Il racconto di Claudio Pistolesi, tra aneddoti, colpi esplosivi e una fede calcistica che unisce
Prosegue la rubrica I Gladiatori di Roma, il viaggio di TennisTalker con Claudio Pistolesi, coach ATP ed ex numero 71 del mondo, alla scoperta dei protagonisti italiani che si preparano a scendere in campo agli Internazionali di Roma. Stavolta, sotto i riflettori c’è un ragazzo che ha il tennis nel sangue fin da quando era alto poco più di una racchetta: Flavio Cobolli.
Il primo incontro? A cinque anni, a Cordenons
È con un sorriso che Pistolesi racconta il primo incontro con Flavio. “Mi viene in mente il Challenger di Cordenons, vicino a Pordenone, dove ero andato come coach di Paolo Lorenzi. C’era Stefano, il papà di Flavio, che giocava il torneo. Si era portato dietro la moglie e il figlio, un bambinetto biondo, occhi azzurri, che avrà avuto quattro o cinque anni. Mi dice: ‘Dai, fai due palle con mio figlio, fallo contento!’ Così ci ho giocato. Era incredibile: buttava tutto di là, controllava la palla, aveva già qualcosa. Una cosa così non si dimentica.“
Da ragazzino promettente a nome da tenere d’occhio
Quel ricordo di bambino si è trasformato negli anni in un nome sempre più presente nei radar del tennis italiano. Pistolesi ha seguito da lontano i primi passi di Cobolli nei tornei open, poi il salto nei Challenger, fino alla finale del 2021 al Garden di Roma. “Aveva 19 anni, classe 2002, era ancora giovanissimo. Ma quella finale è stata uno spartiacque: inizi a credere davvero di poter entrare nel circuito ATP. È il momento in cui ti sdogani.”
“Schioppa” la palla come pochi altri
Pistolesi parla con ammirazione delle qualità tecniche di Cobolli: “Ha un’esplosività eccezionale, e lo dico con convinzione. L’ho visto al Challenger di Napoli da tre metri di distanza. Il suono della palla quando la colpisce è diverso. Io chiudo gli occhi e ascolto: se uno è forte lo senti dal rumore. Mi ha ricordato Simone Bolelli da giovane, uno di quelli che ‘schioppa’ la palla. A Roma si dice proprio così: farla scoppiare.”
Un fisico leggero, ma un cuore da leone
Tecnicamente completo, Flavio ha una solida base su entrambi i lati, ma è con il dritto che comanda il gioco. “Ha un servizio kick notevole,” continua Pistolesi, “fa saltare la palla a uscire in modo davvero difficile da contrastare. Ed è anche un grande atleta: magro, nervoso, ma potente. È un fascio di nervi. E poi ha una forza morale non comune.”
Uniti dalla Roma, più che da una racchetta
E come se non bastasse, Flavio e Claudio condividono anche un amore viscerale: quello per la Roma. “È una fede che non si spiega,” dice Pistolesi, “una missione. Flavio è nato a Firenze, ma già da piccolissimo si è trasferito a Subiaco, in provincia di Roma. È romanista vero, come me.”
A Washington, il colpo di maturità
I due si sono ritrovati in campo anche recentemente. A Washington, l’estate scorsa, Pistolesi era lì con Emil Ruusuvuori e ha assistito a degli allenamenti strepitosi di Cobolli. “Sul veloce, stava benissimo. In quel torneo è arrivato fino alla finale, dopo aver battuto gente del calibro di Goffin, Davidovich Fokina, Michelsen e Shelton. Ha perso solo da Korda, al terzo set. Era l’agosto prima degli US Open, e da lì ha scalato la classifica fino a entrare nei top 30.”
La terra è casa, ma il cemento porta i risultati
Quel torneo si è giocato sul cemento, un dettaglio importante. “Parlavo col padre: il prossimo passo sarebbe stato ottenere risultati sul duro. E ce l’ha fatta. Il miglior risultato della sua carriera, la finale 500 a Washington, è arrivato proprio lì. Poi ha vinto l’ATP 250 a Bucarest, proprio pochi giorni fa, ma secondo me pesa di più quella finale. Conta chi hai battuto, non solo il trofeo che alzi.”
Chi gli somiglia? Forse un certo Corretja…
E se si parla di paragoni, Pistolesi azzarda: “Flavio mi ricorda Alex Corretja. Certo, lo spagnolo aveva il rovescio a una mano, ma l’impostazione, il modo di aprirsi il campo col servizio, la voglia di vincere, la mobilità… E Corretja, ricordiamolo, ha fatto finale al Roland Garros, ha vinto ad Indian Wells, a Washington, appunto, ed è stato numero 2 del mondo. Uno che si è adattato benissimo a tutte le superfici.”
Doppio sì, ma con calma
Per quanto riguarda il doppio, Cobolli lo gioca, ma non sembra una sua priorità. “È un impegno extra. Dopo il singolo hai fisioterapia, analisi, recupero. Il doppio ti mangia tempo e energia. Se però lo consideri come parte dell’allenamento, allora può avere senso. Serve anche ad evitare i problemi logistici: nei primi turni trovare un campo per allenarsi è spesso complicato e giocare il torneo di doppio ti garantisce di poter giocare.”
Doppio, fallimento o risorsa?
Sul tema scottante sollevato da Opelka – “il doppio è per giocatori falliti” – Pistolesi non ci sta: “Ma dai! Bolelli, Vavassori, sono campioni. Il doppio è tennis, punto. A me interessa il tennis, non se è singolo o doppio. E poi è spettacolare: colpi di tocco, pallonetti, volée… è importante anche per la tattica. Attira meno pubblico, ok, ma ha valore.”
Il campo da tennis… come lo Stadio Olimpico
E chiude con una riflessione da vero tennista: “Quando ero giovane il campo del singolo mi sembrava grande come un tavolo da ping pong per quanto mi muovevo bene, e adesso… mi sembra lo stadio olimpico! Oggi, se voglio farmi una partita con gli amici, scelgo il doppio. Anche perché, se perdi, puoi sempre dare la colpa al compagno…”.
Insomma, tra battute, aneddoti e riflessioni tecniche, Flavio Cobolli emerge come un vero gladiatore del tennis italiano: talento naturale, fisico esplosivo, fame di vittorie e cuore giallorosso. Roma lo aspetta. E stavolta non per una passeggiata a Subiaco, ma per entrare nell’arena.