Novak Djokovic non è più Novak Djokovic e le sconfitte, sempre più frequenti, non sono il problema principale. Lo sguardo della belva belgradese non è più quello che a lungo gli ha permesso di vincere le partite nel tunnel degli spogliatoi
Nole è in crisi; Nole non si riprende. Il problema è, se non tutto, almeno in grossa e grave parte racchiuso nella seconda sentenza. Non si riprende, non reagisce. Perché nella storia è capitato, seppur molto di rado, di vedere la leggenda serba in difficoltà, e ci mancherebbe pure. Ma la ferocia nei suoi occhi e l’istinto di ribellione a qualsiasi opzione, anche vaga, di sconfitta, avevano sempre costituito marchi di fabbrica, quasi un appendice al cognome Djokovic.
Sempre, fino alla scorsa estate. Fino all’oro olimpico conquistato sui Campi Elisi, l’ultima grande perla da aggiungere alla sconfinata collezione di casa. Da quel momento, lentamente, quasi senza farsi notare da nessuno, la scimmia è scesa dalla spalla. L’astinenza da titoli, così violenta nell’arco di una carriera irripetibile, subito pronta a ripresentarsi poche ore dopo l’ennesima coppa sollevata al cielo, improvvisamente placata.
Dallo scorso agosto, per l’appunto, Nole è stato Nole quasi solo per contratto; ha timbrato il cartellino un paio di volte, quasi per dovere istituzionale: una finale a Shanghai, una semifinale all’Open d’Australia appena smozzicata e non conclusa; una finale anche a Miami. Ma Novak Djokovic, il ventiquattro volte campione Slam, la bestia da gara che con quello sguardo da lupo vinceva le partite già nel tunnel degli spogliatoi per manifesta superiorità carismatica, negli ultimi nove mesi non è più stato lui, e chissà se lo sarà mai più.
Ci prendiamo il rischio, ma è il bello della diretta: il 2025, senza drastici mutamenti umorali, potrebbe essere l’anno del canto del cigno che ha smesso di essere animale famelico. Il 22 maggio Nole ne farà trentotto, e i segnali mandati negli ultimi tempi non autorizzano pensieri un granché positivi: quella con Arnaldi nel secondo turno di Madrid è stata la terza sconfitta in due set consecutiva subita da Djokovic, dopo quella nell’ultimo atto di Miami contro Jakub Mensik e il tremendo KO a Montecarlo inflittogli da Alejandro Tabilo.
Non solo: il ragazzo da Sanremo ha costretto il proprio idolo d’infanzia a incassare la seconda striscia da tre sconfitte consecutive in stagione, una cosa che non capitava dal Cenozoico: al trittico sopracitato, dobbiamo infatti aggiunge le tre partite consecutivamente perse tra la semifinale di Melbourne e l’esordio a Indian Wells, con in mezzo un altro rovescio occorso al debutto a Doha provocato da Matteo Berrettini. Un disastro di cui non si aveva memoria.
“Spero che la forma migliore arrivi qui (a Madrid, NdR), ma il vero obiettivo è disputare un grande Roland Garros,” aveva dichiarato Nole in un’intervista a margine della consegna dei diplomi Laureus. Sarà possibile, o quantomeno lecito aspettarsi un’improvvisa rigenerazione del recordman di tutto proprio sul campo che gli ha regalato l’ultima grande gioia della carriera? Difficile, veramente difficile, mai come questa volta difficile a dirsi.
Due che se ne intendono, Rennae Stubbs e Paolo Bertolucci, a poche ore di distanza l’una dall’altro, hanno espresso pareri in merito ammantati dall’odore acre del de profundis. L’ex numero uno del doppio, che dopo aver accudito Serena Williams nell’ultimissima fase della carriera di pre-pensionamenti se ne intende, ha provato a camuffare una prospettiva piuttosto chiara dietro a un concetto rassicurante. “Certo che Djokovic ha la possibilità di vincere il venticinquesimo Slam,” ha detto Stubbs, “ma quando perdi così tante partite in fila tutto diventa sempre più difficile. La fiducia non si compra“. Ecco, appunto.
Di simile tenore le parole affidate alla Gazzetta dello Sport dall’eroe della Coppa Davis ’76, da anni apprezzato commentatore di Sky, il cui ragionamento complessivo gira attorno al nocciolo di una domanda decisiva: “Fino a quando Nole accetterà di perdere con avversari che fino a ieri, nei tornei importanti, non potevano nemmeno avvicinarlo?“.
Fino a quando, Nole? L’atletismo esagerato del tiramolla della racchetta, la sua incredibile capacità di spostamento e la resilienza (ci si perdoni il termine orrendo) fisica e psicologica che in tempi non sospetti gli ha permesso di infrangere qualsiasi primato nonostante i trapananti fischi di un pubblico mai disposto ad accettare l’intruso nella romantica tenzone cavalleresca tra Federer e Nadal, sembrano qualità non più rintracciabili in uno sguardo velato, spento, nel quale non si fatica a rintracciare il segnale di una pacifica accettazione della sconfitta.
Il venticinquesimo Slam e il centesimo titolo dietro l’angolo ormai da una vita al momento sembrano chimere; utopie di (in)consistenza lattiginosa; fantasie apparentemente a portata di mano eppure sfuggevoli, inafferrabili e, a dire il vero, ogni giorno più lontane. L’abbandono dei rivali di un tempo, per stessa ammissione di Nole, ha via via ridotto in modo perentorio le prestazioni delle sue ghiandole surrenali, per quanto riguarda la produzione di adrenalina. Una volta il signor Djokovic da Belgrado poteva pescarla da un pozzo senza fondo, inesauribile. Oggi quel bacino sembra prosciugato, secco, arido.
Resta da dire ciò che è ovvio: assecondando la propria etica guerresca, Nole, prima di appendere definitivamente al chiodo l’attrezzo del mestiere, con ogni probabilità un giorno riapparirà mostrando al mondo lo sguardo di un tempo. Per smentire tutti, ancora una volta, l’ultima. Nel caso, l’urna è pronta: conoscendo il personaggio, siamo tutti pronti a cospargerci il capo di cenere.