Alberto Castellani ci spiega perché la parte mentale è sempre più importante nel tennis professionistico e ci svela qualche trucco…
Alberto Castellani è un allenatore di tennis italiano che in 40 anni di attività ha allenato 24 giocatori classificati tra i primi 100 al mondo, tra i quali Rainer Schuettler, Janko Tipsarevic, Marc Rosset, Ivo Karlovic, Hicham Arazi, Damir Dzumhur, Karim Alami, Laslo Đjere e i giocatori italiani Omar Camporese, Francesco Cancellotti, Diego Nargiso e Claudio Pistolesi.
Come allenatore professionista ha preso parte a più di 300 Grand Prix, tornei Challenger, Grand Slam e ATP 1000.
Il 28 agosto 2010 a New York, insieme a 49 top coach di tennis nel mondo tra cui Toni Nadal, Dirk Hordorff, Rainer Schuettler, Larri Passos, Jose Perlas, Boris Sobkin e Marc Gorriz, Alberto Castellani ha fondato la GPTCA (Global Professional Tennis Coach Association), l’unica associazione di coach professionisti certificata dalla ATP Tennis.
Grazie ai successi ottenuti negli anni, nel 2019 è stato tra i candidati agli ATP Career Coach Award per il premio alla carriera, dove si è piazzato al secondo posto dietro a Tony Roche. Sempre nella stessa edizione degli ATP Career Coach Award è stato scelto come miglior Coach non ex-giocatore professionista.
Dagli anni ’90 ad oggi ha pubblicato tre libri: “La preparazione mentale nel tennis” edito da Editori del Grifo, “Tennis Training” edito dalla Società Stampa Sportiva, “Easy Tennis: Giochiamo a Giocare a Tennis” edito da Calzetti e Mariucci.
Oggi dirige la Castellani Academy (www.castellanicademy.com), società fondata insieme al coach e mental coach Alessio Fiorucci, dove propone la sua metodologia d’insegnamento denominata “The Emotional Coaching”. Ci siamo fatti spiegare direttamente da lui di che cosa si tratta.
Buongiorno Coach, posso chiamarla così? Ci racconta a chi si rivolge la Castellani Academy?
Certo che può chiamarmi Coach! Mi identifico in pieno con questa figura. Il problema dell’identità è un problema serio che va trattato attentamente anche nella relazione tra coach e giocatore. Rispondere al “chi siamo” è importante e il definirmi “coach” per me è la cosa fondamentale perché è la mia identità.
Nella mia vita ho fatto e faccio moltissime cose, insegno all’università, ho scritto libri di tennis, poesie, ma non per questo mi identifico come “scrittore”. Quindi, sì certo non solo può chiamarmi coach, ma mi fa anche piacere!
Per rispondere alla domanda a chi si rivolge la Castellani Academy, posso dire che si rivolge alle persone che vogliono apprendere il mio metodo. So che potrebbe sembrare un segnale di poca modestia parlare di metodo, ma ho più di 70 anni e sono tanti anni che lavoro.
Ho chiamato il mio metodo The Emotional Coaching e credo che abbia un’impronta un po’ diversa dagli altri “metodi”. Dopo tanti anni che lo uso, ho deciso di diffonderlo e quindi se ci sono degli insegnanti di tennis, delle scuole di tennis, che vogliono apprenderlo ed usarlo, ora è disponibile online.
Nello specifico, che cosa significa imparare il metodo “The Emotional Coaching”?
The Emotional Coaching parte da un presupposto molto semplice che tutti conoscono, ma che non viene affrontato. Parte cioè dalla considerazione che un qualsiasi gesto sportivo – che sia un tiro a canestro, un tiro in porta, un dritto, un rovescio… – non deve essere considerato solo dal punto di vista meccanico, cioè della muscolatura.
Alla base dell’Emotional Coaching ogni gesto – dritto, rovescio, smash… – è psico-neuro-emozional-muscolare. Quindi essendo l’insieme di tutto questo, non possiamo allenare solo l’ultima parte, cioè quella muscolare.
Durante un match, quando si gioca sotto pressione, entriamo in contatto con una delle quattro emozioni: gioia, paura, rabbia o tristezza.
Dal momento in cui c’è il contatto con l’emozione, dipende la buona o la mal riuscita del colpo. E il colpo che ne risulta sarà completamente diverso.
Non è solo un problema muscolare, bisogna quindi sapere come gestire le emozioni con le quali siamo a contatto in un determinato momento.
E quindi, dato che il dritto e il rovescio, sono un comportamento, dobbiamo considerare l’aspetto emozionale e come gestirlo.
