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    TennisTalker intervista Pierluigi Basile: “Non sogno, mi do degli obiettivi”

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    Maturità, Challenger, Federer, una figurina dei Pokémon e l’allenamento con Sinner: ecco chi è davvero il baby talento del tennis azzurro

    Oggi abbiamo il piacere di proporvi un’intervista esclusiva con uno dei giovani più promettenti del tennis italiano: Pierluigi Basile, per tutti semplicemente “Pigi”. Classe 2007, originario di Martina Franca, ha mosso i primi passi con la racchetta nello Sporting Club della sua città. A soli 14 anni ha fatto le valigie per crescere tennisticamente in Umbria, alla Tennis Training School di Foligno, allenandosi con Alessio Torresi sotto la supervisione di Fabio Gorietti.

    Nel 2023 si è laureato campione italiano Under 16, e nel 2024 ha scritto una piccola pagina di storia diventando il primo 2007 a vincere un match in un Challenger (a Todi). Da lì, solo progressi: ottavi agli Australian Open Junior, semifinale al Challenger 125 di Perugia, e oggi un posto tra i primi 600 al mondo, (oggi, 22 luglio 2025, è al numero 557 del ranking ATP). Noi di TennisTalker l’abbiamo incontrato appena dopo gli esami di maturità, tra libri, viaggi, sogni e… una figurina dei Pokémon.

    Ciao Pigi, hai appena fatto la maturità. Com’è andata?

    È andata abbastanza bene, sia negli scritti che negli orali. Il tema d’italiano è andato benissimo. Matematica era quella partita che non si può vincere, ma ho cercato di stare in campo il più a lungo possibile, rubando più punti possibili. Anche l’orale è andato benissimo.

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    In cosa ti sei diplomato?

    Liceo scientifico sportivo.

    Hai debuttato giovanissimo, ma come hai iniziato davvero? L’hai scelto tu il tennis o c’era qualcuno in famiglia già appassionato o praticante?

    I miei genitori frequentavano il circolo, ma tutto è nato un po’ per caso. Da piccolo mio padre mi portò in edicola per comprare un giocattolo, e scelsi due racchettine dei Gormiti perché mi piacevano. Ci giocavamo in casa per ore. Poi uno dei maestri del circolo mi regalò una racchetta vera, e da lì ho iniziato a giocare tutti i giorni. Non mi sono più fermato.

    Hai un rovescio a una mano, che è il tuo marchio di fabbrica. Hai sempre giocato così oppure inizialmente giocavi a due mani?

    Io ero convinto di sì, di aver sempre giocato ad una mano, invece a ho scoperto solo quest’anno che la mia prima maestra non voleva che giocassi a una mano. Durante le sue lezioni mi faceva provare anche a due mani. Ma la verità è che non ho mai davvero usato il rovescio a due mani. È sempre stato naturale per me giocarlo a una mano.

    Hai mai avuto difficoltà in confronto a chi gioca a due mani? Quali sono secondo te i pro e i contro?

    No, sono sempre stato convintissimo della mia scelta. Anzi, durante lo scambio sento di avere più varietà nel colpo. Non trovo veri contro. Forse l’unica cosa è che sulla risposta bisogna organizzarsi meglio, ma dipende più dalla posizione che dal tipo di rovescio. Quanto ai pro, secondo me va anche più veloce. Mi sento libero di tirare forte. Non lo vivo mai come un colpo difensivo, come spesso si sente dire.

    A Wimbledon hai avuto la possibilità di allenarti con Sinner. Qual è stato il tuo primo pensiero quando te l’hanno comunicato?

    Non è stato tutto semplicissimo. Quel giorno avevamo il volo per tornare in Italia, ma c’era lo sciopero dei voli. Avevamo però trovato un volo in una fascia garantita, ma l’allenamento era a ridosso. Appena abbiamo finito siamo dovuti correre in aeroporto. L’obiettivo era fare l’allenamento, e ce l’abbiamo fatta! Appena ho saputo che c’era la possibilità ero felicissimo, e quando è arrivata la conferma ancora di più.

    Pierluigi Basile
    Pierluigi Basile durante l’intervista con TennisTalker

    Quanto è difficile allenarsi con un numero uno?

    Più che difficile, è stimolante. Sei obbligato a stare attento su ogni palla, a correggerti dopo ogni errore. Non puoi perdere un secondo, il ritmo è altissimo. Ovviamente non è facile stargli dietro, ma io c’ero. Anzi, sulla diagonale di rovescio mi sentivo proprio a mio agio. La differenza con altri giocatori è che ogni palla che gioca è al massimo: velocità, profondità, zero sprechi.

