamo le notti per seguire l’Australoian Open, il primo torneo coperto integralmente dalla nuova redazione del Magazine di Tennis Talker. E in un baleno eccoci qua – come vola il tempo quando ci si diverte – pronti a commentare le Finals, l’evento che impacchetta la stagione pochi giorni prima che la fase decisiva della Coppa Davis la infiocchetti.
E allora, che Finals saranno non si sa, anche se si ha un sospetto persistente alquanto. Jannik Sinner, il detentore del coppone, non perde una partita sotto un tetto dall’ultimo atto delle ATP Finals 2023 contro Novak Djokovic, il convitato di pietra di questa edizione sul quale varrà la pena spendere qualche parolina più tardi. In ogni caso, il numero uno del mondo al coperto è una sentenza: “Gioca sostanzialmente a Ping Pong,” ha sentenziato Carlitos Alcaraz dopo la scampagnata al Six Kings Slam, nella cui finale il rosso da Sexten lo ha sculacciato brutalmente.
Sinner favorito d’obbligo, quindi, mentre lo sculacciato d’Arabia è l’ovvio sfidante, perché la parola sfavorito male avvolge la figura di un personaggio da 67 vittorie e 8 sconfitte nel 2025 con otto titoli vinti due dei quali ad altezza Slam. Carlitos domina il girone “A”, quello intitolato a Jimmy Connors detto Jimbo, dove trova posto, oltre a Taylor Fritz e Alex De Minaur, pure Lorenzo Musetti, infine catapultato a Torino al termine di una settimana paradossale.
Dopo l’inopinata – e rischiosetta – decisione di non andare a Metz a mettere al sicuro la qualificazione, Felix Auger-Aliassime, lunedì scorso ottavo nella Race e provvisorio titolare dell’ultimo slot che qualificava alle Finals, si è messo davanti alla tv a sperare che Lorenzo, l’unico in grado di sfilargli il pass dal collo, non vincesse il torneo, evento che avrebbe spedito il carrarino in Piemonte e il canadese a casa.
Sul Pireo, “Muso” è arrivato all’ultimo atto, trovando dall’altra parte della rete Novak Djokovic, l’organizzatore del torneo e padrone di casa, avendo il ventiquattro volte campione Slam eletto Atene a nuova dimora in aspra polemica con le alte istituzioni politiche e sportive serbe.
Ora, qui la matassa si è ingarbugliata parecchio: la presenza di Nole alle Finals prima è stata confermata dai corifei del movimento tennistico italiano, poi messa in dubbio dal giocatore stesso a stretto giro di posta e infine sfumata per davvero pochi secondi dopo la stretta di mano in coda alla finale del 250 greco, quando Djokovic ha sussurrato a Musetti, il quale a causa della sconfitta non sarebbe entrato nei primi otto di un soffio, la seguente, significativa asserzione: “Non ti preoccupare, tanto io a Torino non ci vado“.
Tutti contenti, dunque, autorità della pallina gialla italiane a parte, com’è ovvio: le Finals che si giocano in Italia hanno in effetti sì guadagnato un partecipante italiano in più, sacrificando però la numinosa presenza della leggenda da Belgrado, nella circostanza esacerbante il proprio profilo d’uomo che non deve chiedere mai.
E vanno bene la veneranda età, la carriera in effetti documentata e archiviata, oltre a tutto ciò che il giocatore sente di aver dedicato al tennis in vent’anni di onorata e titolatissima dedizione. Ma Nole, nonostante avesse in effetti dichiarato che una decisione sarebbe stata presa solo in extremis, di andare alle Finals non ci pensava proprio. E perché avrebbe dovuto, dal suo punto di vista? Per perdere, fosse andata bene, contro Sinner o Alcaraz in semifinale? A quale pro? Scelta sua, e qui non si ha titolo alcuno per giudicarla.
Magari, ecco, quell’arietta da de minimis no curat praetor ce la saremmo volentieri risparmiata, e il rispetto di pubblico, avversari e organizzatori avrebbe suggerito di comunicare la decisione almeno cinque minuti prima del sorteggio dei gironi.
Per il resto, tra tennisti assenti e in analisi (Tsitsipas, disperso, Medvedev, un filo ridestatosi ma troppo tardi per agganciare il treno per Porta Nuova) o infortunati (Rune, Draper), tutti i presenti meno due, i soliti, proveranno a guastare la festa agli allibratori e ai responsabili marketing dell’ATP, che già pregustano il diciassettesimo capitolo della premiata saga Sinneraz, auspicabilmente in finale, con in palio, oltre al diploma di maestro, anche l’ambita poltrona di numero uno al mondo di fine anno.
Sascha Zverev, Taylor Fritz, Ben Shelton, Alex De Minaur, Felix Auger-Aliassime e Lorenzo Musetti stanno davanti alla cattedra, seduti ai loro banchi, con poche possibilità di fare il grande salto professionale. E del resto, forse un po’ cinicamente, vale la pena qui di ricordarlo: nel ranking ATP tra il numero due e il numero tre del mondo ci sono 5690 punti di differenza. Il numero tre, Alexander Zverev, di punti totali ne può vantare 5560. I conti saranno pure freddi e forse non spiegheranno del tutto come e perché finalmente siamo arrivati a Torino, ma qualche conclusione, pure asprigna, di sicuro invitano a trarla.