Si parla quindi di intelligenza emozionale, che, come dice il grande psicologo Daniel Goleman, va curata.
Non basta dire “non aver paura” o “non ti arrabbiare”, le emozioni sono dietro l’angolo e in un solo game le possiamo sentire tutte e quattro.
Questo è il presupposto dal quale parte il mio metodo, cioè parlare delle emozioni, come gestirle, come influenzano i nostri gesti e poi, solo in un secondo momento ci sarà anche l’aspetto muscolare perché il gesto, ripeto, è psico-neuro-emozional-muscolare, prima del muscolo c’è l’emozione.
L’allenamento mentale è ormai diventato nel tennis una parte fondamentale per tutti i giocatori professionisti. Secondo lei che ha sicuramente l’occhio clinico, quale giocatore nel corso degli anni ha maggiormente beneficiato di un aiuto mentale?
E’ chiaro che con me sfonda una porta aperta! Ho sempre pensato, detto, ripetuto e ribadito nei miei corsi che la parte mentale è la più importante.
Allenare le abilità mentali è fondamentale, ma purtroppo per ignoranza – nel senso di scarsa conoscenza – da parte dei coach, a questa parte dell’allenamento non viene data l’importanza necessaria. I giocatori stessi ne riconoscono l’importanza. Ma allora perché quindi le abilità mentali vengono trascurate nell’allenamento?
Su chi abbia maggiormente beneficiato di un aiuto mentale, ora probabilmente dirò una cosa che può risultare un po’ strana.
Toni Nadal, pur riconoscendone l’importanza, non si considera un mental trainer. Il suo rapporto con Nadal, ha però avuto un aspetto così profondo e umano che in ogni momento della sua relazione con Rafa è stato un mental trainer.
Quindi, anche se Toni non si considera tale, per me è il più grande mental trainer che io abbia mai conosciuto perché faceva sentire bene Rafa, lo metteva a proprio agio, lo faceva riflettere e tutto questo l’ha fatto crescere.
Quindi la mia risposta è Rafael Nadal.
In percentuale, quanto sono importanti la tecnica, la preparazione fisica e l’aspetto mentale per un giocatore professionista?
Sì questa è uno degli aspetti più importanti del tennis.
Durante i miei corsi parlo sempre di un paradosso che è il seguente. Se si chiede ai giocatori quale sia l’aspetto più importante fra quello mentale, tecnico-tattico e fisico, il 95 % risponde che l’aspetto mentale è il più importante. Poi però se gli chiedi che tipo di lavoro fanno per allenare le capacità e le qualità mentali nella scuola o nel centro dove si allenano, ti rispondono quasi niente.
E’ incredibile e paradossale.
Ho la fortuna di lavorare a stretto contatto con molte persone del circuito ATP e ho potuto spesso intervistarli. C’è una bella ricerca fatta con 20 giocatori fra i primi 100 e 20 coach che allenano giocatori fra i primi 100 e la domanda era proprio la stessa che mi è stata posta adesso.
Facendo la media di tutte le risposte, ne è risultato che la maggior parte dei coach dei giocatori di alto livello ritiene l’aspetto mentale importante al 42 %, il 30 % è il fisico e il 28% è la tecnica. Nelle scuole si fa invece esattamente il contrario!
Potendo scegliere, preferirebbe lavorare con un giocatore apparentemente freddo come Sinner, oppure con un impetuoso come Rublev?
Bella domanda! Per il mio modo di approcciare il problema è indifferente, credo di aver acquisito ormai un know-how che mi permetterebbe di entrare in empatia sia con l’uno che con l’altro. Il primo però mi incuriosisce di più perché c’è tutta una parte da scoprire, è quello che il professor Antonelli chiama “l’atleta brositimico” che deriva da timio che significa “sentimento” e brosos cioè “ingoiare”, che significa quindi che il giocatore ingoia i propri sentimenti, li tiene dentro così come le proprie emozioni.
C’è quindi tutta una parte da scoprire e per fare questo il coach necessita di quella che per me è la caratteristica più importante e cioè l’empatia.
Il coach deve entrare in empatia con ogni tipo di persona e ancora di più con quelli che tengono tutto dentro e parlano poco. Empatia viene dal greco inpathos che significa “entrare dentro l’altro”, entrare nel pathos dell’altro, nella sua emozione, cercare di capirlo e quindi affrontare i problemi non dal mio punto di vista, ma dal punto di vista della persona che ho davanti.
Con Sinner bisogna mettere in campo la capacità di stimolarlo e di far sì che alla fine le emozioni che lui ha “ingoiato” riesca a tirarle fuori, le esprima, le condivida e ne parli con il proprio allenatore.
