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    Berrettini e Musetti, il derby perfetto. Il pomeriggio in côte si tinge d’azzurro

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    Oggi a Montecarlo va in scena il terzo scontro diretto tra Matteo e Lorenzo, due giocatori molto diversi che solleticano la nostra immaginazione. I precedenti dicono una vittoria a testa, ma ce ne saranno molti altri

    C’è stato un lungo tempo, durato circa quarant’anni, in cui un terzo turno Slam, una vittoria contro un top 10, una mezza impresa estemporanea inducevano l’aficionado medio di tennis italiano a vestirsi a festa, a stappare la bottiglia pregiata. C’è stato un periodo, lungo circa quarant’anni, in cui nessun professionista del tennis rappresentante il territorio nato dal Risorgimento riusciva a entrare nella fatidica top 17; il 18 essendo stato ammantato da qualche oscura divinità ostile di un’aura malefica e invincibile. C’è stata un’epoca, lunga all’incirca un quarantennio, in cui il Dio di feltro e corde spargeva schegge di talento a casaccio un po’ ovunque: persino a Cipro; persino in Lettonia, ma mai, e dico mai, in Italia. O meglio: talento sì, ma talento nudo, privo del corollario utile a farlo esprimere. Con tutto il rispetto, sia detto, e ci si perdoni l’improbabile rima baciata.

    C’è stato un tempo, lungo una decina d’anni abbondanti, in cui la carretta del tennis italiano è stata trainata da Fabio Fognini e Andreas Seppi. Fogna e la Seppia, così lontani, così una strana coppia, così meritevoli di ringraziamenti che sempre più spesso, ubriachi in questo periodo di vacche grasse, ci dimentichiamo di porre loro. Più di qualcuno, compreso tu, che stai leggendo queste righe, in molte occasioni ti sei messo lì, dopo una vittoria sfiorata, a margine di una conquista sportiva sfuggita per un secondo, a fantasticare: “Pensa se Fognini avesse la testa quadrata di Seppi. Se Andreas avesse il braccio e la fantasia di Fabio“. Ne sarebbe venuto fuori il supertennista dei sogni. In grado di vincere Slam, di trascinare la squadra in Davis. Addirittura capace di infrangere il muro della top 17.

    Discorsi assurdi, lisergici, persino psichedelici. Ognuno è quello che è; i tennisti non si possono coltivare in vitro e qualora si potesse, la tecnica di coltivazione basata sull’innesto finirebbe irrimediabilmente per corromperne le qualità naturali. Perché il colpo pazzo è figlio della pazzia, non del ragionamento. Comunque, lasciateci giocare, ché i tempi sono già cupi abbastanza, signora mia. Anche voi stavate pensando la stessa cosa? Oggi, sul centrale di Montecarlo, andrà in scena l’ottavo di finale tra Matteo Berrettini e Lorenzo Musetti: chi vince trova uno tra Nuno Borges e il campione in carica Tsitsipas. Pensate se, ad affrontare uno dei due, si recasse un tennista italiano che assommasse le migliori caratteristiche dei Nostri: servizio e dritto di Matteo; rovescio, fantasia e tocco di Lorenzo. Che spettacolo, come se lo spettacolo garantito da ognuno con l’arsenale suo proprio non fosse già abbastanza. Non ci accontentiamo mai, ma la natura dell’uomo è questa. Comunque, non si può fare, ma se si potesse…

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    “Berretto” e Musetti si sono già affrontati due volte: la prima, nell’inusuale Challenger giocato a Napoli sul cemento, si concluse con la vittoria di Musetti. Berrettini si concesse la rivincita due anni dopo, cioè lo scorso anno, nella semifinale del torneo di Stoccarda, sull’erba, nel suo elemento naturale. Musetti che peraltro sorprese tutti esibendo un’impronosticabile propensione ai prati e conquistando, non molti giorni dopo, una clamorosa semifinale a Church Road. La terra del Country Club in teoria favorisce invece Musetti, che però nei primi due turni contro Bu e Lehecka ha balbettato alquanto, e dovuto sbuffare e remare e raschiare il barile per piazzare due faticose rimonte.

    Berrettini, da par suo, ha prima battuto facile uno specialista del materiale edilizio come Mariano Navone; poi si è preso di prepotenza l’ennesimo match della saga infinita che lo vede protagonista insieme a Sascha Zverev, contribuendo a rendere ancora più vacuo lo sguardo dell’inconsolabile numero due al mondo. La superficie chiama “Muso”, dunque, ma il momento di forma strizza l’occhio a Berrettini: due dati che sconsigliano di buttare centesimi su una potenziale scommessa.

    E nei derby tra italiani, sempre più frequenti nel gotha della racchetta, viste le prestazioni sensazionali e diffuse dei nostri rappresentanti nell’ultimo periodo, come siamo messi? Prendendo in considerazione il solo Tour maggiore, Lorenzo ne ha giocati quindici, vincendone addirittura undici. Il primo lo affrontò diciottenne, nell’anno balordo 2020, al Sardinia Open: lasciò tre game ad Andrea Pellegrino. L’ultimo è andato in scena quest’anno, al primo round dell’Open d’Australia: partita balorda con Matteo Arnaldi, vinta in quattro set.

    Matteo, di derby a livello ATP ne ha giocato uno in più, sedici, vincendone dieci. Il primo da wild card al Foro Italico nel 2017, pochi mesi prima della striscia di Challenger estivi che ne avrebbe certificato il cambio di status, finito con un netto KO di fronte a Fabio Fognini. Il più recente a Stoccolma lo scorso ottobre, vittoria in due su Luciano Darderi.

    Visti gli annessi e connessi della vicenda, gli allibratori si prendano un pomeriggio di pausa, magari sulle tribune assolate del Country Club, con il Mediterraneo a far da tappezzeria. L’unica cosa che conviene fare, oggi, è rilassarsi davanti allo spettacolo. Un auspicabile show con due azzurri al centro del ring, programma sempre più frequente nei cartelloni di grido in questi tempi strani e fecondi. Gli anni del talento sparso ovunque ma non qui e della fatidica “top 17” potrebbero anche tornare, dunque conviene godersela e accontentarsi, anche in assenza del supertennista in provetta.

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