Riccardo Marcon è un maestro nazionale, ex giocatore ATP (n.1030), best ranking nel 2017 a 33 anni con la classifica italiana 2.1. Per quattro edizioni è stato sparring partner ufficiale durante gli Internazionali d’Italia a Roma. Oggi insegna agli agonisti del circolo Tennis Club Padova, ma continua a partecipare ai tornei: “insegno meglio se gioco perché riesco a conoscere le sensazioni che si vivono in campo e a trasmetterle alle mie allieve”.
COSA SIGNIFICA PER TE GIOCARE A TENNIS?
E’ vita allo stato puro, mi dà tantissime emozioni che mi fanno sentire vivo. Da giovane ho avuto molte difficoltà, ero più scarso di tanti altri, ma non mi sono mai abbattuto. Ho iniziato ad avere una buona classifica solo dopo i 18 anni. Quando insegno e trovo ragazze che non spiccano, voglio sempre cercare di far capire loro che si può comunque sempre migliorare.
E’ UN MESSAGGIO PER I RAGAZZI: ANCHE A 18 ANNI SI PUO’ ANCORA COMINCIARE A VIVERE IL PROPRIO SOGNO SPORTIVO. E’ CORRETTO?
Assolutamente sì, come per esempio Sonego e Lorenzi ci hanno dimostrato.
QUAL’E’ STATO IL TUO MOMENTO PIÙ FELICE IN UN CAMPO DA TENNIS?
Momenti felici ne ho avuti tanti. Forse l’emozione più grande l’ho vissuta nella finale del torneo che mi ha dato la possibilità di andare a giocare le prequalificazioni degli Internazionali di tennis di Roma. In quella finale ero sotto 6/0 4/1 e quando ho servito nel terzo set, sopra 5/2, sono stato pervaso dai brividi. Ho pensato che quella vittoria mi sarebbe servita per andare a giocare a Roma e, lottando, ho vinto.
Un’altra grande emozione è stata conquistare il mio primo punto ATP, anche perché l’ho conquistato in un torneo pochi mesi dopo il mio rientro in campo in seguito ad uno stop lungo 22 mesi a causa di un infortunio.
RACCONTACI DELLA TUA ESPERIENZA DI SPARRING PARTNER AGLI INTERNAZIONALI BNL? COM’E’ NATA?
E’ nata proprio grazie al torneo che avevo vinto e che mi ha dato la possibilità di giocare le prequalficazioni. A Roma ho vinto la prima partita con una grande tensione e poi al secondo turno ho giocato contro Cecchinato che era n.130 ATP. Ho perso, ma è stata una bellissima partita tanto che gli organizzatori mi hanno notato e terminato il match mi hanno chiesto se avessi voluto restare lì tutta la settimana a fare da sparring. Servono giocatori che hanno voglia di correre e che sbagliano poco. Un po’ come sono io in campo.
CHI HAI ALLENATO?
E’ con mia grande soddisfazione che quando diventerò vecchio potrò dire di aver allenato i Fab 3: Federer, Nadal e Djokovic. In tutte e tre le occasioni è stato molto emozionante entrare in campo e giocare con chi ha fatto la storia del tennis.
Ho giocato anche con Venus Williams, Simona Halep, Stan Wawrinka e tanti altri.
CI RACCONTI UN ANEDOTTO CAPITATO DURANTE I TUOI GIORNI A ROMA?
Il più divertente è stato con Gulbis. Il primo giorno che abbiamo giocato insieme, ogni quarto d’ora si fermava, sembrava non ce la facesse a continuare, io invece al cambio di campo stavo in piedi, aspettavo e poi correvo ovunque per prendere tutte le palle. Ad un cambio di campo Gulbis ha preso una pallina e l’ha lanciata fuori dal campo di allenamento, lontanissima. Mi ha guardato e mi ha chiesto “E questa non la vai a prendere?”.
Anche con la Bethanie Mattek-Sands è stato molto divertente. Prima di ogni allenamento aveva un rituale, faceva una danza in mezzo al campo per raccogliere l‘energia dalla terra, dal sole e mi ha invitato a farla con lei. Molto particolare!
Poi non dimenticherò mai quando Wawrinka, che nel 2015 avevo allenato per tutta la settimana, subito dopo aver vinto la semifinale contro Nadal è venuto a ringraziarmi per la disponibilità che avevo avuto nei suoi confronti durante gli allenamenti. L’ho molto apprezzato.
