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    TennisTalker MagazineJannik Sinner al TG1: "Dopo l'Australian Open ho pensato di staccare dal tennis"

    Jannik Sinner al TG1: “Dopo l’Australian Open ho pensato di staccare dal tennis”

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    Ecco i contenuti dell’attesissima intervista rilasciata in prima serata dal numero uno del mondo al direttore del TG1 Gian Marco Chiocci

    Come anticipato nel pomeriggio, nella prima serata di oggi RAI 1 ha mandato in onda una lunga intervista a Jannik Sinner. Il numero uno del mondo, che la prossima settimana agli Internazionali d’Italia tornerà a gareggiare dopo la sospensione di tre mesi patteggiata per chiudere l’arcinoto caso Clostebol, ha risposto per venti minuti alle domande di Gian Marco Chiocci, direttore del TG della rete ammiraglia della TV di Stato.

    Dalle origini della sua carriera ai primi successi con la racchetta; dalla scalata al vertice del tennis mondiale alle recenti disavventure relative al “caso doping” che l’ha visto coinvolto, per “planare” infine sul rientro alle competizioni ormai imminente, Jannik si è lasciato andare e ha parlato a cuore aperto ai milioni di tifosi che non vedono l’ora di ammirarne di nuovo le gesta in campo. Ecco i contenuti principali della chiacchierata.

    Come stai?

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    “Sto bene, mi sembra di avere buone risposte in campo; a dire la verità è tutto un po’ strano: voglio dire, è strano tornare a preparare un match “vero” dopo tanto tempo. Ho ricominciato da un po’ di giorni a fare allenamenti mirati in vista di un torneo, mi sono allenato con giocatori forti, ovviamente a volte mi sento alla grande e altre volte calo, ma è normale. Spero di essere pronto come mi aspetto per Roma, che ovviamente è un torneo speciale”.

    Ti manca il match?

    “Certamente sì, anche perché non è possibile simularlo in allenamento. Puoi prepararti nel miglior modo possibile ma ti mancherà sempre l’adrenalina, la tensione, il pubblico. Solo in partita puoi provare certe sensazioni e capire a che punto sei”.

    Cos’hai provato quando ti hanno comunicato la positività al Clostebol?

    “Non sapevo davvero di cosa si stesse parlando, mi hanno dovuto spiegare tutto più volte, perché davvero non avevo idea di cosa fosse successo. Poi è iniziato un percorso difficile, perché ho dovuto convivere con questa faccenda pur sapendo di essere innocente. Ho fatto molta fatica ad accettare i tre mesi di sospensione, sono davvero troppi considerando che non ho fatto niente. Devo ringraziare il mio team per avermi aiutato in tutti i modi. Mi sono creato la mia bolla e ho cercato di andare avanti senza ascoltare nessuno, ma non è stato facile, non mi divertivo più. E tutti sanno quanto sia importante conservare la parte di divertimento nel nostro sport. Se pensandoci adesso accetterei di nuovo il patteggiamento? Ormai è andata. Lo ripeto: sono innocente, quindi è stato difficile accettare la sospensione, ma per come si erano messe le cose è stata la situazione migliore”.

    C’è chi sostiene che tu abbia avuto un trattamento di favore da parte di chi ti ha giudicato.

    “I protocolli sono gli stessi per tutti, nessuno può godere di trattamenti diversi. Anzi, sono stato controllato più di tanti altri e il mio caso è stato rivisto più volte, anche quando in un primo luogo ero stato considerato innocente”.

    Quando hai capito che il tennis sarebbe diventato il tuo sport? Ti saresti immaginato di arrivare così in alto?

    “L’ho capito quando, mentre ancora sciavo a buoni livelli, giocavo qualche partita senza allenarmi praticamente mai e riuscivo a vincere contro avversari forti che si allenavano sempre. Lì mi sono detto: forse posso diventare abbastanza bravo. Ma pensare di diventare numero uno no, non è possibile immaginarsi una cosa del genere. Anche perché da piccolo non sognavo di diventare un tennista, ma un pilota!”.

    Il talento da solo però non basta.

    “Ovviamente no, servono dedizione, concentrazione, vita da atleta e una certa predisposizione mentale. A favore delle mie prestazioni incide il fatto che non mi arrabbio mai? Non è così, mi arrabbio eccome! Ma il tennis è un po’ come il poker, non devi mai mostrare le tue emozioni, soprattutto quelle negative, altrimenti il tuo avversario le userà a suo favore”.

