Il veterano francese sfida Sinner a Cincinnati con il suo tennis anomalo, una lingua affilata e il solito sguardo di chi passa di lì per caso
A guardarlo da bordo campo, Adrien Mannarino ha l’aria di uno che si è appena svegliato e ha infilato la maglietta per sbaglio al contrario. Sguardo ancora assonnato, passo lento, gesti appena accennati: eppure, dietro l’aspetto di chi si appresta a trascorrere la mattinata a guardare le repliche dei telefilm anni ’80 in TV, si nasconde uno dei più longevi e particolari mestieranti del tennis contemporaneo. Trentasette anni, numero 89 del mondo, oltre seicento match giocati tra i professionisti, cinque titoli e undici finali in carriera: e soprattutto la capacità, rara e un po’ misteriosa, di restare competitivo in un circuito che negli ultimi quindici anni ha visto cambiare materiali, superfici e generazioni.
Il gioco di Mannarino è un piccolo paradosso ambulante. Mancino, con un rovescio bimane quasi piatto e un diritto che sembra disegnato per negare agli avversari il ritmo di cui hanno bisogno, si muove con un’economia di sforzi che lo fa apparire pigro. Non lo è affatto: il francese predilige le traiettorie basse, i tempi rovesciati, la sensazione di togliere sempre un battito allo scambio. Il servizio non è potente ma è preciso, e il suo tennis è l’esatto contrario di quello che oggi viene insegnato nei centri federali.
Con Jannik Sinner la storia comincia a Sofia, novembre 2020: semifinale sul cemento indoor bulgaro, vinta dall’italiano in due set. Sinner avrebbe poi conquistato in finale contro Vasek Pospisil il primo titolo ATP della sua carriera, diventando il più giovane italiano di sempre a riuscirci nell’Era Open. Da allora, due soli altri incroci – Montreal 2022 e Indian Wells 2023 – sempre chiusi dall’italiano, sempre senza perdere un set. Sulla carta, il pronostico della sfida in programma nella serata italiana a Cincinnati non ha bisogno di essere spiattellato da un indovino professionale.
A dicembre 2024 Mannarino aprì bocca, e fece più rumore del previsto. Intervistato da RMC, commentò salace i casi delle positività che avevano travolto Sinner e Swiatek e non si peritò di far sapere la propria: “Non credo più a Babbo Natale. Concedo il beneficio del dubbio, ma due sono stati i positivi pescati negli ultimi tempi tra i primi 300 al mondo e sono i due numeri 1 delle rispettive classifiche? Strano”.
Non pago, l’opinionated Adrian arricchì il piatto della polemica facendo esplicito riferimento alla “messa in scena” della federazione per far passare Jannik e Iga come vittime: “Io ogni mattina mi sveglio e zoppico. Se a quell’età devo giocare contro ventenni che forse non sono puliti, diventa più complicato,” aggiunse a suo modo piccato. Sibillino e tranchant in egual misura, mezza dose e mezza dose, prego si metta l’ombrellino nel cocktail.
A Cincinnati Mannarino incontra Sinner nel suo elemento naturale: Jannik ha appena allungato a 23 la striscia di vittorie consecutive sul cemento, una serie che lo colloca accanto ai miti Federer, Nadal, Djokovic e Murray nella categoria “mostri sul duro”. Non si sa quanta voglia di vendetta si sia annidata nel sistema del kid di Sesto Pusteria nel frattempo, ma in ogni caso l’istrionico nativo di Soisy-sous-Montmorency dovrà provare a imporre il celebre antiritmo della casa per sperare di ingarbugliare il match, ed evitare che le tredici primavere in più sul groppone finiscano a sfrigolare nel forno di Mason, Ohio.
Mannarino, uno che sembra sempre passare di lì per caso, è uno che difficilmente canta vittoria, e nel caso specifico sarebbe un folle anche solo a pensare di farlo, ma nemmeno piange sconfitta: semplicemente, egli scrive ogni volta una partitura diversa, quasi di nascosto. Adrian, per giunta, è certo una creatura governata dalla luna: per capire se questa notte potrà essere diversa, basterà guardarlo fare pochi passi, quasi apatico, e chiedersi se quel “quasi” non nasconda un diabolico progetto per guastare la festa a tutti.