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    “A Wimbledon non si muore” – Il realismo tagliente di Mischa Zverev e l’arte di sgonfiare il dramma

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    Mischa Zverev, fratello maggiore del numero 3 ATP, ha inteso commentare le cupissime dichiarazioni rilasciate da Sascha dopo l’eliminazione patita al primo turno di Wimbledon: “È la prima volta che lo sento dire cose del genere”

    Mischa Zverev, fratello maggiore e sovente voce di equilibrio nel caos mediatico che circonda il numero 3 ATP, ha commentato oggi le dichiarazioni intrise d’infinita tristezza rilasciate da Sasha – “ho perso la gioia, mai così vuoto in vita mia” – dopo la sconfitta al primo turno di Wimbledon patita per mano di Arthur Rinderknech: “Sta bene, è triste ma va bene,” ha detto Mischa riferendosi alla condizione del fratellino. Parole asciutte, quasi da sparring partner, eppure cariche di un sottile messaggio che ambirebbe, o almeno questa è la percezione, trasmettere un boost di tenacia al disperatissimo Alexander.

    In un mondo sportivo che amplifica l’eco dei malesseri emotivi, l’intervento di Mischa suona quasi come una terapia famigliare pubblica. Con pragmatismo, quasi con leggerezza, Mischa ha sottolineato come lo sconforto del fratello, pur reale, non debba essere drammatizzato. “È la prima volta che lo sento dire cose del genere,” ha ammesso, con la franchezza di chi conosce bene Sascha e le sue tempeste interne. “È deluso, ma non c’è da preoccuparsi,” ha poi causticamente aggiunto l’ex numero 25 del ranking quasi a voler riportare la vicenda sulla giusta scala di valori. “Non è il caso di fare drammi: la vita è difficile, certo, ma molto più dura per i bambini in Africa che per chi gioca a Wimbledon.

    Parole che sembrano tagliare corto, ma che in realtà offrono una prospettiva preziosa. Non si tratta di sminuire il crollo emotivo di Sascha, quanto piuttosto di contestualizzarlo. “Dopo la sconfitta, era molto giù. Ma chi lo conosce sa che a volte esagera nelle reazioni. Gli serve solo un po’ di tempo.” La fermezza di un fratello maggiore, ma anche l’ironia disincantata di chi ha vissuto il tennis dall’interno, con la consapevolezza che il campo è una prigione solo se ci si chiude dentro.

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    Lungi dal volersi mettere in cattedra, Mischa ha invitato tutti, anche e soprattutto il fratellino, a ridimensionare il dramma. “Siamo fortunati. Chi gioca a tennis a questi livelli vive in un mondo privilegiato. Le vere difficoltà stanno altrove.” In quella frase c’è il senso di una generazione, e di una de-generazione, cresciuta tra racchette e realtà, tra classifiche e condizionamenti percettivi. Una visione del mondo che non assolve, ma restituisce proporzione.

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