    Federer, Nadal o Djokovic?

    “Non posso fare una classifica, perché Roger l’ho visto poco da quando ho iniziato a giocare i tornei ATP: quando sono arrivato lui ha avuto qualche infortunio, poi ha smesso. Di Rafa mi è sempre piaciuto il modo che ha di stare in campo, e di gestire con molto equilibrio tutti coloro che gli stanno attorno e ciò che lo circonda. I risultati però dicono che Nole è il più forte di tutti i tempi. Difficile scegliere”.

    Il momento della tua carriera che ricordi con più affetto.

    “Sinceramente è facile scegliere. Quando durante l’intervista in campo dopo un mio match al Roland Garros dello scorso anno mi hanno comunicato che dal lunedì successivo sarei diventato il numero uno del mondo. Un momento che non dimenticherò mai”.

    Avendo già vinto Coppa Davis, Australian Open e US Open, punti di più al Roland Garros o a Wimbledon?

    “Si punta sempre al torneo che viene prima…”.

    Dopo anni di magra, sembra che spuntino grandi giocatori ovunque in Italia.

    “Vero, ma il discorso vale più che altro per gli uomini, perché dal lato femminile abbiamo avuto grandi risultati e campionesse Slam anche negli anni passati. Per noi le cose hanno iniziato a cambiare quando Fognini ha vinto Montecarlo. Poi Berrettini ha giocato le Finals e ha fatto finale a Wimbledon. Adesso ci sono io, Musetti è vicinissimo ai primi dieci, Arnaldi sta ottenendo grandi risultati, Sonego che è sempre lì e via via tutti gli altri. È bello perché se perdo io in uno Slam ce ne sono altri cinque; su 100 giocatori ce ne sono dieci italiani e con il 10% dei partecipanti è ovviamente più facile ottenere ottimi risultati”.

    Il punto più bello e quello “maledetto”.

    “Partiamo da quello che mi ha fatto più male. Il match point sprecato nei quarti dello US Open 2022 contro Alcaraz, quel rovescio finito largo in uscita dal servizio. Quella sconfitta (arrivata quando a New York erano passate le 2.30 del mattino, al termine di 5 ore di un match epico, NdR) mi ha fatto soffrire per un po’. Il più bello è invece il dritto lungo linea con cui ho chiuso la finale dell’Australian Open 2024 dopo aver rimontato due set a Medvedev”.

    Colpo preferito, quello da migliorare e quello che invidi a qualcuno.

    “Colpo preferito, il rovescio. Da migliorare il servizio. Invidio il tocco di giocatori come Alcaraz e Musetti, due che sentono la palla alla grande”.

    Cahill smetterà a fine stagione.

    “Devo accettarlo. Me lo ha comunicato lo scorso anno: ‘Faccio la prossima stagione con te e smetto’. Ha dato tanto a questo sport e a me in particolare, devo solo ringraziarlo”.

    Qualche giorno fa hai lanciato la tua Fondazione.

    “Ci credo molto. Il mio scopo principale è aiutare i bambini, che sono il nostro futuro”.

    Più di qualcuno ti ha criticato per aver scelto di risiedere a Montecarlo.

    “Qualche tempo fa, parlando con una persona del mio team, facevo questa considerazione: ‘Se andassi via da qui non saprei proprio dove trasferirmi’. A Montecarlo mi trovo molto bene. La gente sa chi sono ma fa finta di niente, ci sono campi da tennis in terra e cemento e un ottimo clima tutto l’anno. Inoltre tanti giocatori vivono qui, è perfetto per allenarsi”.

    Sinceramente, nell’ultimo complicatissimo anno, hai mai pensato di smettere?

    “Alla fine della scorsa stagione la situazione già da un po’ di tempo era diventata pesante. Non mi sentivo a mio agio nello spogliatoio, percepivo di essere guardato in modo diverso. Mi sono detto ‘vediamo come va l’anno prossimo’. Poi sono arrivato in Australia, mi sentivo giù di morale. Ho pensato di staccare dal tennis dopo Melbourne, anche per questo avevo deciso di rinunciare a giocare a Rotterdam. La sospensione è arrivata al momento opportuno: la considero fortemente ingiusta, ma almeno la situazione è chiara e posso chiudere questa triste parentesi della mia vita. Ci vediamo a Roma, ormai manca poco”.

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