I “veri” appassionati di tennis ad un bivio: tifare Sinner o Alcaraz?
Dice bene Ivan Ljubicic. Noi appassionati di tennis, non ce lo aspettavamo. Appena “liberi da impegni”, dopo quasi vent’anni passati sulla barricata dei sostenitori di Federer o su quella di Nadal (non me ne voglia Nole, a torto o ragione mai entrato troppo nei cuori dei tribuni della racchetta), pensavamo di meritarci un po’ di sano riposo.
Un periodo di interregno, per dire, uno spazio temporale popolato da un’alternanza di numeri uno non troppo coinvolgenti, magari tecnicamente bravini ma non superlativi, in cui parcheggiare temporaneamente la nostra passione tifosa per darle tempo di riprendersi dopo tanti anni di impegno forsennato. E in effetti per un po’ è andata bene, al punto quasi da illuderci che il nostro desiderio venisse esaudito.
La storia più recente
Una spruzzata di Medvedev condita da qualche scivolone di antipatia, un salto nell’Olimpo delle divinità greche con Tsitsipas prima del parricidio sportivo, i dubbi del giovane Zverev ancora non manifesti ma già presenti, la serenità tranquillizzante della regolarità mai troppo vincente di Casper Ruud. Niente di impegnativo quindi, nulla che obbligasse il nostro ego di tifosi a dissotterrare di nuovo l’ascia (la racchetta) di guerra e schierarsi con una nuova fazione tennistica in contrapposizione a una rivale.
Oggi
E invece, niente. In meno di due anni, siamo tornati punto e a capo e a noi appassionati il Dio del tennis (che ha visto di recente peraltro infoltirsi di parecchio le schiere dei propri seguaci) chiede di nuovo una scelta fra due alternative. E che alternative: Jannik Sinner e Carlos Alcaraz.
Beninteso, stiamo parlando di due assoluti fenomeni che hanno già bello che scavato un solco profondo e difficilmente attraversabile da altri contendenti (nb, capitò anche a Rafa e Roger, poi arrivò un serbo che il fossato lo oltrepassò senza problemi, quindi…).
Che erano due fenomeni l’ho capito prestissimo. Con Jannik, al Bonfiglio, quando i botti delle sue pallate raggiungevano il parcheggio del Tennis Bonacossa; con Carlos, alle NextGen quando buttò di là dalla rete una pallina accarezzandola colla racchetta dopo una giravolta che farebbe la felicità di qualsiasi specialista di protesi all’anca. Entrambi poi sono negli standard di quest’epoca educata e compita, per cui niente discussioni sui cattivi ragazzi.
Quelli, i pochi rimasti, non vincono una partita da anni, li licenziano anche come
commentatori televisivi e andando avanti così fra un po’ per entrare ai Championships
dovranno farsi The Queue al Wimbledon Park.
Ma torniamo a noi. Lasciando perdere le questioni di bandiera, chi segue il tennis è
diventato internazionale per forza di cose, i due poli hanno davvero tutte le caratteristiche per esercitare un’attrazione uguale e opposta.
Sinner
Da un lato, l’italiano riluttante, secondo la mefistofelica definizione di Corrado Augias. Alto e magro, carnagione chiara, con un approccio altoatesino alla vita e al lavoro che
disorienta gli estimatori dei cliché riguardanti il nostro paese, e un’educazione ai limiti della perfezione in campo e fuori, il nativo di San Candido (p.s. io giustificherei la pena capitale per chi usa ancora questa espressione) incarna in maniera perfetta il modello del figlio-che-tutti-noi-vorremmo-avere.
E allo stesso modo sotto la corteccia arancione, proprio come vorrebbero i genitori del figlio-che-tutti-noi-vorremmo-avere, nasconde un carattere d’acciaio. Una determinazione feroce negli allenamenti e in campo, una sicurezza di sé che lo porta a cambiare allenatori e staff con l’autorevolezza di un veterano, una capacità di riprendersi che gli fa superare voragini emotive come quella di Parigi. E soprattutto, un tennis di potenza che asfissia l’avversario.
“Quando gioco contro di lui mi sembra che la palla vada al doppio della velocità”. Sono parole di Ben Shelton che rendono bene la sensazione di chi lo affronta. Ma non è tutto oro quel che riluce, secondo alcuni. I detrattori (più modernamente definibili come haters) al di là delle solite miserabili obiezioni sulla sua italianità non mancano di sottolineare tratti di irriconoscenza verso i propri maestri, residenze monegasche non proprio disinteressate, una crescente ingordigia da sovraffollamento pubblicitario, e soprattutto l’incapacità di comprendere che un invito da parte del Presidente della Repubblica va accettato senza se e senza ma (da qui, la definizione del mefistofelico Augias).
Alcaraz
Dall’altro, la bestia, soprannome datogli peraltro proprio da Sinner. Compatto, muscoloso, più scuro di carnagione, si impone con la sua potenza fisica, l’intensità del suo gioco e la presenza dominante in campo, nonostante la giovane età. In tutta oggettività, poi, fa cose con la racchetta che non si sono mai viste prima. Neanche, e qui mi prendo il rischio di eresia, ai tempi di Roger.
Infine, è rispettoso delle istituzioni (vedi ringraziamento al Re subito dopo la bastonata – perché questa era – presa domenica scorsa), è fedele nei secoli (almeno per ora) a chi lo ha portato dei campi di periferia fino al tetto del mondo del tennis, e si avvia a contendere a Rafa Nadal il (non ambitissimo) titolo di primo contribuente del fisco spagnolo.
Soprattutto, è genuino ed empatico in campo e fuori, mostrandosi molto vicino a tutta una generazione di giovani appassionati che si riconosce appieno nel suo modo di essere. Modo di essere che è appunto il suo principale difetto secondo gli oppositori, inorriditi di fronte al pugnetto mostrato a Jannik nel primo gioco del primo set come neanche Clerici e Tommasi di fronte agli shorts colorati di André Agassi.
A questo poi si aggiungano le amnesie in campo, che gli fan perdere partite e punti
irrecuperabili, e soprattutto un’etica del lavoro non proprio totalizzante (ci torneremo
prossimamente) e che fa alzare più volte gli occhi al cielo al suo allenatore Juan Carlos
Ferrero nel corso dell’illuminante miniserie di Netflix “A mi manera” (a modo mio).
La ‘sfida’
Al momento, nella nuova contesa per i cuori degli appassionati sembra esserci una
situazione di equilibrio. Adorazione per lo spagnolo a Parigi (avevate dubbi?), follia per
l’italiano a Melbourne (c’ero, e ve lo posso garantire), pareggio con aplomb a Wimbledon (di nuovo, avevate dubbi?) ma anche a US Open. La sfida è in corso, e di sicuro e vedremo delle belle.
E io?
Beh, io rispondo come da piccolo di fronte alla domanda dello zio fastidioso: se papà e
mamma mi fanno star bene entrambi, perché devo proprio scegliere uno dei due? Mi
metto comodo e mi gusto il viaggio.
E ora, a voi la parola: Carlos o Jannik?

You cannot be serious è la nuova rubrica settimanale di Tennistalker Magazine dedicata a tutto ciò che nel tennis non rimbalza ma … fa rumore lo stesso! A cura di Paolo Porrati: accanito “quarta categoria”, è stato Giudice Arbitro per la FITP e ha partecipato da spettatore a tutti gli Slam, Finals Davis e Olimpiadi. Il suo romanzo giallo “Lo Sport del Diavolo”, pubblicato da Laurana Editore e ambientato nel mondo del tennis, è stata la sorpresa letteraria sportiva dello scorso anno.