Sette Masters 1000 su nove sono ormai eventi da dodici giorni di durata, ma l’allungamento coincide con l’aumento delle rinunce. I tornei dei Maestri pagano le loro stesse ambizioni. E a Toronto non ci va nessuno
C’è un tennis che si racconta come “quinto Slam” e un tennis che si sfalda ai margini. Feliciano López ha dichiarato che “il Mutua Madrid Open è praticamente un Grande Slam”; Gerard Tsobanian ha rilanciato: “Perché limitarci a uno Slam? Voglio un Super Slam”. Angelo Binaghi ha attaccato “un monopolio che dura da oltre 100 anni” e sottolineato che non si rassegnerà a stare dietro ai quattro grandi eventi della racchetta mondiale.
Tommy Haas, a Indian Wells, ha semplicemente abbracciato un’etichetta che il torneo californiano si è guadagnato per durata, tabellone, infrastrutture: “Il quinto Slam”. Le parole degli altri hanno invece costruito un immaginario; il calendario allungato lo ha trasformato in un problema fisico. L’ultimo torneo dei Maestri mutilato, e inconsolabile, è quello di Toronto, al via tra una manciata di giorni: no Sinner, no Alcaraz, no Djokovic, no Draper, no Berrettini e da stamane nemmeno Dimitrov né Paul. I seconda categoria all’ascolto tengano il telefono acceso e vicino: potrebbero ricevere una chiamata dagli organizzatori del disgraziatissimo Open del Canada prossimo al via.
Nel 2023, convertendo in legge un ingordo, spericolato e anche un po’ cervellotico proposito già da tempo nei sogni dell’intellighenzia della pallina, l’ATP ha prolungato a dodici giorni la durata dei Masters di Madrid, Roma e Shanghai; una riforma che ha coinvolto a strascico anche l’ex Rogers Cup, per l’appunto, e il “1000” gemello di Cincinnati, passati alla taglia XXL quest’anno. Sette Masters su nove hanno dunque ormai sforato lo storico limite della settimana di gara, in cui si sentivano oltremodo costretti, lasciando Monte‑Carlo e Parigi‑Bercy come ultimi esemplari della categoria a disputarsi sulla breve distanza. L’operazione ha avuto senso commerciale (più sessioni, più biglietti, più tv), ma ridotto gli spazi di decompressione dei giocatori. Lo hanno detto loro, i protagonisti, per primi.
Andy Murray ha spiegato di “non essere un grande fan” dell’estensione perché “i tornei più lunghi ovviamente comprimono il già risicato tempo di recupero a disposizione dei tennisti, che devono pure fare i conti con una off season sempre più corta”. Taylor Fritz ha definito il calendario “insostenibile” dopo aver preso atto della raffica di rinunce a Toronto 2025. Sir Andy ha tenuto ad aggiungere una considerazione apparentemente scontata, ma non per questo meno importante: “I tornei di una settimana erano fantastici, ora il recupero avviene durante i tornei stessi, ma quello non è vero riposo”.
Dentro questo nuovo paesaggio, abbiamo contato e verificato le defezioni dei nuovi eroi della racchetta, rapportandole al numero di Mille saltati dai Fab Four, che non hanno calcato i campi cinquant’anni fa, ma l’altro ieri. Jannik Sinner, tra i 20 e i 24 anni (2021‑2025), ha mancato quattro Masters 1000 per ragioni mediche o di gestione fisica, evidentemente non contando quelli che il numero uno del mondo è stato costretto a saltare a causa della squalifica comminatagli dalla WADA: Madrid 2023 (forma influenzale), Roma 2024 (anca), Parigi‑Bercy 2024 (virus), Toronto 2025 (recupero). Carlos Alcaraz, tra i 20 e i 22 anni (2023‑2025), ne ha saltati cinque: Monte‑Carlo 2023 (mano/schiena), Monte‑Carlo 2024 (avambraccio), Roma 2024 (avambraccio), Madrid 2025 (adduttore), Toronto 2025 (recupero fisico e mentale).
Alexander Zverev e Taylor Fritz, nella stessa finestra anagrafica (2017‑2021), non hanno prodotto sequenze paragonabili di forfait pre‑evento nei Masters 1000. Zverev ha pagato dazio più tardi, dopo il grave danno alla caviglia procuratosi durante la semifinale del Roland Garros 2022, ma quello è stato un infortunio traumatico – traumatico in tutti i sensi – e la stanchezza contava nulla, mentre Fritz ha dato un forfait “pesante” nei 1000 solo dopo i 24 anni (Parigi‑Bercy 2023, problema addominale).
Spostando lo sguardo sui fenomeni della generazione precedente, tra i 20 e i 24 anni Novak Djokovic ha saltato due Masters 1000 (Monte‑Carlo e Shanghai 2011, ginocchio e schiena), Andy Murray altri due (Monte‑Carlo 2007 per la schiena, Shanghai 2009 per il polso), Rafael Nadal tre (Amburgo e Parigi‑Bercy 2006, Parigi‑Bercy 2010), Roger Federer qualcuno in più, sette, tra il 2004 e il 2005, ma concentrati in due stagioni e legati a infortuni specifici, non a un sistema allungato. Quella generazione ha giocato quando i 1000 duravano sette giorni: si arrivava tardi, si usciva presto, si aveva il tempo di allenarsi fra un evento e l’altro.

Quando Binaghi ha invocato la fine del “monopolio” degli Slam e López ha definito Madrid uno Major de facto, i due hanno parlato la lingua della politica sportiva. Quando Tsobanian ha sognato il “Super Slam”, ha mostrato il vero perimetro della partita: se la porta istituzionale è chiusa, si prova a scavalcarla con il marketing, la durata, i tabelloni a 96. Tommy Haas non ha avuto bisogno di alzare la voce: Indian Wells ha fatto da sempre ciò che gli altri stanno provando a imitare adesso. Ma mentre la narrazione ha venduto più giorni, più biglietti e più contenuti, i più quotati attori sulla piazza hanno risposto con più forfait. È accaduto ai ventenni di oggi più di quanto fosse accaduto ai ventenni di ieri. Non è un terremoto casuale: è una conseguenza strutturale.
Murray ha ricordato ai colleghi che “si può sempre scegliere di non giocare”, accettando lo zero in classifica. Vero, ma già nelle immediate retrovie dei primissimi in classifica non tutti sono disposti a un simile bagno di sangue (e di punti). Sinner e Alcaraz lo hanno fatto più volte prima dei 25 anni. Djokovic e Murray lo hanno fatto molto meno. Nadal lo ha fatto un po’ di più, ma in un’epoca in cui il calendario gli lasciava vie di fuga. Federer ha avuto un biennio nero, ma non è stato schiacciato da un sistema diverso: è stato tradito dal corpo dentro quel sistema. Oggi la propaganda del “quinto Slam” ha vinto la battaglia del racconto; la statistica dei forfait ha cominciato a raccontare il resto.