L’americano si schiera al fianco dei colleghi che hanno scelto di saltare il torneo di Toronto: “Servirebbe una stagione più corta, non tornei in più”
Taylor Fritz, attuale numero 4 del ranking mondiale, è a Washington per disputare l’ATP 500 Mubadala Citi DC Open e con l’occasione ha espresso apertamente il proprio disappunto riguardo alla gestione del tour. All’indomani delle rinunce eccellenti di Jannik Sinner, Carlos Alcaraz e Novak Djokovic al Masters 1000 di Toronto, oltre a Draper ritiratosi però per infortunio, l’americano si è schierato dalla parte dei colleghi.
La critica principale riguarda l’eccessiva densità del calendario: sette Masters 1000 hanno ora tabelloni da 96 giocatori, con una durata di 12 giorni, andando di fatto a occupare più spazio nel calendario e riducendo le pause per i giocatori.
“È una situazione insostenibile. Tutti noi chiediamo da anni una stagione più corta, ma continuiamo ad aggiungere tornei o ad allungare quelli esistenti”, ha dichiarato Fritz. “Il fatto che il torneo di Toronto finisca lo stesso giorno in cui inizia quello di Cincinnati è solo l’ultima dimostrazione di un sistema che non tiene conto dei tempi di recupero degli atleti.”
Il calendario è sempre stato un tema centrale tra i giocatori e anche Alcaraz lo scorso anno si era apertamente lamentato. Ma con l’introduzione di nuovi eventi e l’estensione di quelli già presenti, il rischio di infortuni, burnout e ritiri aumenta, specialmente in una fase così intensa della stagione che va da Wimbledon agli US Open.
“È paradossale che si trovino modi per fare spazio a nuovi eventi, ma mai per garantire una pausa. Eppure tutti sanno quanto sia importante, anche solo una settimana, per recuperare fisicamente e mentalmente.”
Fritz ha parlato anche della Hopman Cup, tornata in calendario in un periodo a suo dire poco adatto, con partite disputate subito dopo Wimbledon. Nomina anche Flavio Cobolli che subito dopo la competizione a squadre è volato proprio a Washington per l’ATP 500. Una programmazione che, secondo il giocatore americano, non è sostenibile nel lungo periodo.