Con un giocatore come Rublev, invece, bisogna mettere in campo un’altra grande qualità fondamentale del coaching che è la capacità di ascoltare. Ascoltare quello che dice, elaborarlo ed ogni tanto entrare nel suo modo di parlare, di pensare e di agire.
Questa parte è la più importante perché è quella che determina la crescita della persona e soprattutto la crescita del rapporto fra coach e giocatore.
Ci svela un gesto, un pensiero, un trucco utile e facile da utilizzare per tutti i nostri Talkers quando sono in difficoltà durante una partita?
Il primo suggerimento che mi viene da dare riguarda i pensieri negativi nei momenti topici del match.
Mentre sto giocando e cerco di concentrarmi, improvvisamente la mia mente viene distratta da qualcuno che urla, oppure, come spesso succede agli US Open, penso all’odore degli hot dog che vengono cucinati lì vicino, oppure la testa va al ricordo del litigio avuto il giorno prima con la fidanzata… in questi momenti, cioè quando arriva un pensiero negativo, c’è un metodo che secondo me il più delle volte è efficace. Si tratta dell’accettazione passiva.
Cioè arriva il pensiero negativo e più tu dici “non ci devo pensare”, in realtà più ci pensi. Se io per esempio ti dico “non pensare al rosso”, tu automaticamente penserai ancora di più a quel colore. Quindi l’accettazione passiva vuol dire che il pensiero ti arriva, ti disturba e tu devi dire: “bene entra, ti accetto passivamente”, cioè senza elaborarlo e la maggior parte delle volte matematicamente se ne va.
Un secondo consiglio che posso dare è il cambiamento dei livelli di attivazione.
In campo può capitare che stiamo vincendo facilmente, per esempio 6/1 4/0, e poi arriva il braccino. La paura di vincere il professore Antonelli – uno dei fondatori della psicologia dello sport – la chiama nikefobia che è proprio la paura della vittoria.
Il giocatore che è attanagliato da questa paura, sente che non ha più l’energia iniziale e ha quindi un’attivazione molto più bassa. In questo caso ci sono dei piccoli esercizi da fare nei cambi di campo per riportare l’attivazione alta.
Ma attenzione, nel mentale non c’è nulla di certo quindi sono dei consigli che il più delle volte funzionano, ma non possono essere una certezza.
Io consiglio questi esercizi attivanti.
Primo. Non mettersi seduto perché questo rilassa ancora di più, ma bisogna invece saltare ed urlare. Ma se il giocatore si vergogna di farlo in campo, consiglio di chiedere il toilet-break e in bagno fare l’esercizio di saltare ed urlare, saltare ed urlare…
Il secondo, che in questo periodo vedo fare spesso anche da Djokovic, è di aprire bene con due dita gli occhi e spostare i bulbi oculari velocemente a sinistra e a destra, in alto e in basso. Questa corticalizzazione, cioè il trasferimento del controllo di una funzione dal centro sottocorticale, serve per svegliare un pochino il cervello e quindi tornare ad un livello di attivazione più alto.
Il terzo è saltare e respirare velocemente, non basso, non diaframmatico, ma bloccare il respiro un pochino nella zona del torace. E’ lo stesso respiro di chi corre i 400 metri che arriva al traguardo sfinito e ha un respiro veloce, rapido e non addominale, ma toracico.
Anche questo sveglia un pochino il cervello, ma attenzione perché se questa iperventilazione fa girare un po’ la testa, bisogno ovviamente smettere immediatamente.
Questi tre piccoli esercizi fanno parte delle tecniche psyching-up, tecniche che aumentano e fanno salire i livelli di attivazione.
Ma nei momenti topici del match, ci può essere anche un problema contrario.
Se un giocatore sente un’ansia molto alta, il cuore comincia a battere più velocemente, gli atti respiratori al minuto aumentano, cambiano parecchi parametri a livello anche fisiologico e quindi il giocatore necessita di tecniche contrarie che si chiamano tecniche psyching-down. Cioè ha bisogno di tecniche che lo disattivino.
Quindi nel cambio di campo puoi fare esercizi di base per il rilassamento, si chiamano esercizi di mini training.
Per esempio il giocatore assume la famosa “posizione del cocchiere”, seduto si protrae in avanti, si mette un asciugamano in testa, comincia a respirare e a fare alcuni esercizi di rilassamento.
Oppure come consigliava Sant’Ignazio di Loyola – tecnica usata anche da Pavarotti – bisogna respirare profondamente, con l’addome, in quattro tempi: inspirare, pausa, espirare, pausa e ricominciare.
Grazie ad Alberto Castellani per tutti questi insegnamenti che sicuramente saranno molto utili per tutti i nostri Talkers!