    Ti piace giocare sull’erba?

    Sì, mi è piaciuta molto. A livello di sensazioni è bellissima. Però ho capito che anche gli altri colpiscono bene sull’erba, quindi le partite si decidono su pochi punti. La mia superficie preferita penso sia ancora la terra, anche se sul cemento sono migliorato. Però sulla terra posso sfruttare meglio la pesantezza di palla e il ritmo alto. Sul cemento faccio ancora un po’ di fatica a gestire lo scambio. Se uno si appoggia bene, mi prende il tempo, e devo ancora migliorare in quello.

    Sinner ha detto recentemente che non legge i giornali né guarda quello che si dice su di lui. Tu come ti poni rispetto a questo?

    Ha perfettamente ragione. Anche a me non interessa, sono opinioni soggettive. Se leggo qualcosa di carino, certo mi fa piacere, ma lascio che tutto abbia il peso che deve avere. Poi magari un’intervista me la rileggo, ma senza darci troppo peso.

    Qual è la vittoria che ricordi con più piacere?

    Non ne ho una in particolare. Dopo i tornei cerco sempre di stare coi piedi per terra. Magari ci sono partite che mi lasciano più soddisfatto, ma non ho una vittoria simbolo.

    E invece una sconfitta che brucia ancora?

    Quella sì! Sicuramente quella di quest’anno agli Australian Open persa 7-6 7-5 contro Benjamin Wilwerth, che poi è andato in finale. È quella che mi ha fatto più male.

    Meglio una vittoria netta tipo 6-1, 6-1 dove sai che hai risparmiato energie per il prossimo match o una lottata al terzo?

    Dipende dall’avversario. Ma la vittoria al terzo è più appagante. Se vinci facile, spesso è solo questione di livello. Se lotti, vuol dire che te la sei meritata.

    Quando giochi un match point, a favore o contro, che pensieri hai?

    Se è a favore, penso solo a spingere. Non bisogna aspettare che il punto arrivi da solo, perché non arriva. Se è contro, non penso a niente. Gioco e basta.

    So che sei un grande fan di Federer e che da quando si è ritirato guardi poco il tennis in televisione. Ma le tue partite le (ri)guardi?

    E’ vero, da quando Federer si è ritirato, non guardo più tanto tennis, ma le mie partite importanti sì. Per esempio quella persa in Australia, oppure se so che ho fatto qualche bel punto, me lo vado a rivedere.

    Ci sveli che cosa non può mai mancare nella tua sacca da tennis, hai qualche portafortuna?

    Ne ho due. Un polsino che mi ha regalato Jacopo Berrettini e da allora cerco di giocare sempre con quello. E poi una foto mia da piccolo al Foro Italico. Ah no sono tre, ho anche una figurina dei Pokémon. Si chiama Pidgey, che si pronuncia quasi come Pigi, il mio soprannome, e l’ho trovata prima di partire per l’Australia. Non ho mai seguito i Pokémon, ma un mio amico mi ha convinto a comprare una bustina perché diceva che si sentiva che avrei trovato una bella carta. Ed infatti ho trovato l’evoluzione che vale anche un po’. Così l’ho tenuta come portafortuna: però la tengo sempre nella cover del telefono, non nella sacca

    Il tuo sogno nel cassetto?

    Non mi piace parlare di sogni. Preferisco obiettivi reali. Tutti sognano di diventare numero uno, non solo nel tennis. Io penso a entrare in top 100, magari top 50. Poi, se arrivo lì, vedrò se posso sognare qualcosa di più grande.

    Domanda obbligatoria perché sono curiosa. Hai mai usato Tennis Talker?

    Sì, da piccolo lo usavo tantissimo. Soprattutto quando facevo i Kinder. Lo guardavo spesso anche con i miei amici. Poi quando ho iniziato a giocare gli Open, lo usavo più che altro per vedere chi erano gli avversari, più che per le classifiche.

    Dove ti vedremo giocare prossimamente?

    Giocherò la Summer Cup con Jacopo Vasami e Andrea De Marchi. La prima settimana è in Croazia, poi se ci qualifichiamo si gioca a Roma. E poi tornerò sicuramente al Challenger di Todi che mi ha portato fortuna.

    Giustissimo. Grazie mille Pigi!

    Grazie a voi!

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