Chi mi ha colpito tantissimo è stato Medveded. Ho giocato con lui nel 2019 quando stava cominciando a scalare la classifica ed è stato il giocatore che mi ha dato l’impressione di lavorare meglio e di più sui dettagli. La stessa cosa che ho notato in giocatori tipo Nadal, Djokovich, Tsitsipas. Quando ho giocato con Nadal ho assistito alla lunghissima preparazione che fa prima di entrare in campo. Djokovich per esempio anche in allenamento punta molto sulla concentrazione. Sono quei dettagli che ti fanno capire perchè sono dei grandi campioni e riescono in campo a fare la differenza.
NELLA TUA CARRIERA DI MAESTRO HAI SEMPRE ALLENATO PRINCIPALMENTE LE RAGAZZE. CHE DIFFERENZA C’È TRA IL GIOCO FEMMINILE E QUELLO MASCHILE?
Se dobbiamo parlare del gioco dal punto di vista tecnico, prevalentemente le ragazze giocano con meno rotazione. Hanno un tennis veloce, rapido, un tennis meno manovrato, fatto più di palle colpite.
C’è un diverso approccio mentale del gioco. La differenza principale è nel servizio. L’uomo quando entra in campo sa che può gestire il suo turno di battuta sapendo che l’80% delle volte lo porterà a casa. E’ un punto di forza su cui l’uomo fa affidamento e che dà molta tranquillità. La donna invece non ha questa sicurezza e questo incide molto.
Un altro fattore – non ho fatto studi in merito, ma dopo 10 anni certe cose le inizi a notare – è l’approccio all’allenamento quando sono piccoli. Se dai due palline da colpire a due ragazzi e due alle ragazze, i primi cominciano a scherzare e a divertirsi, le ragazze invece si mettono subito a palleggiare serie e concentrate. Secondo me hanno una predisposizione al lavoro superiore rispetto alla maggior parte dei maschi che tendono a prendere tutto più sul gioco, sul divertimento. Di contro questo fa sì che si divertano un po’ meno rispetto ai maschi.
La terza grossa differenza che ho notato è il rapporto con l’allenatore. Nelle ragazze percepisco proprio la loro necessità di avere un punto di riferimento. I maschi sono più autonomi da questo punto di vista. A me è sempre piaciuto far loro sentire la mia presenza finché giocano. Sono sicuro che questo le aiuta a rendere meglio in campo.
QUALCHE ANNO FA HAI SCOPERTO CHE SOFFRI DI DIABETE DI TIPO UNO. CI VUOI PARLARE DI COME SI CONCILIANO DIABETE E ATTIVITA’ AGONISTICA?
Il diabete non mi ha mai impedito di giocare, anzi! Non è un caso che il mio tennis migliore l’abbia espresso in un momento in cui ho dovuto cominciare ad adeguarmi a questa malattia. L’ho scoperto nel 2011 e mi ha insegnato a conoscere molto meglio il mio corpo e me stesso. La glicemia subisce un sacco di variazioni dovute anche a fattori emotivi. Devo quindi capire come mi sento, se sono tranquillo o se sono teso. Per esempio: se mi alleno, la glicemia tende ad andare verso il basso perché consumo energia, ma nel momento in cui gioco una partita, per quanto sia faticosa e io consumi energia, la glicemia tende a salire. Questo è dovuto ad un fattore emotivo. La tensione fa autoprodurre al corpo il cortisolo, quindi zucchero, e così la tensione fa alzare il livello della glicemia. Ho dovuto imparare a gestire i dosaggi per fare in modo che la glicemia durante gli allenamenti, durante le partite, durante la vita privata resti stabile, in equilibrio. A volte quasi ringrazio che mi sia successa questa cosa perché, se gestito bene, il diabete non dà problemi. Ovvio che bisogna fare attenzione a tante cose, è sempre perennemente nella mia testa durante tutta la giornata. Ci vuole una grande responsabilità.
QUELLO CHE DICI E’ MOLTO IMPORTANTE PER DARE FIDUCIA A CHI HA QUESTA TUO STESSO PROBLEMA.
Esatto, io ho 2 allievi che sono diabetici e giocano tranquillamente a livello agonistico. Ho ricevuto diverse chiamate in questi ultimi anni da parte di genitori che mi hanno chiesto consiglio per i loro figli che hanno questa malattia, ma vogliono giustamente continuare a fare sport.
IL TUO SOGNO NEL CASSETTO PER IL FUTURO?
Continuare a coltivare il mio obiettivo principale che è quello di creare un vero e proprio movimento femminile all’interno di un circolo di tennis. Ho pensato molto in questi anni a cosa mi piace veramente fare e ho capito che allenare la fascia d’età tra i 12 e i 20 anni, dove costruisci una giocatric,e ma anche una persona, mi affascina tantissimo e mi fa sentire completamente me stesso.