Roberto Marcora è stato il compagno d’allenamento in Costa Azzurra del numero uno del mondo durante la squalifica: “L’ho visto sereno, per Jannik la stagione è appena iniziata”
Jannik Sinner è tornato dalla squalifica tirato a lucido: certo, manca il ritmo partita; certo, quei due set point nella prima frazione della finale degli Internazionali con Carlos Alcaraz avrebbero potuto far pendere il match dal verso opposto, qualora convertiti. E quindi certo, il finale da sogno non è arrivato, ma fino a un certo punto: perché tornare a giocare dopo tre mesi di assenza forzata, per giunta dovendo sostenere la pressione del torneo di casa, e nonostante tutto arrivare in finale e giocarsela contro il migliore al mondo sul mattone tritato è roba forte. Roba da Jannik Sinner, appunto.
Dunque, nonostante l’impossibilità di allenarsi all’interno di centri affiliati alle Federazioni con giocatori in attività, il numero uno del mondo si è presentato al Foro ben preparato. Comprensibilmente, gli allenamenti svolti dal tre volte campione Slam nei mesi della squalifica sono stati coperti da stretto riserbo, ma oggi possiamo illuminare un pezzetto del suo percorso grazie a Roberto Marcora, che nel corso di una lunga intervista concessa a Tennis Talker ha svelato di essere stato il compagno di Sinner in due ‘blocchi’ svoltisi in Costa Azzurra in marzo e in aprile. Nella chiacchierata che abbiamo fatto con l’ex numero 150 ATP sono emerse tantissime curiosità che abbiamo il piacere di svelare su queste pagine.
Com’è nata l’idea di farti collaborare con Jannik nei mesi della sospensione?
Innanzitutto ci tengo a dire che io e Jannik abbiamo un ottimo rapporto. Il giorno dopo la notizia della squalifica gli ho scritto un messaggio dicendogli, un po’ scherzando, che se avesse avuto bisogno di me in qualità di sparring sarei tornato a mettermi le scarpe da tennis, ma è finita lì. Poi a inizio marzo mi ha chiamato Vagnozzi (il co-allenatore di Sinner, NdR), che conosco bene perché siamo stati compagni d’allenamento a Milano quando avevo vent’anni e poi mi ha seguito per un periodo mentre allenava anche Cecchinato quando Marco ha raggiunto la semi al Roland Garros, chiedendomi come fossi messo.
Gli ho risposto che se mi avesse chiamato a dicembre gli avrei detto che le condizioni erano drammatiche perché non toccavo la racchetta da tre mesi, ma che in quel momento stavo tornando in forma perché avevo iniziato a preparare la Bundesliga. “Vagno” mi ha chiesto se avessi avuto piacere ad andare a giocare con Jannik, gli ho risposto che sarebbe stato un onore: primo perché se ti chiama il numero uno del mondo non puoi dire di no; secondo perché, come detto, c’è un rapporto di amicizia personale con Sinner, conosco tutto il team e sarebbe stato un piacere passare del tempo con loro”.
Come hai conosciuto Jannik?
La prima volta che l’ho visto è stata nel luglio del 2015 all’Isola d’Elba, dove Riccardo Piatti era solito organizzare degli stage aperti a tutti. Il mio preparatore atletico dell’epoca Alessandro Buson collaborava con Riccardo, quindi sono andato lì con coach Uros Vico per fare una mini preparazione in vista dello swing nordamericano. Un giorno Piatti viene da me e mi dice ‘Roberto, ti faccio palleggiare con un ragazzino che tra qualche anno ti farà fare pochi game‘. Qualche anno dopo, quando Sinner mi ha battuto nella famosa finale al Challenger di Bergamo del 2019, durante la premiazione gli ho ricordato quella previsione, dicendogli che sapevo fosse un grande allenatore, ma non sapevo che fosse anche un veggente: Jannik mi diede 6-3 6-1, in effetti me ne fece fare veramente pochi.
Già da quattordicenne, smilzo e con il cappellino sui lunghi capelli rossi, si vedeva che aveva il talento del predestinato: colpiva facile, la palla gli usciva velocissima dalle corde e aveva la capacità di tenerti sempre con il fiato corto, per via dell’intensità che solo i grandi campioni hanno.
