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    TennisTalker MagazineTennis TTInterviste“Per far smettere Pistolesi di allenarsi bisogna spegnere le luci”
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    “Per far smettere Pistolesi di allenarsi bisogna spegnere le luci”

    Questo e molto altro in “C’era una volta il (mio) tennis” (Gremese Editore), il libro di Claudio Pistolesi che esce oggi in libreria con la prefazione di Adriano Panatta. Ne parliamo direttamente con l’autore

    Claudio Pistolesi è un ex tennista professionista, campione del mondo junior nel 1985, che già nel 1987 raggiunge la posizione n.71 della classifica ATP, suo best ranking.

    Dal 1996 ha deciso di dedicarsi al coaching e sono tantissimi i giocatori che da allora si sono affidati alla sua guida: Monica Seles Anna Smashnova, Davide Sanguinetti, Simone Bolelli, Robin Söderling, Marius Copil, Daniela Hantuchova…

    Ma il tennis è una passione che non si esaurisce dentro e fuori dal campo, ora è anche tangibile sugli scaffali delle librerie.

    Il libro “C’era una volta il (mio) tennis” ripercorre la carriera di Pistolesi da quando giocava come tennista professionista (ieri) alla sua nuova vita in Florida come coach internazionale (oggi).

    Ci sono i racconti di molte partite disputate nei vari tornei in giro per il mondo, ma anche molti dettagli del dietro le quinte che solo chi è sul campo, o a bordo panchina, può conoscere.

    La prefazione del libro è affidata ad Adriano Panatta con il quale Claudio ha condiviso moltissimi momenti della sua carriera e con il quale condivide l’amore smodato per la loro città natale, Roma.

    Le pagine scorrono via veloci e, oltre ad aneddoti divertenti, ci sono molti consigli e suggerimenti preziosi su come si devono affrontare le partite. C’è tutto il Claudio-pensiero, senza filtri e senza falsa modestia.

    Ciao Claudio, come è nata l’idea del libro?

    Innanzitutto ci tengo a sottolineare che ho scritto il libro da solo, senza alcun aiuto da parte di un ghost writer. L’idea del libro l’avevo in testa da tanto tempo. Capita spesso che nei tornei, durante i cosiddetti tempi morti, io sia un polo attrattivo perché racconto sempre tante storie e aneddoti vissuti durante gli anni in campo e fuori dal campo. C’è una parola inglese, “legacy”, che non è facilmente traducibile in italiano perché si traduce con “eredità”, ma si riferisce all’eredità culturale, non finanziaria. Mi affascina molto questa parola – le parole hanno un’importanza fondamentale! – perché indica proprio l’eredità culturale che ognuno di noi lascerà. Piccola o grande che sia non è importante. E questa mia idea adesso è diventata realtà.

    E’ un libro sincero, come dimostra il racconto dell’episodio accaduto con Gilbert Schaller. La frase urlata al giocatore austriaco che ti aveva offeso, non è da prendere ad esempio… ma rivela il tuo carattere battagliero in campo e goliardico fuori. Cosa gli diresti se potessi incontrarlo oggi?

    In effetti, ci siamo incontrati. Non abbiamo parlato dell’episodio, però dopo vent’anni ci siamo stretti la mano. Sicuramente io ho esagerato, ma era legittima difesa perché il primo ad attaccarmi e ad insultare pesantemente il mio paese è stato lui. Dopo tutti questi anni “il reato” è passato in prescrizione e gli direi: “Vabbè ci siamo scontrati, adesso torniamo amici!”. Forse lui a modo suo pensava di essere divertente, ma ci sono diversi livelli di percezione che dipendono dalla cultura, dalle abitudini e dalle origini di ognuno di noi. Sicuramente non si aspettava quella reazione da parte mia! Con il senno del poi, probabilmente è stata proprio la rabbia, trasformata in rabbia agonistica, che mi ha fatto vincere la partita.

    Claudio Pistolesi

    Meglio la prima vita, quella da giocatore, oppure quella che stai vivendo adesso da allenatore?

    Nella vita ci sono delle fasi e io credo di averne avute già 3. Quella da giocatore quando ero molto giovane, poi quella da coach, e anche qui ero giovane perché quando ho iniziato avevo solo 29 anni, e la terza fase da coach e manager. Sicuramente l’insegnamento, il “teaching,” è la mia missione. Spero di riuscire a lasciare ai miei allievi dei buoni messaggi, che siano loro utili per sempre. E penso che mi stia riuscendo bene. Ma mi piace anche la fase da manager. Per esempio ho contribuito notevolmente alla legalizzazione del coaching nel tennis e ne sono molto orgoglioso. Amo tutte le fasi della mia vita e anzi ne aggiungo anche una quarta: quella di Claudio tennista junior.

    Dal libro si capisce che sei rimasto in ottimi rapporti con tanti giocatori del circuito. Facciamo un gioco. Con chi usciresti a cena una sera sapendo che vi divertirete molto insieme?

    Sono rimasto in contatto con tantissimi giocatori, ma il primo nome che mi viene in mente è Takao Suzuki che ho allenato anni fa. E’ sempre uno spasso stare con lui: un giapponese che parla in romanesco! Ha imparato delle espressioni che usa ancora oggi come quando per esempio mi dice ”Aspetta ‘n attimo”. Pensa che ancora adesso cita Lino Banfi a memoria. Però sono tantissimi quelli con cui andrei a cena, come per esempio Paolo Bertolucci, mio ex allenatore. E’ sempre molto stimolante chiacchierare con lui, si può parlare di molte cose e mi ha insegnato tanto.

    Con chi organizzeresti un incontro per parlare esclusivamente di tennis, sapendo che ne uscirai arricchito di informazioni tattiche e tecniche preziose?

    Sicuramente con Roger Federer e in realtà mi è anche già capitato. Ha il dono della sintesi, della velocità mentale, per mettere subito a fuoco quello che serve e darti la soluzione giusta, sia dal punto di vista mentale che fisico e tecnico. Se mi chiedi perché Federer e non Nadal o Djokovic, è perché lui è più tecnico, quindi ha più varianti su tante situazioni tennistiche.

    Claudio Pistolesi e Roger Federer

    Non ti chiedo invece con chi non usciresti volentieri perché leggendo il libro credo che la risposta sia abbastanza scontata… ma non sveliamolo qui!

    Buona lettura a tutti i Talkers!

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