Nasty, quando il tennis e il mondo non erano migliori, solo diversi
È bene chiarirlo da subito: “Nasty – More than just tennis”, il film documentario sulla vita non solo tennistica di Ilie Nastase, va visto adesso, al cinema, possibilmente trascinandosi dietro un gruppo misto di accompagnatori composto da giovani promesse del tennis, attempati mestieranti dello sport del diavolo e nostalgici dei (teoricamente) bei tempi tennistici andati.
A farmi salire sull’auto in una serata tanto gelida e nebbiosa da ripiombarmi nella Milano ante – global warming è stata la consapevolezza che erano della partita (è il caso di dire) Domenico Procacci della Fandango, e il regista Sandro Veronesi (poi presenti con Nastase al dibattito post-proiezione).
Trattandosi della stessa squadra di … “Una Squadra” ero sicuro che si trattasse di un’operazione ben fatta. E infatti. Nasty ripropone materiali inediti e godibilissimi della vita del campione, acquisiti tramite una ricerca puntuale e al limite della storiografia.
Immagini della finale di Wimbledon persa con la racchetta presa in prestito da Panatta (“Ecco perché ho perso”, il commento di Ilie), scene delle sue performance canore, l’incredibile partita contro … una scimmia, addirittura reperti degli esordi con la racchetta alle scuole di educazione fisica di Bucarest.
Un lavoro monumentale, puntiglioso, che restituisce però perfettamente la dimensione di un personaggio che ha caratterizzato la vita sportiva ma anche mondana degli anni Settanta.
Poi ci sono, ben intervallate e integrate, le interviste chieste a campioni che con lui hanno condiviso lo stesso irripetibile spazio temporale come John McEnroe, Jimmy Connors e Tom Hokker, pronti a dare al documentario quella profondità che deriva dai racconti di chi era lì di persona quando le immagini venivano girate.
Godibile, ad esempio, il rapporto con Connors, partito da una normale relazione fra maestro e allievo per trasformarsi in un’affinità elettiva fra caratteri gemelli protrattasi per tutta la vita. Ma anche quello con McEnroe, pronto a picchiare Ilie negli spogliatoi dopo l’ennesima sceneggiata, e altrettanto pronto a cambiare idea, cambiarsi i vestiti e accettare l’invito del rumeno a seguirlo in un night con due ragazze del pubblico.
Imperdibili, poi, le gag in campo. Io stesso ne sapevo parecchie su di lui prima del film, inclusa quella ormai leggendaria del gatto nero portato in campo contro un supertiziosissimo Adriano Panatta per vendicarsi di una serata andata male.
Ma vederlo nelle immagini di repertorio spostare la sedia della giudice di linea per
lui incapace … con lei sopra, o sentirlo dire all’arbitro “please call me Mr Nastasi” dopo averlo fatto diventar matto, oppure ancora sentire la fulminante risposta data a chi lo accusava di fare show in campo (“Io non faccio Show, faccio Teatro”) … beh, è tutta un’altra storia.
E infine affascina, se ne è parlato nel dibattito, la riflessione spontanea che la visione del film stimola sulle differenze fra quei tempi e i nostri. “I tennisti”, commenta Billie Jean King, “non avevano gli entourage di oggi, per cui sostanzialmente il loro entourage erano gli altri giocatori”.
Nastase ospitò Mansour Bahrami, appena scappato dalla rivoluzione in Iran e letteralmente senzatetto, nella sua stanza d’albergo a Parigi durante il Roland Garros. Della racchetta presa in prestito da Panatta per sostituire la propria scordata, niente meno che nella finale all’ALTC, abbiamo già parlato.
Sempre Nastase presentò a Borg Matiana Simionescu, una delle due ragazze rumene che insieme a Ion Tiriac aiutava a introdursi nel circuito professionistico, e che divenne la sua prima moglie.
E sempre Ilie Nastase, per continuare a parlare di cose oggi impensabili, chiamava Arthur Ashe “Negroni”, con quest’ultimo che si inferociva, sì, ma non per l’epiteto, per le sceneggiate antisportive in campo del rumeno.
Ilie ad Ashe: “in giro si dice che tu sei il mio migliore amico”.
Ashe ad Ilie: “più che altro, sono l’unico che ti rivolge la parola”.
E poi via tutti allo Studio 54.
Tempi non migliori, ma diversi.
Nel dibattito post-proiezione c’era ovviamente lui, si trattava pur sempre di una prima. Stiamo parlando di un uomo di 78 anni piuttosto lucido, con una memoria ancora così ben viva da fornire materiale per un intrattenimento tennistico di lunga durata, fra aneddoti e storie mai raccontate.
Ha risposto educatamente alle domande del pubblico, inclusa quella sulla superiorità del tennis attuale a quello passato (“No, sono solo mondi diversi, tutti i giocatori di quel livello sono forti, ora come allora”).
Ma fra le cose che ha detto ce n’è una che mi è davvero molto piaciuta, perché descrive la profondità che il tennis può generare nelle persone, o se preferite la profondità delle persone che giocano a tennis.
Alla domanda, non particolarmente arguta “giochi ancora a tennis”, risponde “no” (e va bene), ma soprattutto all’insistenza del “ma perché” (p.s., anche meno per favore…) risponde con la più semplice delle considerazioni: “Perché non voglio sentirmi ridicolo”.
Game, Set, Match Mr Nastasi.
Numero 1
(Paolo Porrati)