Quasi tutti gli organi di stampa, chiedendosi chi potesse essere il compagno d’allenamento di Sinner, hanno erroneamente divulgato la notizia che il suo sparring non potesse essere un tesserato, quando in realtà le cose non stanno proprio così…
Infatti erano notizie inesatte. Jannik non poteva allenarsi in circoli affiliati e con giocati in attività. Il tesseramento non c’entra. Quando il mio nome è stato trasmesso alla WADA per una valutazione, l’agenzia mondiale antidoping ha verificato che non giocavo una partita da Indian Wells 2023, quindi ero ben lungi dall’essere ‘attivo’. La ratio della regola si fonda sull’impedire al giocatore soggetto a squalifica di essere ‘utile’ in qualsiasi modo a un collega impegnato in competizioni ufficiali. In quel periodo è come se fossi stato squalificato anch’io, ma sarei tornato a giocare in Bundesliga solo ai primi di giugno, periodo in cui la sospensione di Sinner sarebbe stata abbondantemente conclusa.
Come hai trovato psicologicamente Jannik quando sei arrivato in Costa Azzurra?
Ero curioso di vedere come l’avrei trovato, se fosse risentito per il trattamento riservatogli, e invece devo dire che l’ho trovato tranquillo, rilassato, non covava assolutamente rancore. C’era armonia in tutto il team, Jannik ha approfittato per dedicarsi a cose che non ha tempo di fare normalmente vista la vita frenetica da atleta top a cui è sottoposto.
Dico che i tre mesi di stop non sono stati per forza un male. Di solito quando un atleta si ferma per tre mesi è perché è infortunato. Lui non ha avuto nessun infortunio, quindi ne ha approfittato per ricaricare le pile e potrà sfruttare più avanti questo riposo ‘forzato’. Quando si entrerà nella seconda parte di stagione e i suoi avversari cominceranno a essere stanchi e logorati dai viaggi e dalle scorie delle partite, lui avrà questo plus da giocarsi. Già la scorsa settimana agli Internazionali Jannik ha dimostrato di stare bene, deve solo ritrovare il ritmo partita ma non ci vorrà molto, e saprà trarre del positivo anche dal lungo periodo nero che ha dovuto attraversare.
Raccontaci com’è allenarsi con il numero uno del mondo.
Impegnativo, sicuramente, ma per fortuna quando mi sono allenato con lui Jannik era abbastanza lontano dal rientro, quindi i suoi ritmi erano ancora tranquilli. Facevamo una sessione di campo al giorno, che lui integrava con tanta palestra e sedute atletiche. Consideriamo che molti esercizi erano ‘guidati’, dunque avevo il vantaggio di sapere dove mi avrebbe tirato la pallina, perché le rare volte in cui simulavamo un punto vero mi faceva la ‘fotografia’. Del resto è comprensibile: lui ha dodici anni meno di me, è allenato ed è il numero uno del mondo! La sensazione che ho avuto allenandomi con Sinner è simile a quella provata quando mi è capitato di farlo con Djokovic, anche se la palla a Jannik esce più veloce. Ma l’intensità e la sensazione di essere in quinta senza più marce da scalare mentre loro sono in seconda e in pieno controllo è la stessa.
E quindi, in conclusione, come l’hai visto a Roma e quali sono secondo te le prospettive per il resto della stagione?
Ovviamente l’ho visto bene. Arrivare in finale in un torneo così importante dopo tre mesi senza tennis, senza ritmo partita e facendolo tutto sommato facilmente dando tra l’altro 6-0 6-1 a Ruud che aveva vinto il ‘1000’ di Madrid la settimana prima trovo che sia una cosa mostruosa. Jannik non può essere ancora al 100% e forse non lo sarà neanche a Parigi, ma sono molto fiducioso per il resto di una stagione che per lui è appena iniziata, visto che in tutto ha giocato solo due tornei. Sinceramente penso addirittura sia un bene per il tennis che abbia perso la finale a Roma, perché se avesse subito vinto dopo essere stato fermo novanta giorni, battendo Alcaraz e per giunta sulla terra battuta, non sarebbe stata una buona notizia per la loro rivalità. Invece ne abbiamo ancora una e non ci resta che goderci la seconda parte dell’anno.
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